“II jobs act sta ingessando il mercato e facendo aumentare i licenziamenti”.
Così asserisce Michele Tiraboschi, giuslavorista e direttore del centro studi Adapt fondato da Marco Biagi, descrive così i dati del Ministero del Lavoro del secondo trimestre 2016 (-79mila contratti a tempo indeterminato, + 7,4% di licenziamenti e dimissioni in calo).
Ho, già accennato da questo Blog alla “Babele” dei dati sull’occupazione del nostro …sempre meno “Bel Paese”.
Cosa dicono effettivamente questi numeri?
Quel che era prevedibile: uno degli obiettivi del jobs act oltre quel che si è comunemente detto delle rigidità del nostro mercato del lavoro: era rendere più facile licenziare, come infatti sta avvenendo, ma ciò veniva blandito con l’idea che togliendo l’art. 18 questo avrebbe fatto aumentare le assunzioni stabili … idea “stramba” che si è dimostrata fallimentare.
Con in più una grave complicazione: il governo ha creato due regimi, quello degli assunti prima di marzo 2015, che mantengono l’articolo 18, e quelli assunti dopo, che non lo hanno.
Le dimissioni calano bruscamente perché le persone hanno paura di cambiare lavoro per fare esperienza o migliorare la carriera perché sanno di perdere l’articolo 18. Non c’è maggiore mobilità e neanche più assunzioni. Per il ministero è l’effetto della legge che ostacola le dimissioni in bianco.
Francamente non sembra così: è una normativa in vigore da anni e poi modificata. Pietro Ichino, uno dei padri del Jobs Act, disse già chiaramente al varo della riforma che abolire le tutele per tutti …avrebbe alla fine provocato un aumento dei licenziamenti.
Come sta già avvenendo: finita la droga degli incentivi per chi assumeva nel 2015, oggi sono saliti del 7,4%.
Si disse anche che quello a “tutele crescenti” …è un contratto stabile! Infatti un anno fa, il governo enfatizzò i dati sull’aumento degli occupati stabili.
Il rischio che tutto ciò poteva essere un boomerang, fu fatto presente… lo scrissi in un post e me l’aspettavo al termine degli sgravi triennali. E invece abbiamo già un quadro sinistro dopo un solo anno: se oggi crescono così tanto i licenziamenti, immagino fra due anni quando le imprese avranno un incremento fortissimo del costo del lavoro e non tutte sapranno affrontarlo.
Si vedrà così ancor più chiaramente che non di “contratto a tutele crescenti” si trattava …ma di un contratto… che garantisce delle indennità economiche di poco peso in caso di licenziamento: dopo tre anni si pagano solo 6 mensilità, molto meno di quanto incassato con gli incentivi.
Il problema è di fondo. Vi chiederete in che senso?
Non si costruisce un edificio partendo dal tetto: senza l’articolo 18 è più facile licenziare, quindi se lo togli devi prima avere un sistema efficiente di ricollocazione, riqualificazione, formazione professionale e welfare adeguato. Nulla di tutto questo è stato fatto. Senza crescita è però difficile creare lavoro. Gli incentivi sono costati 20 miliardi dati alle imprese per promuovere alla fine un “finto” contratto stabile di lavoro a fronte di soli 80 milioni per il ricollocamento.
Nulla per le politiche attive e 20 miliardi per una alla fine …controproducente manovra di propaganda elettorale che offende la sensibilità delle persone.
Non si migliora il lavoro a colpi di leggi ma di politiche, e quelle le fa il Parlamento, non il governo.
Perché aumenta quasi solo la fascia di occupati over 50? La riforma Fornero ha allungato l’età pensionabile. Non sono quindi nuovi occupati reali. Come si comprende e spiega dall’esponenziale boom dei voucher!
È grave che il ministero non faccia un monitoraggio.
Il problema era l’abolizione dei lavoratori a progetto: il governo pensava che sarebbero stati stabilizzati con gli sgravi… invece sono stati semplicemente convertiti in …voucheristi.
Sì, proprio così ma lo si sa che “…le bugie hanno le gambe corte!”
E’ sempre tempo di Coaching!
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