Coccolare il senso comune e ignorare il buon senso non è solo sport nazionale, è un atteggiamento che ha contagiato la politica. Tutti gli uomini sono filosofi, magari inconsapevolmente, hanno una concezione del mondo e tutti contribuiscono a sostenerla o modificarla. Solo pochi però ne hanno consapevolezza critica. La filosofia è la critica e il superamento del senso comune e in tal senso coincide con il buon senso che si contrappone al senso comune. In un passo dei promessi sposi il Manzoni racconta che qualcuno non credeva agli untori, ma non poteva sostenere la sua opinione contro l’opinione volgare diffusa. “si vede ch’era uno sfogo segreto della verità una confidenza domestica: il buon senso c’era; ma se ne stava nascosto per paura del senso comune” Cap. XXXII. Chi aveva capito che la peste si diffondeva per contagio e le processioni aumentavano i contatti tra le persone, se ne stava zitto per non essere considerato amico degli untori. In tutti i tempi è più comodo e facile e politicamente più conveniente cavalcare le contestazioni e avallare i luoghi comuni che cercare la complessità delle cause per intervenire con saggezza. Le conseguenze narrate nel prosieguo del romanzo sono catastrofiche la popolazione di Milano si ridusse a un quarto. Come si vede il meccanismo del senso comune funziona nello stesso modo in ogni epoca: trovare il nemico, semplificare, risolvere dogmaticamente (in quel caso con la processione). Dalla critica al senso comune nasce la filosofia della prassi che così si esprime: “Esistono diverse e molteplici concezioni del mondo, le scelte di ciascuno, consapevole o meno, è legata al suo operare che è sempre un operare politico”. Spesso si scambia l’uno per l’altro pensando siano la stessa cosa: “Il buon senso c’era ma se ne stava nascosto per paura del senso comune”. Si parla di quello che stava accadendo nel giugno del 1630, un tempo che era già lontanissimo per il Manzoni, e che ormai è completamente sepolto per noi abitatori del ventunesimo secolo, per i quali la peste, i monatti e gli untori sono diventati pallidi ricordi consegnati a memorie libresche. Eppure, come possiamo negare che questa frase appena citata conservi una sua inquietante attualità, senza neanche bisogno di estrarla come un cammeo dalla narrazione di un Paese che tracolla, incapace di orientarsi dentro gli eventi che lo annichiliscono e di governanti disinteressati e imbelli, che non riescono in alcun modo a governarlo? Il senso comune – non c’è bisogno di dotte didascalie filosofiche per capire di cosa si tratti – che si propaga come una cascata di gesti incongrui e irrazionali, il buon senso che ancora sussiste ma è costretto a stare in disparte per timore che l’onda lo travolga… Già perché il senso comune è quel racconto popolare che si propaga come un virus e non conosce antidoto nella ragione e che a ogni male trova giustificazione in qualche nemico esterno, alla nostra crisi… l’Europa dei tecnocrati e del rigore, il debito pubblico e il ladrocinio dei politici, alla criminalità e all’insicurezza create dall’immigrato. È quel racconto popolare che erge l’irrazionalità e il bisogno di autoconsolazione contro il mite buon senso, che farebbe invece scorgere un Paese sprecone, legato al suo solo presente e disorganizzato, una società molte volte complice di chi l’ha governata e la governa, uno Stato debole incapace di far rispettare quelle regole che aiuterebbero vecchi e nuovi cittadini a convivere con più facilità. Il senso comune è un potente mezzo per creare consenso, a esso si attinge, lo si confeziona a seconda delle proprie necessità e lo si sparge con facilità, con il risultato di ottenere convinti cenni di assenso col capo e sollevati sospiri: «Ha proprio ragione, non crede signora mia?». Ma il senso comune fa male al buon governo democratico, che – molto più del governo non democratico – richiede frequenti bagni nella realtà, quella realtà che il senso comune mistifica, allontanando la responsabilità di chi governa e di chi è governato, di chi governa e di chi gli si oppone. Il senso comune è la droga degli irresponsabili, sconfiggerlo – o più modestamente ridimensionarlo – ci aiuterebbe a essere un Paese migliore. Corollario del desiderio maggiore, però, è che l’impossibile, ma necessario, diventi possibile. E’ questa una descrizione forse esasperata dal tono tragico di una catastrofe che riempie le cronache quotidiane di perdite di senso nei fatti quotidiani della nostra esistenza umana. Che comunque riesce a comunicarci qualcosa che ha a che fare con ciò che stiamo vivendo adesso senza che attorno a noi sia davvero scoppiata la peste nera… Quanto ai governanti, loro non stanno con gli occhi rivolti da un’altra parte, come accadeva per gli spagnoli di allora: al contrario, sospinti dal popolo stesso che li ha votati, si impegnano con le parole e con i fatti ad alimentare un senso comune che sembra non aspettare altro per diventare protagonista o illudersi di esserlo… Piuttosto che star nascosto per paura, il
buon senso viene tagliato fuori, staccato, espulso dal senso comune, e allora il disastro assume le caratteristiche di uno scarto che sta allargandosi ogni giorno e che più si estende, più rende difficile immaginare che si possa ristabilire un’unità. Senza di essa, non solo la situazione non sarà più governabile tendendo a scivolare verso il peggio, ma è inevitabile che il senso comune – ora già dilagante – diventi il padrone assoluto della politica, una massa anonima destinata a muoversi senza avere consapevolezza del luogo verso cui sta andando e del perché sta facendolo. La peste manzoniana potrebbe trasfigurarsi in una sorta di disastro masochistico, in cui ciascuno seguendo l’onda fa del male a se stesso senza neppure accorgersene. Sarebbe bello svegliarsi una mattina e constatare che una descrizione come questa non è altro che un semplice incubo prodotto dalla stanchezza o da cattiva digestione! Speriamo che sia così, però intanto ricordiamo le parole di Manzoni che insistono sulla “paura” e sul “contagio”. Non è necessario che infuri una reale pestilenza per accorgersi che il contagio funziona come collettore sociale. E allora teniamo presente che il contatto non è solo una medicina virtuosa, ma può anche scatenare una sindrome di prossimità come ben sanno gli studiosi delle dinamiche di massa. Senza l’apporto critico del buon senso, ogni contatto può dar luogo a un contagio emotivo. Quanto alla paura, noi ripetiamo quotidianamente questa parola infausta che ormai si è trasformata in uno dei caratteri sintomatici del nostro tempo. Paura dell’altro e del diverso che permea la difesa del senso comune e ne diventa la linea di forza. Ma anche il buon senso si nutre continuamente di una sua paura: appunto il timore di essere assorbiti e colonizzati da ciò che la gente “sente” e condivide senza riflettere. Tornare a riflettere usando il buon senso è la semplice soluzione di tutto…
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