Assunzioni e dimissioni in calo, licenziamenti e voucher in crescita.
Sui dati Inps c’è un allarme generale Abbiamo forse bisogno di più analisi e di meno allarmismo. Cerchiamo di fare un po’ chiarezza: i voucher sono effettivamente cresciuti molto. Passando da 15 milioni nel 2011 a 115 milioni nel 2015 e a 96,6 milioni nei primi 8 mesi del 2016. Il numero di persone che ha utilizzato i voucher è stato 1 milione 400 mila nel 2015, con un numero di voucher medio di 60 e un reddito medio da voucher inferiore a 500 euro netti nell’anno. Ebbene, se queste persone avessero lavorato solo il numero di ore registrate dai voucher, avremmo dovuto trovarne un riscontro nei dati Istat, attraverso una percentuale più alta del passato di occupati che lavorano poche ore. Invece non è successo. Nonostante diminuisca il numero complessivo di ore lavorate rispetto a inizio crisi, la percentuale di occupati che lavorano poche ore nella settimana è rimasta stabile. Sono infatti l’1,6% quelli che lavorano fino a 8 ore e il 3,7% da 9 a 16 ore. Come si concilia questo dato con il «boom dei voucher» di cui tanto si è parlato?
I voucher, probabilmente, sono andati a coprire, per una parte importante, una porzione di lavoro sommerso di lavoratori che, nella rilevazione Istat, venivano intercettati con il loro effettivo numero di ore lavorate e sono regolarizzati solo per una minima parte di queste. Il dato dell’Istat quindi, potrebbe confermare l’ipotesi, riportata dalla interessante ricerca dell’Inps e di Veneto Lavoro sui voucher, secondo la quale assistiamo a una «regolarizzazione minuscola (parzialissima) in grado di occultare la parte più consistente di attività in nero». Una porzione di lavori di poche ore e a basso reddito ci sarà, specie tra i giovani, ma probabilmente sarà minoritaria. Inoltre, stando all’Inps, circa la metà degli utilizzatori si muove sul mercato del lavoro «tra diversi contratti a termine o cercando di integrare rapporti di lavoro a part time o indennità di disoccupazione» e anche questo spiega perché la percentuale di occupati che lavorano poche ore non cresce. L’altra metà risulta formata soprattutto da giovani, donne in età centrale e pensionati. I voucher sono forniti da piccole imprese, restano escluse le famiglie, che non li utilizzano perché non possono permetterselo o perché non ne sono informate, più probabilmente perché tutto rimane nel sommerso, e non è conveniente alla famiglia stessa e/o al lavoratore l’emersione con il voucher.
Quanto all’aumento dei licenziamenti, altro argomento «caldo», nell’affermare che sono dovuti alla soppressione dell’articolo 18, occorre per affermarlo con sicurezza sapere quanti sono relativi a imprese sopra o sotto la soglia dei 15 dipendenti. E inoltre, bisogna tenere conto della nuova legge contro le dimissioni in bianco. Una parte dei licenziamenti potrebbe essere riferita all’emersione di ex dimissioni in bianco e in questo caso si tratterebbe di un dato con un aspetto parzialmente «positivo», dal momento che ci sarebbero almeno tutele e diritti per i lavoratori licenziati. Bisogna verificare quanti tra i licenziati sono donne e immigrati, i segmenti più vulnerabili e ricattabili, così facendo l’informazione più articolata faciliterebbe una lettura chiara del dato.
Infine: la diminuzione delle assunzioni era un risultato prevedibile e atteso. Diminuisce per le imprese l’incentivo economico ad assumere e non possiamo certo meravigliarci che si assuma di meno. Le imprese che hanno già assunto l’anno precedente, non sono quelle che hanno iniziato a licenziare questi assunti, poiché così facendo, perderebbero i benefici acquisiti. Un’ultima considerazione: i dati dell’Istat sull’occupazione segnalano nel secondo trimestre una crescita, soprattutto per l’occupazione dipendente a tempo indeterminato. A differenza del passato non si tratta solo di ultracinquantenni (in gran parte effetto delle mancate uscite per pensione) ma anche di giovani fino a 34 anni.
Il ritmo di crescita dell’occupazione non è elevato, tuttavia il segno è positivo e non solo per l’aumento della permanenza nell’occupazione. Certo luglio ha segnato una diminuzione, con un lieve recupero in agosto. Certo è che abbiamo molta strada da fare per recuperare i dolorosi colpi di questa crisi lunga e intensa. Dovrebbero averlo compreso ormai tutti e dovremmo (in primis il Governo) cercare di concentrarci su una lettura seria dei dati, senza farci influenzare da interessi di schieramento. I numeri servono per capire la realtà e agire meglio e con più efficacia per cambiarla… e il Job Act tra chiari e scuri, forse già dovrebbe trovare una sua manutenzione per cambiare quello che non sta funzionando…
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