Guerra: sentimenti molto diversi riguardo alla guerra in Ucraina in Europa. È sempre più probabile uno scenario coreano per l’Ucraina…

Si parla sempre più chiaramente di un conflitto Stati uniti-Russia riferendosi al conflitto in corso in Ucraina. Le enormi risorse che l’Amministrazione Biden sta riversando a sostegno del governo di Kiev fanno identificare gli USA come il vero e principale nemico di Putin… È così? Il presidente Usa promette di dare tutte le armi che servono a Kiev per battere la Russia. Di negoziare nessuno ne parla più: la guerra sarà  quindi lunga e sempre più d’attrito.  La risposta di Biden alle minacce di Putin è netta. Gli Stati Uniti non si fanno intimidire dalla paura del possibile conflitto nucleare ipotizzato dal Cremlino e rilanciano gli aiuti all’Ucraina (33 miliardi di dollari di cui 20 in armamenti) in una escalation verbale che va di pari passo con quella militare. Ma, nonostante tutto ciò, in realtà a guardare bene la situazione, non è l’America il vero perno e la spinta principale contro la Russia. Lo sono invece,  i Paesi più vicini al fronte, quelli dell’ex impero sovietico, come i tre Baltici (Lituania, Estonia e Lettonia), la Polonia, la Slovacchia la Moldavia e la Romania che sono fortemente impegnati contro la Russia e avrebbero forse anche voluto scendere in guerra accanto all’Ucraina. Da un’altra parte però c’è la Germania, il singolo Paese che ha avuto maggiori vantaggi dalla fine della Guerra fredda in Europa. La Germania si è riunificata, ha preso sotto il suo ombrello economico Paesi come la Polonia o i Baltici, e ha allontanato la minaccia geostrategica russa con una nuova linea di alleati Nato e una linea di Paesi “cuscinetto”, come Bielorussia e Ucraina. Inoltre, contava di assicurarsi la fedeltà di Mosca come suo maggiore fornitore di denaro, il bene di cui la Russia aveva più bisogno. La conquista russa della Crimea del 2014 e il sostanziale colpo di Stato filorusso in Bielorussia del 2020 avevano però assottigliato lo spazio di sicurezza tedesca. Un’eventuale caduta dell’Ucraina completamente sotto l’egida russa avrebbe avvicinato pericolosamente Mosca a Berlino. Quindi oggi la Germania deve fare i conti con il fallimento della sua politica di comprarsi benvolere in Russia appaltandole il 60% delle sue importazioni di gas, deve perciò ripensare tutta la sua pianificazione energetica e qui ci sono costi enormi economici da considerare. Ma in un Paese ben cosciente del dramma di essere stato diviso in due fino a 30 anni fa, con una parte occupata di fatto dai russi, l’avanzata aggressiva in Ucraina è il ritorno di un incubo. Da un’altra parte ancora ci sono Paesi come l’Italia e forse anche la Francia dove il conflitto sembra quasi lontano, remoto e dove i suoi costi sono oggi l’unica cosa chiara. Quindi l’aumento del gas nelle bollette è un elemento fortemente divisivo. In questa situazione è chiaro che Mosca vuole/deve giocare il vecchio principio del “divide et impera” mettendo da una parte gli interessi di Polonia, da un’altra gli interessi tedeschi, da un’altra ancora quelli di Italia o Francia. Così la Russia potrebbe facilmente estendere la sua influenza politica su tutto il continente e quindi premere per estrarre vantaggi strategici ma anche economici da ciascun Paese separatamente. In questa situazione allora è chiaro che non c’è un’unica Europa. Ci sono interessi specifici di ciascun Paese diversi l’uno dall’altro e anche in contrasto fra loro. E in questo orizzonte oggi, così come fu dopo la Seconda guerra mondiale, l’unico equilibrio unificante dell’Unione europea  lo mette in campo l’America e il suo Atlantismo spinto, che cerca di trovare una mediazione possibile nei fatti tra gli interessi contrastanti dei singoli Stati europei. Oggi come ottant’anni fa, l’Europa sta contraendo un debito di riconoscenza verso l’America, che garantisce sicurezza e stabilità contro aggressività e autocrazia. La Russia ha perso la battaglia delle idee e vuole vincere quella sul campo. Siamo sicuramente ad un bivio storico per l’Ue e l’Italia. Il “fronte unito” europeo oggi vuole le sanzioni contro la Russia come scelta mediana tra francesi e italiani che vorrebbero fare poco e polacchi e baltici che vorrebbero fare molto sull’Ucraina. In altre parole, oggi come dopo la Seconda guerra mondiale se non ci fosse l’America l’Europa sarebbe in guerra al suo interno tra alleati della Russia e suoi nemici e tra di loro con polarizzazioni a geometria variabile. Di questo gli europei dovrebbero essere coscienti e comportarsi di conseguenza nei confronti dell’America. Infatti, oggi come ottant’anni fa, è l’America che fa l’Europa… Gli Stati Uniti quindi nell’essere il “fuoco” della guerra in Europa sono di fatto anche l’argine contro una effettiva estensione del conflitto nel vecchio continente. La politica aggressiva del presidente russo Vladimir Putin, infatti, fa tornare l’Europa al suo passato ancestrale, tormentato per migliaia di anni di ‘massacri’ fra vicini. Se però gli europei dimenticano questo orizzonte ampio, che hanno dato per scontato per ottant’anni ma scontato non è affatto, allora la guerra in Ucraina ci arriva in casa. Per l’Italia praticamente una Russia più aggressiva potrebbe di nuovo fomentare divisioni nei Balcani che minaccerebbero direttamente tutto l’Adriatico da Trieste in giù. Sia chiaro: con ciò non significa che l’America è perfetta e i suoi rapporti con l’Europa nel suo complesso e con i singoli Paesi europei, siano privi di difetti, anzi. Però occorre che tutti ci ricordiamo qual è l’orizzonte entro cui ci muoviamo. Da una parte c’è un ritorno di fatto a una politica ottocentesca che misura tutto con il metro dello spazio vitale, un concetto che non ammette una fine e quindi porta con sé una serie di guerre infinite. D’altra parte, c’è un’idea diversa di basare le relazioni tra gli Stati su una crescita economica sociale comune. Anche questa crescita non è una panacea e ha mille problemi, ma almeno limita in linea di principio il ricorso alla violenza, anche se l’America per prima è spesso andata in guerra, ma ad altre latitudini. Se la Russia avesse voluto contrastare la presenza e influenza americana in Europa in maniera positiva avrebbe dovuto proporre agli Stati europei un modello più pacifico, più liberale, più aperto di quello statunitense. In realtà l’aggressività americana vera o presunta ha avuto come risposta un atteggiamento ancora più aggressivo, meno pacifico, meno liberale e meno aperto da parte della Russia. Perché gli europei dovrebbero scegliere allora la Russia all’America oggi? Paesi europei possono scegliere la Russia per amore di vantaggi economici di breve termine, per timore della sua ira, perché alla fine Washington spaventa di meno, è più buona, tollerante. Dopodiché per amore della pace, e proprio il nome di un principio di libertà e apertura, è opportuno cercare di “porgere l’altra guancia” politica. Serve allora trovare una soluzione che minimizzi i danni delle battaglie e porti a un cessate il fuoco il prima possibile, evitando degenerazioni progressive. Ma questo non significa, non deve significare, non capire l’orizzonte in cui ci si muove. Sul fronte della chiesa, per esempio, gli ortodossi stanno tentando da oltre un mese di dichiarare una specie di guerra santa in Ucraina. A questa guerra santa dei russi, alcuni Ucraini o polacchi vorrebbero rispondere forse con una loro contro guerra santa. Sarebbe una follia, un ritorno al Medio Evo, e la risposta saggia del Papa è rifiutare il contrasto dell’uno contro l’altro benedicendo invece sia russi che ucraini. Il Papa ha poi cercato e cerca un dialogo con il patriarca Kirill. Questi sforzi strenui di pace non devono però far perdere di vista che, piaccia o non piaccia, la realtà della situazione. Kirill vuole la guerra santa, mentre il Papa non lo vuole. Non sono tutti e due la stessa cosa, anche se per amore di pace probabilmente il Papa non vorrà dirlo. L’attuale politica filoeuropeista degli Usa poi ha costi enormi a casa. Una parte degli americani è, a ragione o a torto, stufa di pagare il conto per europei che poi alla fine non sono nemmeno grati. L’istinto di alcuni americani di estrema destra (trumpiani) sarebbe stato di spartirsi l’Europa con Putin, cosa che avrebbe portato alla fine definitiva dell’Unione Europea. In tal senso forse è dovere dei Paesi europei, per la loro stessa indipendenza politica ed economica, di cercare di assistere certe politiche americane e non contrastarle. Se Washington cambiasse atteggiamento, Mosca ci arriverebbe sotto casa. Forse sarà giusto (ma personalmente ne dubito) che i russi dominino il Mediterraneo, ma questo cambierebbe ottant’anni di uno status quo che ha funzionato, portato sviluppo e maggiore pace. L’offerta russa è invece ben lontana dalla proposta americana, ad essere generosi. In che orizzonte può e deve stare la Cina qui? L’ideologia che muove le azioni di Putin e quelle di una certa destra americana ed europea dovrebbe spaventare a morte Pechino. Sono idee profondamente razziste, che difendono un vecchio suprematismo bianco e occidentale contro tutto quello che è diverso. Questa idea porta inevitabilmente, prima o poi a un conflitto esistenziale della Cina con un occidente razzista. Oggi il contrasto con il governo della Cina è su valori di libertà, mercato, non religiosi e di razza. Che Pechino invece oggi appaia alleata con i suprematisti bianchi russi contro i liberali, da senso che forse anche qui, come nel caso dell’Ucraina, ci sia stato un errore di valutazione. Lo stesso errore non possono permettersi Europa e Italia. Il massiccio invio di armi offensive, la visita di Austin e Blinken a Kiev segnalano la fase due della guerra in Ucraina. Il Paese martoriato è destinato quindi a diventare frontiera di una nuova Guerra Fredda tra Stati Uniti e Europa con la Russia in un conflitto d’attrito. Come settant’anni fa successe in Corea. La visita a Kiev di Antony Blinken e Lloyd Austin, Segretari di Stato e della Difesa degli Stati Uniti, segna quindi un ulteriore cambio di passo esplicito nella strategia americana. Due mesi di guerra russa hanno portato Washington a rivedere i suoi obiettivi. Nella prima fase dell’invasione l’invio di armi e le sanzioni sono serviti ad aiutare l’Ucraina a difendersi dall’aggressione. Nella seconda fase, aperta da Vladimir Putin con la nuova campagna per il Donbass, l’obiettivo è impedire all’Ucraina di perdere. Una terza fase si scorge già all’orizzonte e consiste in un contenimento della Russia attraverso un lento logoramento sul campo. Una guerra congelata che nasconde una posta in gioco più alta. La Russia deve perdere. Come e quando sarà da vedere. Quanto alle intenzioni della Casa Bianca, da Kiev una risposta senza mezzi termini è stata data da Austin, con un riferimento solo apparentemente limitato allo scontro militare. Gli Stati Uniti, ha spiegato il capo del Pentagono, vogliono vedere “una Russia indebolita”. Contrariamente alle intenzioni iniziali di Putin, la guerra in Ucraina è diventata anche una guerra per procura. E il Paese Est-europeo il terreno di un confronto aperto, sempre più esplicito, tra Russia e Stati Uniti. Resterà tale? Le premesse di una guerra di attrito ci sono tutte. Sul campo – lo ha riconosciuto Boris Johnson – l’Occidente non esclude una vittoria di breve termine della Russia in Donbass e nel Sud del Paese. Quanto basti a Putin per rivendicare una vittoria a casa, magari entro il 9 maggio, quando Mosca celebrerà la sconfitta della Germania nazista. Ma anche un’ipotesi del genere non cambia il corso degli eventi. Il rafforzamento della Nato, consolidata militarmente sulla frontiera Est e pronta a spostarsi a Nord con la candidatura di Svezia e Finlandia, rende l’attrito con Mosca una costante con cui si dovrà fare i conti a lungo. Di questo cambio di fase sembra pienamente consapevole l’amministrazione americana. Che con il viaggio di Blinken e Austin conferma la nuova realtà di fatto: l’Ucraina è la linea di faglia della Guerra Fredda 2.0 con Mosca. Con il senno di poi, suonano meno casuali e più coerenti le dichiarazioni di Biden, peraltro da lui mai smentite, sulla necessità di una Russia senza Putin al potere. Non un piano di regime change, questo sì smentito dalla Casa Bianca, ma la constatazione che dal 24 febbraio scorso la rivalità e l’incompatibilità tra Occidente e Russia putiniana hanno imboccato una strada senza apparente ritorno. Non è un caso se dall’inizio della guerra molte delle linee rosse inizialmente tracciate siano state varcate. Lo dimostra il salto di qualità nell’invio di armi all’Ucraina, più di tre miliardi di dollari in otto settimane. Non più armi e sistemi di difesa, ma equipaggiamento militare dall’alto potenziale offensivo, dagli elicotteri ai droni di ultima generazione, pensate per assestare un colpo significativo alla capacità operativa dell’Armata rossa. Una potenza di fuoco che otto anni fa, quando Putin invadeva il Donbass e la Crimea, Barack Obama non ha neanche lontanamente pensato di mettere a disposizione di Kiev. Il confine tra una guerra per procura e un conflitto diretto è tuttavia molto più labile di quanto sembri a prima vista. E infatti nel dibattito americano non mancano in queste settimane posizioni che prendono atto di questo precario equilibrio. Sullo sfondo si fa strada una certezza: l’alleanza atlantica è irrimediabilmente destinata a farsi garante della sicurezza ucraina. O meglio dell’Ucraina che forse uscirà intera da questa guerra, decisa a proseguire e accelerare la marcia verso Occidente. In questo quadro – e nello stallo pressoché totale dei negoziati, resi nulli dall’inamovibilità di Putin – è il momento di chiedersi quale forma prenderà il nuovo contenimento russo in Est Europa. Per l’Ucraina sembra aprirsi uno scenario coreano. La guerra di Corea negli anni ’50 è stato il primo vero campo della Guerra Fredda tra americani e sovietici. Oggi la guerra di logoramento in Ucraina si candida ad accendere una nuova Guerra Fredda. Il playbook presenta somiglianze: come nel 1950 Stalin, Mao e Kim Il Sung hanno gravemente sottovalutato la durata, la portata e il costo dell’invasione della Corea del Sud, insieme alla reazione americana, così Putin ha sottovalutato lo tsunami che avrebbe innescato la sua “operazione speciale” in Ucraina. Con la differenza che oggi i ruoli sono invertiti, ha notato l’ex consigliere della Casa Bianca Matt Pottinger: Xi Jinping nel ruolo di Stalin, Putin nei panni di Mao, risoluto a inviare “le sue truppe al massacro”. Il corso dei combattimenti delineerà nelle prossime settimane e mesi il “38esimo” parallelo in Ucraina. Lungo quella frontiera – e fra le trincee di una guerra congelata ma sempre pronta a rinfiammarsi ­– si decideranno le sorti di uno scontro destinato a rimodellare l’agenda strategica americana più di quanto si possa immaginare. Non a caso a Washington è in corso una frenetica attività di riscrittura delle priorità della prima strategia di Difesa americana dell’amministrazione Biden pronta alla pubblicazione. Accanto al decennale pivot asiatico, entrato nel vivo con un nuovo e più deciso contenimento militare ed economico della Cina nell’Indo-Pacifico, si affaccia un nuovo pivot europeo dai contorni ancora indefiniti…

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