Italia: “ultima chiamata”. Questa è la grande occasione per il Pd (e Conte) di cambiare il volto dell’Italia…

Dopo l’accordo sul Recovery Fund: “Non c’è da sedersi sugli allori”, dice giustamente Giuseppe Conte dopo la battaglia (vinta) di Bruxelles. I partiti che lo sostengono lo hanno subito preso in parola: basta festeggiamenti per il Recovery Fund e via alla discussione su chi, come e quando dovrà gestire la montagna di soldi — sono ben 209 miliardi — in arrivo dall’Europa. I fronti, però che si aprono subito, sono almeno tre. Primo, il Recovery che il premier dovrebbe gestire con i ministri e i funzionari più importanti in un organismo poco noto di nome Ciae (Comitato interministeriale affari europei) voluto a suo tempo da Mario Monti. Ma c’è chi teme (non solo dall’opposizione) che Conte voglia proseguire nello stile decisionista e solitario inaugurato nella gestione del virus e chiede invece una Commissione Bicamerale. Secondo, visto che i soldi del Recovery si vedranno solo nel 2021, il Pd preme per chiedere anche i 37 miliardi del Mes,  che servirebbero alla sanità ma pure alla scuola e arriverebbero subito. Il no dei 5 Stelle sembra ancora una volta irremovibile e il premier continua ad assecondarli, il ministro della Salute Speranza (Liberi e uguali) si dice certo che quei soldi ci saranno. Terzo, la legge elettorale. Qui la partita vede M5S, Pd contro Italia viva (i renziani) e Leu, che non vogliono più votare il Germanicum con cui il resto della maggioranza vorrebbe sostituire il Rosatellum. Si riapre così, una discussione praticamente inutile, tra sistema elettorale maggioritario e sistema elettorale proporzionale. Il maggioritario è chiaramente tramontato all’insegna di un bipartitismo che non c’è più. Se ciò che fa veramente paura è la soglia d’ingresso al 5%, la si riduca pure al 3%, così le piccole formazioni politiche hanno più chances di rappresentarsi in parlamento, ma saranno rappresentate (si ricorda che a settembre oltre ad alcune regionali c’è anche il voto referendario sulla riduzione del numero dei Parlamentari) in base al voto, per quello che effettivamente raccoglieranno elettoralmente e che rappresenteranno nelle coalizioni di maggioranza di governo, che eventualmente parteciperanno a formare. Quindi, la Grande Occasione per rilanciare un forte profilo riformista e un suo protagonismo il Pd adesso ce l’ha davanti. Ora o mai più …si tratta di correre. Questa Grande Occasione è data per l’appunto dalla opportunità di dirigere la ricostruzione di una nuova economia nel Paese più adeguata ai tempi che viviamo (Green, Deal, Sanità, Digitalizzazione, Innovazione) grazie ai grandi finanziamenti, che il governo ha portato a casa da Bruxelles grazie alla lungimiranza della Commissione e dei grandi Paesi europei (Germania e Francia) oltre che alla caparbietà di Giuseppe Conte e dei suoi ministri, segnatamente Enzo Amendola e Roberto Gualtieri con il supporto fondamentale di Paolo Gentiloni e David Sassoli. Spente le luminarie della propaganda, svaniti gli echi degli applausi al premier (gli si passi stavolta anche la narcisistica passerella in Parlamento), si entra nella fase della impostazione del lavoro e, per fortuna, sembrano già scartate ipotesi di gestione barocca degli interventi (nessuna nuova task force, che a riguardo abbiamo già dato). Sottotraccia sono già partite le grandi manovre. Chi deve gestire il tutto? Il governo? Il Parlamento? La questione presenta profili nuovi perché inedito è il compito, in parole povere, di rifare l’economia italiana. Ma comunque la si giri non c’è dubbio che al governo Conte tocca in sorte la responsabilità pressoché totale dell’immane lavoro da fare. Non meravigli quindi la già annunciata competition fra i partiti a chi acquisirà maggiore visibilità: potrebbe perfino essere una “gara” virtuosa; sempre che si eviti il ridicolo, come non ha fatto ancora una volta Luigi Di Maio nel dare lezioni su cosa fare, dopo essere stato ai margini, se non addirittura totalmente fuori, dalla dura battaglia di Bruxelles. Un Piano per le Riforme ha bisogno di riformisti che sappiano scriverlo e poi realizzarlo. Il Partito democratico dovrà cercare di essere in grado di candidarsi alla guida della complessa operazione della gestione della fase che ora si apre. Dovrà cioè essere più bravo e più veloce a costruire progetti credibili contando sulla maggiore competenza dei già citati Gualtieri e Amendola e di esperti e alti funzionari dello Stato di sicura affidabilità, meglio se in asse con altre forze riformiste anche esterne alla maggioranza. Da questo punto di vista, l’idea della componente guidata dal ministro della Difesa Lorenzo Guerini “Base riformista” di mettere il Parlamento al centro della direzione politica del complesso uso dei fondi europei coglie l’esigenza di provare a condividere la politica economica del Paese anche con l’opposizione. Così come richiesto più volte dal Capo dello Stato Sergio Mattarella… Ma è anche chiaro che se quest’ultima si assestasse sui giudizi di Salvini e Meloni la fatica sarebbe del tutto inutile. Così come un pochino velleitaria appare anche la proposta del Presidente della Camera dei Deputati Roberto Fico di far votare a un Parlamento spaccato in due come una mela “atti di indirizzo” condivisi. Dunque, meglio sarebbe una chiara assunzione di responsabilità da parte del governo e, in seno ad esso, di una “squadra” a trazione chiaramente riformista. Il Pd sa evidentemente di avere molte più chance dei grillini di interloquire con il mondo del lavoro e quello delle imprese anche perché ha alle spalle una concreta esperienza di riforme: un solo esempio, Industria 4.0, che va rimessa in cima all’agenda di governo. Con tutto il rispetto per la legge elettorale, lo ius culture e tanto altro che formano l’identità di un partito riformista. Il Partito democratico deve prioritariamente mettere la testa su come procedere alla gestione politica del post-Bruxelles sapendo che su questo si gioca il senso stesso della sua missione politica complessiva. Ecco perché nelle prossime settimane e nei prossimi mesi al Nazareno si dovrebbe costruire una vera e propria agenda sulle cose da fare, le riforme essenziali da mettere in agenda e calcolare i relativi costi. Certo a partire dal Mes, una questione che non può essere lasciata cadere e sulla quale Zingaretti dovrebbe ricevere subito un segnale positivo, da un premier che sin qui è stato sicuramente troppo ambiguo. Si ritorna dunque così ad interrogarsi sul profilo politico del presidente del Consiglio. Sarà egli in grado di assecondare o addirittura di guidare una nuova fase che chiuda davvero con la cultura gialloverde dell’assistenzialismo e di un conseguente statalismo improvvisato e intrinsecamente populista? Ecco che, nelle prossime settimane, nei prossimi due mesi si vedrà davvero chi è Giuseppe Conte: se un politico sicuramente abile o uno Statista a tutto campo…

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