Governo: poteva andare meglio? I partiti si sono fatti sentire, ma il pezzo forte del governo Draghi 1 sono i tecnici…

A tutti quelli che si chiedono se Draghi valeva bene una crisi (e questo governo) la risposta è: mille volte sì. Poteva andare meglio? Probabilmente no. Nell’elenco dei ministri i politici sono tanti: Pd e LeU mantengono le posizioni, Lega e Forza Italia ci guadagnano, solo Italia viva e Cinquestelle ne escono ridimensionati. I nomi più pesanti però saranno Cingolani e Franco, Colao e Cartabia, Bianchi e Giovannini… I partiti non hanno mollato, certo. Tranne Italia viva (il partito di Renzi accusato di avere aperto la crisi per avere più poltrone) e Movimento cinque stelle (ridimensionato per le convulsioni delle ultime ore), Partito democratico e Liberi e uguali mantengono le posizioni, e Lega e Forza Italia si fanno sentire. Ma attenzione alle illusioni ottiche: la roba forte – la “ciccia”, si dice a Roma – è tutta a vantaggio di Mario Draghi, il nuovo presidente del Consiglio italiano chiamato a far fare al suo Paese quello scatto che il pallido governo precedente si era mostrato non abile a compiere. Gli esterni, da Vittorio Colao a Roberto Cingolani, da Marta Cartabia a Daniele Franco, sono nomi fortissimi. Di fronte ai quali, si spera, i politici di professione si dovranno fermare. Non è vero che le segreterie dei partiti abbiano lasciato carta bianca al presidente. Magari non lo hanno disturbato troppo in modo diretto (di Draghi hanno tutti come una soggezione invincibile), ma si sono fatti sentire eccome. Perché all’interno dei partiti nella giornata di ieri sono esplose molte baruffe. Il Partito democratico, per esempio, non reggeva due soli ministri essendo tre, come i moschettieri, i personaggi destinati al governo, tutti uomini malgrado Nicola Zingaretti avesse raccomandato ufficialmente a Draghi la parità di genere. E alla fine si è trovato posto per tutti e tre i maschi dem: Dario Franceschini alla Cultura (il Turismo è stato spacchettato), Lorenzo Guerini alla Difesa e Andrea Orlando al Lavoro, il suo terzo ministero (era stato all’Ambiente e alla Giustizia). Delle donne si riparlerà al prossimo governo. Il Movimento cinque stelle conferma ovviamente il leader Luigi Di Maio agli Esteri, resta Federico D’Incà ai Rapporti col Parlamento, Fabiana Dadone va alle Politiche giovanili, Stefano Patuanelli trasloca all’Agricoltura. Addio ad Alfonso Bonafede, già capodelegazione, e a Paola Pisano, già all’Innovazione senza lasciare tracce. La Lega piazza un peso da novanta, il “draghiano” Giancarlo Giorgetti al Ministero per lo Sviluppo economico (dov’era Patuanelli), ed è una nomina che non sarà ininfluente sul nuovo corso del partito: da domani nella Lega conterà più Salvini o Giorgetti? A occhio e croce, il secondo, dato che è l’uomo che ha materialmente alcune delle chiavi fondamentali per rispondere alle istanze produttiviste del Nord. Poi la Lega ottiene il nuovo ministero per le Disabilità, a Erika Stefani, e il nuovo ministero del Turismo per Massimo Garavaglia. A Forza Italia è andata molto bene, tre ministeri senza portafoglio. A Mara Carfagna, ormai leader di un’ala forse egemone del partito di Berlusconi, va il ministro per il Sud; a Renato Brunetta, vicino alla Carfagna, la Pubblica amministrazione; a Maria Stella Gelmini le Regioni. Italia viva rimanda in campo Elena Bonetti, sempre alla Famiglia. Non entra Teresa Bellanova. Renzi aveva due ministre, ora ne ha una, con tanti saluti alle teorie sulla sua fame di potere. Mentre Liberi e uguali vede confermato Roberto Speranza alla Salute, in omaggio alla continuità più che alla effervescenza politica del suo partitino che si è pure spaccato, con Fratoianni ostile. Ed eccoci alla squadra di tecnici. Il cuore del governo. Draghi, com’era nelle aspettative, ha chiamato Daniele Franco, direttore di Bankitalia e già Ragioniere generale dello Stato, al Mef, al posto di Roberto Gualtieri (sempre più forti le voci di una sua possibile corsa al Comune di Roma). Al Ministero dell’Innovazione tecnologica e della transizione digitale va il nome prestigioso di Vittorio Colao, l’uomo chiamato da Giuseppe Conte a redigere un piano per la nuova Italia prontamente gettato nel cestino dopo che il manager lo aveva disciplinatamente redatto e consegnato a quella buffonata degli Stati generali. Ora Draghi si assicura la competenza di un supermanager come Colao, ed è uno degli acquisti più forti. Confermata Luciana Lamorgese all’Interno, poi Marta Cartabia alla Giustizia (per fare quelle riforme che Bonafede non fece), Patrizio Bianchi all’Istruzione per dimenticare Lucia Azzolina, Enrico Giovannini ai Trasporti per dimenticare Paola De Micheli, Cristina Messa all’Università per dimenticare Manfredi, Roberto Cingolani alla Transizione ecologica per dimenticare Costa. Alle 12 di oggi il governo Draghi ha giurato ed è entrato ufficialmente in carica, poi la scena della “campanella” con l’avvocato professor Giuseppe Conte, quindi la prima seduta del Consiglio dei ministri. Martedì e mercoledì la fiducia del Parlamento, forse la più ampia della storia della Repubblica. La pagina è voltata…

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