Guerra: due settimane che sono decenni. “La Russia cambia il mondo” (ce ne accorgeremo presto) e tutto torna indietro a un tempo che pensavamo passato…

seconda parte…

Tanto per cominciare, tra meno di otto mesi saremo ufficialmente in campagna elettorale. L’attuale governo avrà molte difficolta a gestire la prossima finanziaria preelettorale e si troverà sul tavolo l’enorme grana della politica dei redditi in epoca fortemente inflattiva. Ignazio Visco (Governatore della Banca d’Italia) ha già detto la sua opinione, secondo la classica teoria monetaria, per la quale lo shock inflattivo da materie prime non deve trasmettersi a salari/stipendi e tanto meno alle pensioni, ma in un anno elettorale la voce e le idee di Visco (che Draghi peraltro sa leggere benissimo nello stesso modo) saranno pressoché irrilevanti, come lo furono per anni quelle dei nostri ottimi governatori della Banca d’Italia, che al 31 maggio d’ogni anno, lanciavano anatemi sulla produttività, sulla spesa pubblica e sulle pensioni per raccogliere vaghi applausi di circostanza e nulla più da quasi tutti i partiti. Applausi regolarmente contraddetti con le norme della successiva finanziaria di lì a sei mesi, con un occhio benevolo al deficit spending corrente. Quindi a marzo 2023, quando si voterà e si eleggeranno solo 600 e non 945 parlamentari, possiamo aspettarci movimenti tellurici rilevantissimi. I 5 Stelle e la Lega sommati non oscilleranno più intorno al 50% ma tra il 20 e il 30%. È ipotizzabile che i 5 Stelle saranno tra l’8 e il 12%, ma forse è una stima ancora troppo ottimista. Conte si sta distinguendo per quello che è, cioè un politico di bassissimo profilo che dice solo ovvietà, le dice peraltro male e in modo prolisso, e prospetta realizzazioni non fattibili come soluzioni geniali («Ristrutturate subito, è gratis capite, gratis!») resta l’apogeo della comunicazione contiana. Luigi Einaudi si rivolta nella tomba pensando a quel “gratis” fatto con il denaro pubblico dei contribuenti. Conte, tra l’altro, non ha un gran seguito e potere reale nel partito di Grillo e Di Maio che assurge così al ruolo di statista in tanta pochezza. Per la Lega la prognosi dipende dal coraggio che finora Giorgetti, Zaia e Fedriga non hanno avuto nel relegare Salvini al ruolo che gli compete, cioè di clown. Se continueranno a non trovare il coraggio, il partito scenderà tra il 12 e il 15%, aiutato anche dalla figuraccia planetaria fatta da Salvini che è ridicolizzato da un sindaco di un paesino polacco. Non bastasse, le piazzate passate ma ancora presenti di Borghi e Bagnai antieuro e anti-Europa saranno oggetto di scherno per i più buoni e di feroce polemica per i meno buoni. Banalmente, l’antieuropeismo in epoca di aggressioni imperialiste non paga, e tutti abbiamo capito che l’Europa è un baluardo e la nostra preziosa ancora di salvezza. Quindi, se si va avanti con Salvini il ritorno alla marginalità politica è assicurato. Se invece fosse esautorato – ma a patto che succeda presto, quasi subito – il peso elettorale potrebbe aumentare, purché il nuovo leader (probabilmente potrebbe essere Fedriga) si dimostri adeguato al momento storico e tagli i ponti con il passato, con Salvini e il relativo cerchio magico, tornando a rappresentare il mondo produttivo del Nord. Il Partito Democratico esce rafforzato e vincitore, ancorché al suo interno ci siano ancora più indirizzi (correnti) dai Giorgio Gori e Lorenzo Guerini, che hanno svolto un ruolo, meritando le lodi degli americani, sia i Provenzano, Boccia, Orlando, che in materia di politica economica, pongono dovuti distinguo sulla crescita della povertà e delle diseguaglianze, che necessitano della continuazione della politica di deficit spending… difficilmente prolungabile in una situazione economica come quella attuale, che vede i nostro debito pubblico già enorme crescere ulteriormente a velocità impressionante… e la guerra in corso rischia di stoppare ogni ripresa di crescita economica, programmata e inseguita con il Pnrr. Bisognerà inoltre vedere se Enrico Letta nella formazione delle liste saprà costruire un nuovo equilibrio nel gruppo dirigente del partito che possa portare il PD dall’attuale 21/22% degli ultimi sondaggi con una nuova linea politica ed economica più pragmatica che non si astragga dalla realtà dei tempi (pandemia – guerra -materie prime – politiche green ecc.) e chiuda con il peggio del “renzismo” (parola infamante per il Pd) che gli permetta di salire ad un possibile 25-27%, riportando alla politica un pezzo dell’astensionismo che oggi viaggia sopra il 40% degli aventi diritto al voto. Resta la scelta di dover fare ancora o meno conto della «fantastica alleanza con i 5 Stelle». Sapendo che una parte del Centro mai seguirà il Partito Democratico sulla strada di un’alleanza strutturale con l’ex Movimento, limitando così, come hanno ben capito Carlo Calenda e Matteo Renzi, un campo largo di centrosinistra. Infine, ancora alcune pulsioni renziane nel partito e il potere di qualche ‘mandarino’ ex Botteghe Oscure e/o ex P.zza del Gesù spingono acriticamente ancora verso il mondo dell’economia di mercato, un mondo dove il controllo della spesa pubblica e della crescita economica sono visti sempre come nemici da combattere. Le prossime elezioni sono per i dem l’occasione storica per diventare un moderno partito di centrosinistra, ma la prognosi non è benigna, a causa del desiderio di potere e l’ideologia di pochi… Per Fratelli d’Italia, Salvini ha aperto una prateria infinita. Il suo crollo sfonda le porte a un’ulteriore crescita di Giorgia Meloni, la quale però a questo punto si trova di fronte a un bivio non dissimile a quello del Pd. Può agevolmente arrivare al 22-24% raccogliendo i delusi di Salvini e chiudendosi nel recinto del becero nazionalismo, della spesa pubblica assistenziale, e di frange di nostalgica destra rafforzate dalla paura dell’orso russo oppure, all’opposto, tentare di trasformarsi in un vero partito di governo di centrodestra. Per fare questa transizione serve molto Crosetto e poco La Russa, molta cultura e poche urla, e serve soprattutto portare a bordo personalità di spessore e non nostalgici della prima ora, operazione in cui Fratelli d’Italia non ha, almeno finora, mai brillato. Francamente c’è da dubitare che la Meloni riesca in un compito così difficile, ma avrebbe carte da giocare incredibilmente positive, visto che il nazionalismo anche fin troppo urlato finora sarà almeno in parte sdoganato dall’aggressività russa. Se approfittasse dell’occasione per urlarlo di meno e per entrare nel dibattito economico sociale, finora abbastanza trascurato dai suoi, e lasciato agli esegeti della ricchezza Santanchè-Briatore, gli spazi sarebbero rilevantissimi. La sensazione è che la Meloni lo abbia intuito (vedi la recente visita negli Stati Uniti) ma non basta, deve saperlo anche fare e non è facile. Infine, il fantomatico centro. Forza Italia non ha alcuna propulsione con il declino anagrafico di Berlusconi (anche lui grande amico storico di Putin e quindi ormai assai silenzioso). Renzi e Calenda litigano spesso e volentieri. Toti e Brugnaro cercano di farsi notare ma partono da percentuali infime. Se si trovasse una forma di accordo, il centro potrebbe governare perennemente il Paese: realisticamente spesso con il Pd, ma anche occasionalmente con una versione rinnovata di Fratelli d’Italia. Ma difficilmente succederà a causa delle ambizioni personali dei vari attori in gioco e del fatto che l’attuale legge elettorale con ogni probabilità non verrà cambiata (vedasi l’opposizione viscerale soprattutto dei 5 Stelle e della Lega, che sarebbero definitivamente messi fuori dai giochi). Il rischio è che un Centro che vale oggi almeno il 10% dei voti, se non addirittura di più, si trovi a essere rappresentato a fatica dal 5 o 6% dei parlamentari in una sorta di drammatica pervicace auto-determinazione all’irrilevanza elettorale. Un Centro coeso (che è oggi un ossimoro) forse con il sostegno di Bentivogli (ex Cisl), e magari Zaia e Fedriga definitivamente in fuga dalla Lega populista di Salvini/Borghi/Bagnai avrebbe il peso (al di là dei numeri) della vecchia Democrazia Cristiana e sarebbe dominus della scena politica italiana ancora a lungo. Manca, l’ingrediente chiave e cioè il nome di un leader non divisivo e il sostegno convinto a una leadership orizzontale e diffusa nel Paese e non solo nei palazzi… Una mancanza grave e realisticamente ancora duratura, non certo modificabile in questi nove mesi che ci separano dalla campagna elettorale, di fatto già iniziata. Tuttavia, in questo quadro assai desolante dei partiti e della politica italiani, alcuni fondamentali risultati positivi sono stati raggiunti anche paradossalmente per merito di Putin. La sostanziale irrilevanza dei 5 Stelle, che sarà conclamata il giorno dopo le elezioni; la sostanziale sparizione delle istanze populiste e antieuropeiste della Lega, già oggi conclamata; l’abiura dell’”uno vale uno”; la probabile fine del campo largo “Pd-5 Stelle”, che più che un campo largo sembra oggi un abbraccio mortale; i vagiti ancora poco controllati di un nuovo Centro europeista, atlantista e finalmente distante dal partito della spesa pubblica “a prescindere”. Poco e male ma qualcosa si sta muovendo; la consapevolezza crescente che è meglio avere al governo Mario Draghi competente, autorevole e ascoltato e non qualche incompetente, verboso e totalmente vuoto di contenuti; Partendo dalle drammatiche elezioni del 2018, non è poca cosa. Una legislatura iniziata nel peggiore dei modi con il Conte I, continuata con il governo Conte II e con un Parlamento spappolato in cambi di casacca e con una qualità media pessima, finiamo almeno con alcune consapevolezze e con Mario Draghi ancora alla guida nella fase d’uscita dall’emergenza Covid e durante la peggiore crisi di politica estera del dopoguerra per quasi il 50 per cento della legislatura. Non è poca cosa. E per fortuna Draghi ha accettato di servire il Paese nonostante dovesse confrontarsi con Salvini & C. e non più con Weidmann, Olli Rehn o Ben Bernanke. Come non capire i momenti della sua frustrazione… Le elezioni sono alquanto vicine. Il quadro geopolitico ed economico è totalmente stravolto per almeno i prossimi dieci anni. Il Parlamento uscito dalle elezioni del 2018 è stato il peggiore possibile di sempre. Occorre cercare di capire cosa c’è in gioco nel Parlamento del 2023, perché la crisi ucraina e le sue conseguenze non diventino drammatiche più di quanto lo siano già. Bisogna capire e spiegare le implicazioni di medio termine per la nostra società, per l’Italia e per l’Europa. Il presidente ucraino Zelensky ha dimostrato che ci si deve difendere da soli, pagando un prezzo enorme per questa scelta incredibilmente coraggiosa. Noi dovremo difenderci nel modo che oggi sembra essere inadeguato, ma che resta il migliore nel mondo, vale a dire con la democrazia e con il voto. Se non lo sapremo fare, il prezzo sarà enorme anche per noi, speriamo non in termini di vite umane, ma certo in termini di capacità di garantire ai nostri figli e hai nostri nipoti una terra e una nazione dove i loro talenti possano crescere e prosperare. Abbiamo, anche per merito del sacrificio degli ucraini, una grandissima occasione per crescere e superare alcuni nostri limiti endemici. Non possiamo mancare l’appuntamento non fosse altro che per onorare il sacrificio della vita di donne e bambini innocenti a Kiev…

(fine)

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