Non c’è dubbio che questo nuovo dopoguerra quando il coronavirus sarà sconfitto, richiederà una politica lontana da idee divisive e estremismi come altresì di figure di politici che impersonino l’esatto contrario di quel che dicono e fanno Salvini e Meloni… la domanda chiave potrebbe essere: c’è vita a destra oltre Salvini e Meloni? Mi permetto di considerare quanto resta del berlusconismo ormai totalmente assorbito nella Lega e da Fratelli d’Italia… La risposta potrebbe essere: si! Da Giorgetti a Crosetto fino a Carfagna e anche Zaia: per un dopo Salvini-Meloni ci sono leader competenti che saprebbero governare e fare politica. Ma questi potenziali candidati dovranno combattere contro l’esercito dei facinorosi, i giornalisti di destra che alimentano l’incendio sociale e ideologico. La sinistra si dovrebbe fare i fatti suoi. Nel senso che dovrebbe restare indifferente alle prime avvisaglie di scontro nel centrodestra sulla leadership. Certo un po’ di magone viene all’idea che prima o poi Matteo Salvini verrà retrocesso (come un Luigi Di Maio qualsiasi) perché questo Salvini è stato una mano di Dio per la sinistra. Senza di lui non avrebbe riacchiappato parte del vecchio elettorato, le sardine sarebbero rimaste nelle scatolette, e la sinistra continuerebbe a discutere di Matteo Renzi e Carlo Calenda. C’è stato un tempo – tutto il periodo berlusconiano – in cui la sinistra, che inseguì pure Gianfranco Fini, sognava il leader di destra di rango europeo immaginandolo ben vestito, antifascista, ragionevole, di mezza-Casta, lontano dal popolo urlante. Invece l’Italia si è beccata il Cavaliere e, se non fosse per l’età e per i suoi “vizietti”, quel diavolo sarebbe ancora a comandare. Invece ha lasciato l’eredità del centrodestra a un giovane pasticcione che non si accorge mai quando sta per fare, o dire, la ‘cazzata’ e non ha attorno a lui uno/a che lo metta in guardia. Ma possibile che non avanzi un Rocco Casalino anche per lui? Il sogno attuale della sinistra, che spera nella volata di Giorgia Meloni anche se teme che la giovane politica di destra si infili in una china lepenista, resta senza dubbio alcuno Giancarlo Giorgetti. Se ci pensate, Giorgetti, assomiglia tanto al mitologico leader di destra che può piacere a tutti. Parla poco, sa di cosa parla, ha un buon aspetto, è bene educato ma qualche vaffanculo riesce a dirlo, è leghista della prima ora, per un federalismo sano che prendeva le mosse fin da Carlo Cattaneo (patriota, filosofo, politico, politologo, linguista e scrittore italiano, esponente del pensiero repubblicano federalista. Di formazione illuminista e positivista, ebbe un ruolo determinante nelle cinque giornate di Milano del 1848.) cioè di quella famosa costola della sinistra che purtroppo si è dissolta prima nel “celodurismo” e nell’indipendentismo di bossiana memoria e poi nella Lega di Salvini passando prima dal vassallaggio a Forza Italia per poi virare decisamente a destra assumendone i tratti peggiori dell’estremismo xenofobo e razzista. Un altro che non dispiacerebbe è Guido Crosetto, il gigante buono che sa tutto, parla di economia come un professore della Bocconi, conosce i segreti del parlamento, capisce di strategie militari ed è decisamente più a modo della Meloni e del suo comunicare sguaiato da comizio. Anche negli incontri (l’ultimo quello di lunedì sera) fra Giuseppe Conte e i leader della destra è andato non bene, ognuno ha detto la sua e arrivederci. Le giornate successive (nonostante le spinte del Quirinale) hanno confermato la totale assenza di feeling. Addirittura Matteo Salvini, che ha perso davvero la bussola, si è scagliato contro Giorgio Gori, sindaco di Bergamo un esempio di civismo, dimostrando di non volere non solo l’unità nazionale ma nemmeno quella regionale… Come si spiega questa perdurante incomunicabilità fra le due parti della politica italiana in un momento così grave? Al netto di un duro grumo di natura psicologica e persino di una difficoltà a livello personale fra Giuseppe Conte e il tandem Salvini-Meloni con a traino Tajani a nome e per conto di Berlusconi, si nota da parte del governo un certo fastidio per il tambureggiamento polemico della destra e per questo suo rilanciare ogni volta un “più uno” che suona persino infantile; e dall’altra parte (è il rovescio della medaglia) un permanente complesso d’inferiorità unito a una mancanza di concretezza da parte di Salvini e Meloni, tanto che Conte e Gualtieri si sono perfino stupiti della inadeguatezza tecnica del capo della Lega. Malgrado gli sforzi del presidente Sergio Mattarella, dunque, il clima non migliora. Non è nemmeno un problema di strumenti, di sedi, “cabina di regia” o “tavolo permanente”. Come ieri sollecitava in un parlamento “ridotto” e “distanziato” nei presenti, il Capo gruppo PD Delrio. Questo rischia di essere solo politichese. Poiché non è tempo di crisi di governo e come sanno tutti i protagonisti, la questione piuttosto riguarderà il domani, il dopoguerra. Con queste premesse, anche l’intervento sul FT di Mario Draghi che prima che all’Italia, l’ex presidente della Bce rivolge a un’Europa nel pieno di una crisi distruttiva in cui riemergono le divisioni nazionali, senza adeguate leadership, finisce commentato a Roma in chiave domestica, come il segno che sarebbe disponibile a sostituire Conte alla testa di un governo di solidarietà nazionale. Oggi, sicuramente prematuro potrebbe diventare un tema ineludibile nei prossimi mesi nella scia del collasso economico e sociale che la guerra al coronavirus lascerà sul campo. Certo, sulla carta il leader naturale di un tale esecutivo sarebbe Draghi. Ma forse se ha un obiettivo di discesa in politica l’ex Presidente BCE non guarda a Palazzo Chigi, ma lo sguardo va altrove. E poi, quali forze veramente lo appoggerebbero? Nella realtà non lo vuole quasi nessuno e chi dice di volerlo (come fa Salvini, noncurante delle contraddizioni) in realtà sta facendo solo propaganda nel tentativo di rifarsi la faccia, uscita alquanto ammaccata dal Papeete in poi. Non c’è dubbio che il Presidente delle Repubblica sarebbe orgoglioso di poter fare da maieuta di un governo unitario come quelli del dopo 25 aprile. Guidato da Conte o da Mario Draghi (con la sua ricetta per la ricostruzione post coronavirus), ma un governo di unità nazionale con questa destra (Salvini – Meloni) appare ancora difficile se non impossibile. Se nel centrosinistra il futuro appare ipotecato dal partito contiano-democratico (con tutte le incognite del caso) è infatti proprio a destra che dovrebbe esserci una svolta. Il sovranismo e il populismo di Salvini stanno entrando in contraddizione con esigenze fondamentali poste dalla crisi attuale: un diverso e più forte governo mondiale; un nuovo ruolo delle competenze nella politica; una diversa qualità della democrazia e del ruolo del pubblico. Se è vero che diversi paradigmi della sinistra andranno rivisti, è a destra che sembra addirittura tutto da rifare, a partire dal cambio delle priorità e dei messaggi: è fuori dal tempo la paura degli immigrati sulla quale Salvini ha dominato la scena negli ultimi anni! Il capo leghista ha perso totalmente la capacità di comunicare, persino peggio del governo, segno che i suoi messaggi funzionano quando il disastro è apparente, mentre non funzionano quando è reale. Sarà dunque inevitabile a un certo punto dentro la Lega porsi il dilemma se proseguire con il salvinismo o cercare strade nuove, con risposte pragmatiche e atteggiamenti più umani e liberali. Anche perché il dopoguerra post coronavirus, avrà bisogno di figure politiche lontane da estremismi verbali e idee divisive, e questo vale anche per la Meloni che pur in crescita di voti rischia di non averne abbastanza per una leadership nel centrodestra. Carlo Calenda, che ha spesso il merito di mettere le pulci nell’orecchio, ha twittato: «Chiamare Giorgetti e Crosetto a scrivere il piano per la riapertura». Ecco, gente pragmatica come Giorgetti e Crosetto, che romperebbero con i canoni distruttivo-propagandistici dell’attuale traino leghista recuperando un’attitudine al confronto che l’attuale tandem della destra non ha…
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