Sono passati solo 100 giorni dalla nascita del governo Meloni. E’ vero, però, la ‘cosa’ già si vede ad “occhio nudo”. Ovvero, che la leader sovranista finora si è dimostrata più dirompente a parole, che nei fatti. E pur non avendo fatto granché, riceve solleciti inviti a proseguire e fare le riforme (il presidenzialismo) senza perdersi in compromessi… L’encomio di Ernesto Galli della Loggia a Giorgia Meloni (Corriere della Sera dell’altro ieri) sembrerebbe un’abbaglio e comunque suona come la notizia della morte di Mark Twain per il diretto interessato: «Grossolanamente esagerata». In sostanza, lo storico sprona la Presidente del Consiglio ad andare avanti grazie alla sua sagacia senza perdersi in compromessi e lungaggini: il che sarebbe anche cosa buona e giusta ma diciamo che è un auspicio che vale sempre, chi si augurerebbe che un capo di governo si impantanasse nella politichetta rinunciando a svoltare alto? Lasciando da parte considerazioni soggettive dell’autore dell’articolo che in certi passaggi ricorda la lirica di Pascoli: «Una stanca Italia sessista e popolata da vecchi, vedendo seduta là, al centro del banco del governo, quella figura minuta dai capelli biondi, è stata percorsa da un brivido d’emozione nel ritrovarsi governata da una giovane donna, per giunta madre di una bella bambina, moderna e spigliata quanto basta». Ora, sarebbe meglio, anzi necessario per l’analisi politica vedere la realtà così com’è, insomma rievocare i fatti, essendo «più conveniente andare dietro alla verità effettuale della cosa, che alla immaginazione di essa» (Machiavelli, Il Principe, capitolo XV). E seppure sia passato poco tempo dall’insediamento del nuovo governo, non è difficile fare un primo punto della situazione. Prima di tutto, la legge di Bilancio – lo ammette persino Galli della Loggia – ha rappresentato «un episodio goffo e pasticciato», in poche parole un’occasione mancata per dare un minimo di respiro e di prospettiva all’economia italiana, con in aggiunta la pazzesca “dimenticanza” della conferma del taglio delle accise voluta da Mario Draghi che ha già portato la benzina a 2 euro al litro, e giustamente si ironizza sul famoso video meloniano in cui la leader di Fratelli d’Italia definiva le accise «una vergogna» che in caso di vittoria della destra sarebbero state «abolite». Secondo, la timidezza (chiamiamola così) della presidente del Consiglio nell’affrontare la questione dei vaccini, anche qui “dimenticati” nella conferenza stampa di fine anno e menzionati solo dopo la sollecitazione del giornalista Lauria di Repubblica. Dimenticanza? No. Ci siamo tutti scordati che un anno fa esatto Meloni andava spiegando che non avrebbe vaccinato la figlia perché la vaccinazione «non è una religione» e che insomma chi l’ha detto che la scienza ha sempre ragione? Certamente avrà cambiato idea ma non fino al punto di dire al Paese una cosa semplice semplice e decisiva: «Vaccinatevi tutti». Ora, ci rendiamo conto cosa significherebbe fronteggiare una nuova ondata di contagi con una presidente del Consiglio quantomeno titubante sull’efficacia dei vaccini? Terzo, Galli della Loggia scrive ancora che «l’Italia si aspetta che ella possa darle quella visione e quelle prospettive del futuro che da troppo tempo le mancavano», e però l’unica idea sin qui abbozzata (anzi, riverniciata), quella del presidenzialismo, offre una «prospettiva» che potrebbe rivelarsi inquietante, cioè la spaccatura del Paese sulla forma di governo, con lei a guidare un fronte (come ai bei tempi di gioventù) contro un altro, che non è esattamente ciò che si chiede a un leader che cerchi l’unità del Paese, o della Nazione come piace dire a lei. Infine, lo storico invita Meloni a non lasciarsi «prendere in ostaggio» dalla solita politichetta fatta di compromessi e lottizzazioni, ma peccato che a Palazzo Chigi siano pronte le liste dei promossi e dei bocciati per quanto riguarda i grandi enti nazionali e da lì sia sottilmente partito il lento ma inesorabile allungamento delle mani sulla Rai, dove se ne vedranno di cotte e di crude. Forse, in conclusione, è proprio il punto di partenza di Galli della Loggia a essere sbagliato, cioè l’idea che Giorgia Meloni sia una ‘newcomer’ venuta dalla Luna e non l’ennesima rappresentante politica che con «la sua figura minuta e i capelli biondi» va a chiudere la stagione del più bieco populismo per riaprirne un’altra già letta e riletta in questi decenni, e se questo fosse vero allora il grande equivoco del 25 settembre 2022 starebbe proprio nella percezione della novità laddove di nuovo c’è davvero poco. Ma non è da escludere che agli italiani vada bene così… per molti di loro non conta nulla che sempre più spesso ci si interroga sull’avvenire. Al di là del rischio – che alimenta le ansie millenaristiche del “giorno prima” – di una catastrofe nucleare, che si rappresenta come possibile (forse, per fortuna, non ancora probabile) con l’ennesima guerra alle porte dell’Europa tra Russia e Ucraina. Il problema, in definitiva, semplice nel declinarlo, difficilissimo da risolvere, è come coniugare computer e democrazia, “rivoluzione telematica” e socialità. Ricordo un libro di Franco Ferrarotti (uno dei padri della sociologia italiana) che indicava in “Cinque scenari per gli anni 2000” quelli possibili e prevedibili (il libro pubblicato da Laterza è del 1985). Ed esattamente gli scenari definivano: la società-formicaio, la società policentrica, il gigantismo differenziato, la società corporata, la società multidimensionale e polivalente. Ogni ipotesi veniva esplorata dettagliatamente e sostanziata di concreti riferimenti ai processi oggi in atto. Con un suggestivo sforzo di fantasia, ma anche con l’acuta consapevolezza scientifica pur nelle difficoltà della previsione sociale. In sostanza già in quei tempi, era possibile, individuare il paradosso italiano. “La povertà di un paese ricco”, altro libro scritto da Ferrarotti e pubblicato nel 2011 da Solfanelli. Perché un paradosso? “Secondo i dati delle Nazioni Unite, l’Italia possiede il 5 per cento della ricchezza del mondo, pur rappresentando l’uno per cento della popolazione mondiale, ma questa ricchezza è per il 70 per cento nelle mani di dieci famiglie”. Ora, facile intuire che il compito di veri uomini (anzi finalmente di una Donna) di governo sarebbe quello di porsi il problema prioritario del senso di un’uguaglianza almeno relativa, perché anche un governo di destra sa che: una società non può sopravvivere in condizioni di disparità così atroci…
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