ITALIA: un paese di vecchi e giovani con un futuro difficile…

(parte seconda)

L’italia non è un paese per giovani! Lo si sente dire …sempre più spesso.

Non c’è dubbio che il nostro paese vede il progressivo invecchiamento della sua popolazione, fenomeno che unitamente ad una disoccupazione giovanile che continua ad essere attestata su una percentuale altissima attorno al 40% …comportano il progressivo aumento del disagio e del conflitto sociale.

Se poi a tutto questo quadro andiamo ad aggiungere anche le avverse condizioni economiche (compresi i grossi problemi strutturali e fiscali che frenano gli investimenti dall’estero nel nostro Paese) guardare ad un futuro che non sia un semplice ‘DECLINO’ è sempre più complesso.

Ma purtroppo non è finita qui.

Gli ultimi dati dell’ISTAT sono più che preoccupanti:“La popolazione residente in Italia è sostanzialmente arrivata alla crescita zero: i flussi migratori riescono a malapena a compensare il calo demografico dovuto alla dinamica naturale”.

Sempre l’Istat rileva che: Nel 2014 siamo arrivati a 60.795.612 unità, con un aumento di appena 12.944 rispetto all’anno precedente. Il movimento naturale della popolazione (nati meno morti) ha fatto registrare nel 2014 un saldo negativo di quasi 100 mila unità, che segna un picco mai raggiunto nel nostro Paese dal biennio 1917-1918 (primo conflitto mondiale). Sono stati registrati quasi 12 mila nati in meno rispetto al 2013. Anche i nati stranieri continuano a diminuire (-2.638), pur rappresentando il 14,9% del totale dei nati. La mortalità resta stabile, con una lieve diminuzione in valore assoluto (-2.380).

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In altri termini, neanche la Prima Guerra Mondiale aveva portato ad un bilancio demografico come quello emerso oggi dal report Istat riferito al 2014.

Dati allarmanti, che raffigurano un Paese ormai sempre più vecchio (età media 44,4 anni), un inesorabile crollo delle nascite (-12mila nati rispetto al 2013), capace di mantenere la sua capacità demografica solo grazie agli immigrati.

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Come garantire in queste condizioni un futuro al nostro paese?

Come rendere sostenibile, conseguentemente, un decente e difendibile welfare per chi è condannato a pagare, pagare e pagare, ottenendo in cambio, già oggi, servizi pubblici assolutamente deficitari, con prospettive ben peggiori?

Se poi tocchiamo il tema pensioni… sono veramente guai (esodati, rivalutazioni solo parziali delle pensioni, non flessibilità in uscita, non definizione lavori usuranti, ecc.ecc.) …lasciamo perdere per carità!

I dati sulla disoccupazione italiana ci fanno vedere una realtà impressionante.

Anche se il tasso disoccupazione italiano in generale è migliorato, ciò che più preoccupa è il tasso sulla disoccupazione giovanile, ai massimi dal 1977, ovvero da quando viene misurato… “I giovani rappresentano da sempre una delle categorie più vulnerabili. Nel 2013 il tasso di disoccupazione giovanile in Italia raggiunse il livello più elevato, pari al 40,0 per cento, in aumento di 4,7 punti percentuali rispetto a un anno prima e di 16,5 punti rispetto al 2004. Permane il divario di genere, ma sempre più in attenuazione rispetto al 2012: il tasso di disoccupazione giovanile delle donne italiane (41,4 per cento) supera quello maschile di 2,4 punti. Pari al 4% in deciso aumento dal 43.1% della rilevazione precedente, significa che questo nostro paese è uno stato per vecchi”.

Oggi i disoccupati in Italia sono 3.15 milioni, come è stato detto in lieve calo rispetto al mese precedente (tasso disoccupazione Italia passa dal 12.6% al 12.3%).

Un dato che sembrerebbe positivo. Ma come è effettivamente la situazione?

Ad ottobre di quest’anno… si è accennato ad una “gelata autunnale sul mercato del lavoro”.

A settembre, infatti, sono calate sia l’occupazione che la disoccupazione, mentre è aumentata vistosamente la quota dei cosiddetti inattivi.

Lo certifica l’Istat secondo le stime del quale l’Italia ha perso 36mila occupati (-0,2%) e 35mila disoccupati (-1,1%), mentre ha “guadagnato” 53mila inattivi (+0,4%) di età compresa tra i 15 e i 64 anni. E così il tasso di occupazione è diminuito di 0,1 punti percentuali, arrivando al 56,5 per cento. Mentre su base annua l’occupazione cresce dello 0,9% (+192 mila persone occupate) e il tasso di occupazione di 0,6 punti.

Il tasso di disoccupazione, pari all’11,8%, è invece calato di 0,1 punti percentuali. Nei dodici mesi la disoccupazione diminuisce dell’8,1% (-264 mila persone in cerca di lavoro) e il tasso di disoccupazione di 1,0 punti. Quanto agli inattivi, il tasso è pari al 35,8%, in aumento di 0,2 punti percentuali.

Su base annua l’inattività è in calo dello 0,3% (-39 mila persone inattive) e il tasso di inattività rimane invariato.

In questo contesto la stima degli occupati 15-24enni diminuisce dell’1,2% rispetto ad agosto 2015 (-11 mila).

Sempre su base mensile, il tasso di occupazione giovanile, pari al 15,2%, diminuisce di 0,2 punti percentuali.

La stima del numero di giovani inattivi è quindi in aumento dello 0,5% nel confronto mensile (+22 mila) e il tasso di inattività dei giovani tra 15 e 24 anni aumenta di 0,4 punti percentuali, arrivando al 74,4 per cento.

Con riferimento alla media degli ultimi tre mesi, per i giovani 15-24enni si osserva il calo del tasso di disoccupazione (-0,6 punti percentuali), a fronte di una lieve crescita sia del tasso di occupazione (+0,1 punti) sia del tasso di inattività (+0,1 punti).

In termini tendenziali, rispetto a settembre 2014, il tasso di occupazione dei giovani 15-24enni cala di 0,8 punti percentuali, cala anche il tasso di disoccupazione (-1,3 punti), a fronte di una crescita del tasso di inattività di 2,0 punti.

Tanto è bastato a far dire al Premier che: “il Jobs act ha restituito credibilità a livello internazionale, ma soprattutto ha creato opportunità e posti di lavoro stabili. E’ la volta buona, l’Italia riparte”. Certo c’è “molto da fare, ancora. Ma non dimentichiamo dove eravamo”.

Il Ministero del Lavoro, dichiara che: “i dati dell’Istat confermano un miglioramento strutturale del mercato del lavoro sotto il profilo della quantità e della qualità: in un anno, gli occupati aumentano di 192mila unità, i disoccupati sono 264mila in meno e crescono i contratti stabili; inoltre, a settembre il tasso di disoccupazione scende all’11,8% e la disoccupazione giovanile, pur ancora molto elevata, cala al 40,5%”.

Meno euforica la dichiarazione del Presidente della Commissione Lavoro del Senato che rileva come: “l’Istat registra un mercato del lavoro che fatica a consolidare l’inversione di tendenza”. Ritorna quindi il tema della produttività quale presupposto per fare occupazione. E la produttività si fa con le nuove tecnologie e collegando ad essa i salari”.

Nel mezzo le associazioni di rappresentanza degli imprenditori parlano di “contenuto ridimensionamento rilevato a settembre nel numero di persone occupate che conferma la debolezza della ripresa in atto”.

Ma anche di un “dato che, comunque, non mette in discussione la tendenza al miglioramento generalizzato delle performance economiche dell’Italia”. Oggi, rilevano ancora le associazioni d’impresa: “il numero di occupati è superiore al minimo di settembre 2013 di 411mila persone, comunque ancora inferiore al massimo di aprile 2008 per 656mila unità. E’ dunque necessario rafforzare il processo di recupero attraverso una politica fiscale più decisa nel tagliare l’eccesso di carico fiscale che grava sulle imprese e sui cittadini italiani”.

Gli studiosi di Adapt, la scuola fondata da Marco Biagi, parlano invece di una: “realtà meno rosea e lineare di quella dipinta da molti osservatori negli ultimi mesi… sono stati spesi 15 miliardi di euro (forse 20) per non incidere in alcun modo sulla vera priorità italiana, anche in termini di produttività, e cioè incrementare il numero di occupati… i dati di luglio-agosto-settembre andranno quindi rivisti quando saranno pubblicati i dati dell’ultimo trimestre dell’anno, ora si nota che il numero degli occupati è in calo di 36mila unità, ma soprattutto preoccupa l’aumento degli inattivi, +53mila in tutto, di cui +22mila tra i giovani. Quindi “Il calo degli occupati inchioda l’Italia ad un tasso di occupazione del 56,5%, ormai inferiore di 3 punti a quello spagnolo e ultimo in Europa, escludendo nazioni colpite da profonda crisi economico-sociale. Il numero di persone che lavorano nel nostro Paese resta il problema principale, sia sociale che di sostenibilità del sistema economico e di welfare. L’aumento degli inattivi non fa che aggravare una situazione preoccupante in cui solamente un terzo della popolazione ha un lavoro e deve quindi sostenere sé e altre due persone”.

Sempre secondo Adapt, poi, anche il: “positivo calo del tasso di disoccupazione (ora all’11,8%) è limitato ad uno 0,1% e di questo passo si potrà tornare a livelli pre-crisi, se non vi saranno incidenti di percorso, intorno al 2020”.

Mentre sul versante della stabilità del lavoro: “Rispetto alla tipologia di occupati non si riscontra l’attesa rivoluzione copernicana basata sulla stabilità delle nuove assunzioni, osservano gli studiosi, infatti nel mese di settembre si sono persi 21mila posti di lavoro a tempo indeterminato rispetto ai 4mila a termine. Su base annua poi, i contratti a tempo indeterminato crescono dell’0,8% segnando una lieve inversione di tendenza ma sempre ampiamente distaccati dall’aumento del 4,6% dei contratti a tempo determinato, che continuano ad essere di gran lunga la modalità preferenziale con la quale le imprese assumono”.

Insomma, diciamola come è effettivamente: settembre sembra averci riportato alla dura realtà del mercato del lavoro italiano, dopo un momento di positivo influenzato dagli effetti (brevi) della decontribuzione e dell’occupazione stagionale estiva. Le variazioni dei tassi restano comunque nell’ordine dello 0,1% il che può far concludere che più di ogni analisi vince il fatto che la situazione è ancora di sostanziale stagnazione.

Infatti possiamo leggere nell’analisi citata che rileva “come a fronte di 790mila contratti che hanno usufruito della decontribuzione prevista dalla legge di Stabilità del 2015, sono solo 101mila i posti di lavoro in più a tempo indeterminato. Questi fondi sono stati quindi utilizzati unicamente per conversioni e sulla base di una idea di stabilità che manca tanto nella legge quanto nella realtà del mercato del lavoro”.

Ma ahimè poi continuiamo a ritrovarci un tasso di disoccupazione giovanile che conferma che i giovani si trovano in una situazione cronica di disoccupazione, perché vengono assunti solo coloro che hanno già delle competenze (e quindi non più nelle statistiche dei “giovani”).

Quindi, come fare a disegnare un reale futuro?

Occorrono le riforme, certo!

Nessuno vuole  “la bandiera bianca della resa”. Ma ammettiamolo …c’è sconforto. 

Il futuro dell’Italia per i giovani e anche per i vecchi… rimane …difficile!

E’ sempre Tempo di Coaching!

 

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