La guerra globale della disinformazione…

Con la Globalizzazione abbiamo visto cambiare, tra le tante cose, anche l’utilizzo degli strumenti della comunicazione, della propaganda e quindi delle informazioni e della loro manipolazione da parte di stati e leader politici per tentare di orientare opinioni e consensi. Per la verità, nella storia dell’umanità, questo non è un fenomeno inedito. Ma, recentemente, il tema dell’uso strumentale dell’informazione è tuttavia balzato agli onori della cronaca internazionale, non da ultimo in occasione della campagna presidenziale americana.
L’evoluzione e la pervasività dei nuovi media hanno indubbiamente favorito la rapida divulgazione delle notizie, ma la verifica della loro attendibilità è un compito impegnativo e passa spesso in secondo piano…
Il mondo di oggi è ben lontano dalle chiare logiche tipiche della propaganda del periodo della guerra fredda. I contenuti della disinformazione risultano adesso molto più variegati e l’identificazione dei loro responsabili sempre più difficile.


Per descrivere questo fenomeno, è stata recentemente coniata una nuova espressione: “post–verità”, concetto che descrive il propagarsi di notizie false (fake news) o costruite ad arte che, spacciate per attendibili, finiscono per influenzare una parte dell’opinione pubblica… Come funziona il mondo della post–verità? E quali sono le conseguenze di questo fenomeno sui processi democratici e sugli equilibri politici internazionali?
Falsificazione e propaganda nel mondo globalizzato…
Potremmo dire, senza dubbio di essere smentiti, che nel mondo globalizzato valgono sempre più la falsificazione delle informazioni e l’uso strumentale della propaganda.
L’abbondanza di storie inventate per essere diffuse come vere durante la campagna presidenziale negli Stati Uniti ha sollevato un serio dubbio circa il loro impatto sul risultato elettorale. Molto probabilmente se ne tornerà a parlare in occasione dei prossimi appuntamenti alle urne in Europa.
Di fatto, le storie inventate e diffuse come vere non sono semplici “contraffazioni” così come i marchi della moda venduti nelle spiagge. In quanto creazione di contenuti manipolati al fine di indurre in errore altre persone per ottenere un vantaggio, rappresentano una vera e propria falsificazione della verità. Ingannare le persone può comunque servire per guadagnarsi da vivere. La stampa americana, in particolare The Washington Post, ha documentato episodi di singoli manipolatori che hanno fondato siti per i sostenitori di Trump. Consapevoli che c’era la possibilità di colmare un vuoto tra il crescente sentimento anti-establishment e l’informazione mainstream, alcuni blogger hanno iniziato a produrre informazioni da diffondere sui social media. Il loro guadagno economico è stato generato dalla quantità di clic sui titoli delle notizie che facevano circolare.
Il gioco consisteva nel produrre titoli capaci di generare e quindi sfruttare un “gap di curiosità”, ossia fornire indizi sufficienti per rendere i lettori curiosi rispetto a una storia. Il desiderio di sapere non poteva essere soddisfatto senza il clic, che avrebbe portato guadagni ai blogger. Ma poi non erano necessari contenuti oggettivi per far credere che la notizia fosse quantomeno verosimile, in modo da poter ripetere l’operazione.
Il vantaggio di indurre in errore altre persone non è ovviamente circoscritto ai guadagni generati dalla pubblicità sul web. Secondo alcuni centri di analisi internazionale, in particolare il Foreign Policy Research Institute, la falsificazione delle notizie durante la campagna elettorale statunitense è stata alimentata da un programma di propaganda proveniente dalla Russia.
L’obiettivo era gettare discredito sulle istituzioni democratiche e alimentare la sfiducia dei cittadini rispetto al governo di Washington, anche per favorire l’elezione di Trump. Qualcosa di analogo potrebbe accadere in Europa, in particolare per la circolazione di storie denigratorie concernenti le istituzioni europee. Il problema è che anche in Europa i social media hanno sì trasformato il potenziale dei singoli cittadini di informarsi e organizzare l’azione politica, ma hanno altresì alimentato la possibilità di un nuovo tipo di propaganda capace di sfidare le fonti ufficiali raggiungendo un pubblico più ampio rispetto al passato.
Nel suo discorso di addio lo scorso 10 gennaio, Obama ha parlato del rischio per la democrazia americana rappresentato dalla formazione di “bolle” in cui il cittadino si rifugia a causa dell’incertezza sul suo futuro, accettando soltanto le notizie, non importa se vere o false, che si adattano meglio alle sue opinioni del momento. Al di là dei reali o presunti programmi di propaganda provenienti dalla Russia, l’opinione pubblica europea appare oggi vulnerabile agli attacchi esterni non meno di quella americana.
La propaganda internazionale ha una storia antica e nei tempi moderni ha acquisto rilevanza come tecnica della gestione dell’opinione pubblica di massa e come mezzo di pressione sui governi stranieri. Il segreto e la corrispettiva censura, da una parte, quindi la menzogna e la corrispettiva disinformazione, dall’altra, sono stati considerati i principali componenti della propaganda e sono stati oggetto di numerose e approfondite analisi nel corso del Novecento.
Il sociologo Jacques Ellul sosteneva che l’avvento delle società tecnologiche è stato il maggior fattore che ha favorito l’emergere della propaganda moderna, perché questo tipo di società genera un “bisogno di propaganda”. Conclusa la Guerra fredda, in molti abbiamo creduto che le migliori tecniche di persuasione propagandistica fossero divenute quelle che consentono di gestire segreto e informazione senza perdere credibilità. Al tempo della globalizzazione, si diceva, il news management sostituirà del tutto la disinformazione, poiché quest’ultima espone al rischio della perdita di reputazione in società sempre più interconnesse e con mezzi di comunicazione sempre più a basso costo. Tuttavia, proprio l’eccesso di informazioni generato dalla rivoluzione digitale (dal web allo smartphone) ha finito per alimentare il bisogno di propaganda, con il rischio che la disinformazione prenda nuovo terreno…
Ciò è divenuto chiaro via via che il crollo sovietico e il trionfo del liberalismo sono stati sostituiti dalla crisi delle democrazie occidentali e dall’emergere di poteri contro-egemonici poco o per niente democratici, come la Russia e la Cina.
Nella nuova epoca in cui stiamo entrando, dopo l’inattesa elezione di Trump preceduta dall’imprevista uscita del Regno Unito dall’Unione Europea, la battaglia “per i cuori e per le menti” troverà molto probabilmente nei social media uno nuovo campo di manovra e azione.
Le possibilità di mobilitare le forze sociali influenzando la governance dentro e tra le nazioni sono aumentate con la compressione spazio-temporale del mondo, vale a dire con la globalizzazione. Nella prefazione a un numero speciale della International Studies Review dedicato nel 2013 alle relazioni internazionali nell’era dell’informazione digitale, Beth A. Simmons scriveva che le nuove tecnologie stavano rafforzando la capacità dei singoli cittadini di sfidare i monopoli ufficiali della “verità”.
Al tempo si riteneva che, anche grazie ai social media, il mondo arabo fosse attraversato da un vento simile a quello che aveva anticipato il crollo sovietico. Oggi ci appare più evidente che se la verità è messa in discussione, allora si rafforzano i centri di potere capaci di creare contenuti manipolati per ottenere vantaggi nel mondo globalizzato…

 * fonte, dossier: “La guerra globale della disinformazione” – ISPI (Istituto studi politica internazionale)

(continua)

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