Italia: la ripresa c’è, il problema resta il lavoro…

Rivisti in leggero rialzo i dati precedenti, ora le previsioni di crescita per il 2021 sono superiori a quelle precedentemente stimate dal governo e puntano al 6%. Gli effetti della pandemia sul sistema produttivo non sono ancora del tutto chiari, ma il punto critico resta l’occupazione: qualche passo avanti, ma ancora circa 700.000 posti in meno del pre-Covid, e il prossimo futuro rimane a riguardo una grossa incognita. Anche l’economia italiana, come quella europea e mondiale, si è finalmente avviata sulla strada della ripresa. I dati definitivi di contabilità nazionale relativi al primo trimestre mostrano un andamento migliore rispetto alla stima preliminare ed anche l’intero 2020 è stato rivisto leggermente al rialzo. Il Pil è tornato lievemente ad aumentare dello 0,1% rispetto al quarto trimestre 2020 (contro il -0,4% della stima flash), mentre in termini tendenziali sconta ancora un calo dello 0,8%, che però è nettamente inferiore rispetto al -1,4% del preliminare. La variazione acquisita per il 2021, secondo l’Istat, è già adesso pari al 2,6% e alcune previsioni per l’intero anno puntano a una crescita attorno al 6%, superiore a quella programmatica indicata dal governo nel Def (4,5%). Questo sarebbe possibile grazie a un aumento congiunturale del Pil di circa l’1% nel secondo trimestre e di oltre il 2% nella seconda parte dell’anno. La ripresa per ora appare legata soprattutto agli investimenti e alle esportazioni. I primi nel periodo gennaio-marzo sono aumentati, rispettivamente, del 3,7% sul trimestre precedente e dell’11,4% sull’anno grazie al contributo positivo proveniente sia dagli impianti, macchinari e mezzi di trasporto sia ancor di più dalle costruzioni. Sul questi andamenti hanno inciso, da un lato, le misure di sostegno alle imprese e gli incentivi energetici a favore dell’edilizia varati dal governo, dall’altro, l’avvio o la prosecuzione, a seconda dei casi, del processo di ammodernamento degli impianti dovuto alla digitalizzazione e all’avvento delle nuove tecnologie green. A tutto questo si aggiungano altri due importanti elementi. Il primo è che le imprese stanno ricostituendo le scorte di materie prime e di prodotti intermedi sia per timore di nuovi rincari – cosa che sta avvenendo – sia per i problemi di approvvigionamento iniziati con la pandemia, che in alcuni casi ancora persistono. Il secondo elemento è che anche gli investimenti pubblici, dopo aver toccato il fondo, appaiono in ripresa e lo saranno ancor di più quando verranno erogate le risorse del Pnrr. Le esportazioni, dal canto loro, stanno beneficiando della graduale riapertura dei mercati internazionali, con un aumento congiunturale nel primo trimestre dello 0,5% e tendenziale dell’1,2%. All’appello mancano ancora i consumi delle famiglie, che nel primo trimestre sono diminuiti dell’1,2% rispetto ai tre mesi precedenti e del 4,2% tendenziale. Le famiglie hanno reagito alla crisi rafforzando i risparmi sia per scelta sia per necessità a causa della chiusura di molte attività erogatrici di servizi. Con la fine del lockdown e la ripresa del turismo e dei servizi alla persona ci si attende un graduale recupero anche della spesa delle famiglie. Ma la vera svolta nei consumi non può prescindere dalla ripresa dell’occupazione, la sola che può dare un orizzonte stabile alle famiglie. Il dato di maggio conferma la prosecuzione di un lento recupero iniziato a febbraio, con un aumento di 180.000 occupati in quattro mesi, che riguarda entrambe le classi di genere e i contratti a tempo determinato. Ma rispetto all’inizio della pandemia (febbraio 2020) ci sono oltre 700.000 persone occupate in meno, in gran parte con contratti a termine e altre forme di flessibilità, mentre il tasso di occupazione è diminuito di 1,5 punti percentuali. Il tasso di disoccupazione è al 10,5% e quello di inattività al 36%, entrambi al di sopra dei valori pre-Covid. Il governo è appena intervenuto in materia di lavoro con un decreto, che sancisce dopo un anno e mezzo la fine del blocco dei licenziamenti per motivi economici nell’industria. Le uniche eccezioni riguardano le imprese del tessile-abbigliamento-calzature, per le quali sono previste altre 17 settimane di cassa integrazione gratuita, dal 1° luglio fino al 31 ottobre. Queste aziende, tra le più colpite dalla crisi, rientrano nella normativa prevista per le piccole imprese e per quelle del terziario, che mantengono anche loro fino al 31 ottobre il divieto di licenziamento. Anche le aziende che hanno tavoli di crisi aperti al Mise hanno la possibilità di utilizzare ancora 13 settimane di Cig gratuita. Per tutte le altre imprese vi è adesso la possibilità di licenziare, anche se vi è una sostanziale moral suasion, da parte di Confindustria e delle principali organizzazioni datoriali, a non farlo in tutti i casi in cui vi sia la possibilità di utilizzare la Cig ordinaria o altri strumenti alternativi. Il rilascio, sia pur graduale, delle misure emergenziali a difesa dell’occupazione rende ancora più incerte le prospettive del mercato del lavoro. E’ vero che non era pensabile mantenere all’infinito le misure di protezione, ma adesso si apre una fase molto delicata, che farà cadere il velo sulla situazione effettiva del sistema produttivo italiano. Ci sono imprese che non hanno chiuso i battenti nel pieno della crisi, perché contavano di usufruire delle varie forme di sostegno governative, compresa la cassa integrazione, e che ora fermeranno definitivamente l’attività. Altre imprese, che avevano cominciato ad investire nella digitalizzazione e nelle tecnologie ambientali già prima della crisi o che hanno cominciato a farlo durante la recessione, porteranno a termine i loro piani di trasformazione con conseguenze sull’occupazione che in pochi sono in grado di prevedere. Senza dimenticare le profonde differenze settoriali. Comparti come il commercio, i trasporti, l’alloggio e la ristorazione, che più hanno sofferto nell’ultimo anno e mezzo, vedranno sicuramente un rimbalzo nella loro attività, che però determinerà soltanto un aumento di contratti a tempo determinato, come già sta avvenendo. Quanto resterà invece dell’occupazione “buona”, quella con i contratti a tempo indeterminato, e dell’occupazione “sicura”, quella dei quarantenni-cinquantenni per i quali vale ancora l’art. 18? Tutte domande che è doveroso porsi, anche da parte del governo, in una fase in cui la fine delle misure congiunturali si accompagna al procedere di intensi fenomeni di ristrutturazione dell’apparato produttivo.

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