Guerra: 100 giorni di conflitto. L’Ucraina già devastata teme ulteriori distruzioni da parte dei russi e soprattutto teme l’assuefazione degli alleati. La situazione sul campo, dove si cerca un equilibrio delle armi che porti al negoziato…

Zelensky in un video si mostra con i fedelissimi alle sue spalle, come nel primo giorno dell’invasione e ancora una volta dice: “La vittoria sarà nostra!”. Ma sul campo, quel che si vede è che la presa di Lugansk è sempre più vicina e il Cremlino riannuncia trionfo che andrà “avanti finché non conseguiremo tutti gli obiettivi”. Cento i giorni di guerra e un Paese ormai devastato. Ucraina. Qual è la vera situazione sul campo? La Russia certo non si aspettava di dover combattere così a lungo. Non c’è stata la guerra lampo, non c’è stata la resa del popolo ucraino, non c’è stata la fuga all’estero del presidente. Il blitz è quindi fallito e ha fatto spazio a una guerra di logoramento e di più lunga durata. Cento giorni di guerra e il futuro dell’Ucraina è ancora tutt’altro che tracciato, resta conteso fra la resistenza militare ucraina sostenuta dagli aiuti militari degli alleati e la tenuta economica russa minacciata dalle sanzioni occidentali. Nonché, dalla stessa imprevista compattezza politica occidentale… che ogni giorno diventa però più fragile, specialmente qui in Europa. Kiev, confida ancora sull’arrivo di armi sempre più efficaci per respingere l’offensiva di Mosca, mentre attende che le sanzioni facciano sentire il loro impatto sull’economia russa. Mosca dal canto suo vede la presa del Donbass ormai vicina e guarda alle crepe dell’Occidente confidando anche nell’assuefazione dell’opinione pubblica occidentale rispetto alla guerra in Ucraina… Dopo il fallimento degli obiettivi iniziali ora Mosca avanza nel Donbass, nonostante “la strenua resistenza ucraina. Mentre Kiev aggiunge, che è fallito il piano iniziale russo “a causa di errori di pianificazione e di una scarsa esecuzione tattica”. Tuttavia, oggi, la Russia avendo adattato il suo impegno operativo concentrandosi sul Donbass” sta “ora ottenendo un successo tattico”. Infatti, le truppe russe “attualmente sembrano avere il sopravvento” sull’opposizione ucraina. “La Russia ha ottenuto questi successi tattici pur con un costo significativo in termini di risorse e concentrando le forze e bombardamenti su una sola parte della campagna complessiva”. Pertanto, “la Russia controlla oltre il 90% dell’Oblast di Luhansk e probabilmente completerà il controllo nelle prossime due/tre settimane”. Si legge questo in una nota diramata da Kiev. Inoltre, “non è stata in grado di generare manovre o movimenti su altri fronti o assi, che sono passati tutti sulla difensiva”. Rispetto al piano originale, “nessuno degli obiettivi strategici è stato raggiunto”. E a questo punto, per raggiungere “una qualsiasi forma di successo”, la Russia deve “continuare a investire ingenti quantità di personale e di equipaggiamento, e probabilmente ci vorrà ancora molto tempo”. L’Onu, il grande assente di questa partita, avverte che: “questa guerra non avrà vincitori!” Intanto anche Jens Stoltenberg, segretario generale della Nato, avverte l’Occidente: che deve prepararsi a una “guerra di logoramento”, che avrà una “lunga durata”, l’ha detto al termine del suo incontro a Washington con il presidente statunitense Joe Biden. Aggiungendo: “Dobbiamo essere pronti per una guerra che avrà un percorso lungo, perché constatiamo che si tratta di una guerra diventata di logoramento”. Inoltre, sull’adesione di Svezia e Finlandia, il segretario della Nato ha anche spiegato: “Quando un alleato, la Turchia, solleva preoccupazioni, dobbiamo sederci, affrontarle e quindi trovare una via d’uscita unitaria”. Quindi, in cento giorni, la Russia è diventata padrona solo del 20% del territorio ucraino. Un 7% già lo controllava dal 2014, quando aveva annesso la Crimea, a cui si è aggiunto gran parte del territorio delle due repubbliche autoproclamate separatiste di Donetsk e Lugansk. Nell’oblast di Lugansk come detto è in corso una delle battaglie più violente, con Severodonetsk quasi completamente in mano ai russi e Lysychansk bombardata senza sosta. Tasselli fondamentali che garantirebbero il controllo completo della regione e che rendono il Donbass un obiettivo sempre più alla portata per i russi. Poche settimane dopo l’invasione, sembrava invece impossibile e anzi il Cremlino era convinto che per costringere alla resa Kiev sarebbe bastato presentarsi con un vantaggio di dieci a uno nelle truppe di terra e nell’aviazione, di uno a cinque nei carri armati da poter schierare e le armi nucleari con cui poter minacciare in qualsiasi momento. Niente di tutto questo è invece stato sufficiente, anzi in qualche modo ha compattato gli ucraini, già addestrati dopo la prima invasione di otto anni fa e chiamati alla resistenza dal presidente Volodymyr Zelensky, così come repentina e unita è stata la risposta di Stati Uniti ed Europa. Un po’ meno lo è adesso, con le prime crepe che iniziano a vedersi nel fronte europeo. Crepe che sta aprendo l’Ungheria, considerata da Putin il tassello debole (o forte, visto che spesso gioca a fare gli interessi di Mosca) dell’alleanza su cui far leva. E “ora – Mosca – sta cercando di rimodellare la situazione, ed è convinta che sul lungo termine vincerà”. Il tempo gioca a suo favore. E Putin è molto paziente e può aspettare sei o nove mesi perché controlla la società russa molto meglio di quanto ciò non avvenga in Europa. Tant’è che si comincia a dire che ormai sarà: “L’equilibrio delle armi sul campo che porterà al negoziato?” Da noi, c’è chi sostiene (il Generale Tricarico) che “formalmente non potrà esserci né un vinto né un vincitore, ma che la conquista russa del Donbass nelle prossime due/tre settimane, potrebbe cambiare qualcosa. E quindi che la trattativa: “sarà sollecitata dal logoramento dell’una e dell’altra parte, che non potranno continuare un confronto a così alta intensità”. La ripresa dei colloqui negoziali riprenderà solo quando l’Ucraina avrà consolidato le sue posizioni sul campo, grazie all’aiuto delle nuove armi occidentali di cui le forze armate “sono pronte all’uso”. Ciò vuol dire non solo combattere per non cedere ulteriore terreno ai russi, ma anche tentare di riconquistare parte di quello che i russi hanno già occupato. Proprio lì, dove i russi continuano a bombardare senza sosta, nel tentativo di raggiungere quanto prima possibile l’obiettivo primario della campagna militare. Fino ad allora, le uniche interlocutrici saranno per l’appunto le armi. “Tutto quello che viene detto prima è politica o propaganda”, afferma il generale ed ex sottosegretario alla Difesa Domenico Rossi, raggiunto da Huffpost. Sono frasi che, se lette rigidamente, non aprono a nessuna possibilità di dialogo. Ma, se le leggiamo osservando più attentamente il campo di battaglia, probabilmente la conquista totale del Donbass da parte della Russia porterà al sedersi delle parti a un tavolo negoziale”. Aumenta l’attesa perché ciò accada vista altresì la crisi alimentare che avanza. I milioni di tonnellate di grano bloccate nei porti del Mar Nero stanno affamando Nord Africa e Medio Oriente, che contavano sul cereale ucraino e russo per sfamare la maggior parte della propria popolazione. Kiev punta il dito contro Mosca anche per averne rubato mezzo milione di tonnellate. Tipico bottino di guerra, come le navi cargo cariche di tonnellate di acciaio che sono arrivate a Rostov. Ed ecco a questo punto emergere una grave preoccupazione da parte di Kiev. Una Russia isolata è un’ottima notizia per l’Ucraina, che però teme la stessa sorte. La paura del presidente Zelensky è che il grande interesse del mondo per l’Ucraina si esaurisca. “La gente vuole un nuovo tema, una nuova immagine” ha detto intervenendo a Davos. La sua idea è che “le stesse persone, le stesse vittime, la stessa Ucraina” rischiano di far distogliere l’attenzione da un incubo che si ripete ogni giorno, da cento giorni. “Il nostro compito”, ha continuato, “è che il mondo non si stanchi della guerra e smette di sostenere l’Ucraina, perché stiamo combattendo per i valori che costituiscono il sostentamento delle persone e servono come l’ossigeno che respirano”. Nell’oblio ci cadrebbe bene invece il presidente Putin, che scaccerebbe gli occhi del mondo su di sé. Insomma, l’Ucraina non vuole fare la fine della Siria o dello Yemen, che si trascinano da oltre dieci anni in conflitti di cui si parla sempre meno. Il problema è logicamente politico: se l’interesse dell’opinione pubblica su un determinato argomento cala, anche l’attenzione dei decisori politici scema. I numeri, purtroppo, sembrano dar ragione a Zelensky e a sua moglie Olena Zalenska. “Non abituatevi a questa guerra, altrimenti ne rischiamo una senza fine. Non abituatevi al nostro dolore”, ha dichiarato la first lady rivolgendosi al popolo statunitense. Il rischio è che le persone si possano abituare alle tragedie altrui, fino a dimenticarsene. In parte, questo sta già avvenendo. Le interazioni sui social durante la prima settimana erano circa 109 milioni mentre, nell’ultima, appena 4,8 milioni. Anche la copertura del conflitto con le notizie online è diminuita drasticamente passando da 520 mila articoli ai 70 mila di oggi. Un segnale di come i riflettori si stiano lentamente spegnendo, per colpa forse della quotidianità o dell’accettazione di una guerra che dura ormai da cento giorni. Sapendo che potrebbero non bastarne altrettanti per farla finire…

E’ sempre tempo di Coaching! 

Se hai domande o riflessioni da fare ti invito a lasciare un commento a questo post: sarò felice di risponderti oppure prendi appuntamento per una  sessione di coaching gratuito

0

Aggiungi un commento