Non saranno i prepensionamenti a dare lavoro ai giovani…

Per fronteggiare l’annoso problema della disoccupazione giovanile la politica ha spesso invocato la necessità di ricorrere alla staffetta generazionale, un concetto basato sull’assunto che, per dare lavoro ai giovani, sia necessario anticipare il pensionamento degli anziani.
Esperimenti di questo tipo non sono certo mancati in passato. A cavallo tra gli anni ‘70 e ‘80 molti paesi europei hanno consentito ai propri lavoratori di maturare il beneficio alla pensione anticipata. Queste politiche hanno finito per creare una forte pressione sui sistemi di welfare nazionali, determinando una crescita marcata dei contributi previdenziali e del costo del lavoro. Il tutto si è risolto in un’inevitabile riduzione dei livelli occupazionali di giovani e anziani. In Italia il governo Letta aveva avanzato l’ipotesi di sostenere la staffetta generazionale, prevedendo non già il pensionamento anticipato dei lavoratori anziani, quanto l’ipotesi che questi potessero accedere a contratti part-time. Anche l’attuale governo ha sostenuto a più riprese l’ipotesi di favorire una staffetta generazionale. Il Jobs Act ha infatti ripreso i “contratti di solidarietà espansiva”, che prevedono la trasformazione del rapporto lavorativo da tempo pieno a part-time per i lavoratori con meno di due anni dalla maturazione dei requisiti per la pensione di vecchiaia: in particolari condizioni, questi possono ottenere un anticipo del trattamento pensionistico, mentre l’impresa continuerebbe a versare i contributi pieni, così da evitare decurtazioni nel trattamento previdenziale. Il vantaggio per il datore di lavoro consiste in una serie di agevolazioni per l’assunzione di nuovo personale nell’ambito di contratti collettivi aziendali. Come già riscontrato in passato, lo strumento della solidarietà espansiva non ha ottenuto grandi successi, ed è forse per questo che il governo ha ritenuto di intervenire nuovamente sulla materia. L’ultimo provvedimento in ordine di tempo è contenuto in un recente decreto attuativo richiamante alcune disposizioni della Legge di Stabilità 2016 in tema di pensioni.  mondo del lavoro

La norma indica la possibilità di accedere ad un “contratto di lavoro a tempo parziale agevolato” per i lavoratori che abbiano in corso un rapporto di lavoro a tempo pieno e indeterminato, e che abbiano maturano entro il 31 dicembre 2018 il requisito anagrafico per il trattamento pensionistico di vecchiaia, nonché i requisiti minimi di contribuzione. D’accordo con il datore di lavoro, questi lavoratori possono trasformare sin da subito il rapporto lavorativo da tempo pieno a part-time, con riduzione dell’orario di lavoro in misura compresa tra il 40 ed il 60 percento. Il provvedimento prevede inoltre il riconoscimento della contribuzione figurativa, come se il rapporto rimanesse a tempo pieno. Esulando da considerazioni previsive circa la reale capacità di queste misure di esercitare un qualche impatto sul turnover, è interessante esaminare il presupposto stesso della staffetta generazionale nel contesto italiano, ovvero l’esistenza di un effetto di sostituzione tra il lavoro di giovani e anziani. L’ipotesi appare suggestiva, in particolar modo in uno scenario di bassa crescita, in cui la questione occupazionale può assumere anche un connotato di equità intergenerazionale. Questo punto appare di fondamentale importanza, perché va a innestarsi su quella che è forse la principale distorsione del nostro mercato del lavoro: se infatti da un lato abbiamo la necessità di prolungare la carriera lavorativa degli anziani per garantire la messa in sicurezza dei conti pubblici, dall’altro abbiamo il dovere di preservare il capitale umano e la portata innovativa dei giovani dall’usura di anni di disoccupazione e precarietà. Lo stesso Tito Boeri, all’epoca non ancora presidente dell’INPS, si era espresso sulla staffetta generazionale, mostrando come i dati a livello internazionale non supportino affatto l’idea di una sostituibilità tra lavoratori giovani e anziani. Più recentemente, Boeri ha inoltre sostenuto che introdurre per legge un sistema di staffetta generazionale sarebbe inutilmente costoso e distorsivo, preferendo al più un meccanismo gestito a livello di contrattazione aziendale.

Cosa ci dicono i dati italiani sul tema della sostituibilità tra giovani e anziani? Astraendo da implicazioni di causalità, i dati suggeriscono una chiara correlazione negativa tra i due indicatori. In sostanza, all’aumentare del tasso di attività dei lavoratori più anziani, osserviamo una diminuzione nel tasso di disoccupazione giovanile. In un contesto in cui i le imprese hanno risorse insufficienti a creare posti di lavoro, non solo non pare esserci sostituibilità alcuna tra lavoratori giovani e anziani, ma sarebbe addirittura possibile immaginare un certo grado di complementarietà. Giovani e anziani sono portatori di capitale umano qualitativamente differente: in assenza di vincoli finanziari e di contrazione della domanda, un datore di lavoro potrebbe trovare conveniente combinare l’esperienza di un lavoratore anziano con l’entusiasmo e la potenziale spinta innovativa di un lavoratore più giovane. La-Staffetta-generazionale-passa-per-il-part-time

A partire dai primi anni della crisi economica la correlazione tra il tasso di attività degli anziani ed il tasso di disoccupazione giovanile diventa evidentemente positiva, segnalando come un certo grado di sostituibilità tra lavoratori giovani e anziani possa effettivamente emergere in un contesto di ristrettezze economiche. Quali sono i fattori alla base di questo fenomeno? È plausibile che in periodi di crisi si applichi una regola “last in first out”: quando la domanda si contrae e le risorse scarseggiano, le imprese potrebbero infatti favorire la componente della forza lavoro in grado di offrire maggiore operatività, rispetto alla formazione interna e al tutoraggio dei più giovani. Questa considerazione spiegherebbe inoltre perché la timida ripresa occupazionale in Italia stia riguardando quasi esclusivamente i lavoratori più anziani. Un secondo fattore di rilievo potrebbe risiedere nella tradizionale dualità del nostro mercato del lavoro: da un punto di vista contrattuale, il datore di lavoro trova certamente più costoso “liberarsi” di un lavoratore anziano, che non di un lavoratore giovane, tipicamente assunto con forme contrattuali di lavoro atipico. Mentre le due classi di lavoratori presentano tassi di occupazione molto simili fino alla prima metà degli anni 2000, successivamente si apre una forbice che alla fine del 2015 supererà i 30 punti percentuali. Da questi dati emerge in maniera incontrovertibile che il costo della crisi economica è stato sostenuto in maniera preponderante dai giovani, mentre il dato occupazionale per i lavoratori nella fascia d’età 55-64 appare in costante aumento dal 1998 ad oggi. Questi dati sembrano in qualche modo supportare la tesi che la contrazione economica abbia effettivamente inasprito il conflitto intergenerazionale. Alla luce di questa evidenza, com’è possibile valutare, nella sostanza e nel merito, le politiche introdotte dal governo? Com’è noto, a oggi gli effetti del Jobs Act non appaiono certo soddisfacenti nella capacità di riequilibrare il lavoro di giovani e anziani. La timida ripresa del mercato del lavoro si è infatti riflessa in maniera preponderante sul tasso di occupazione di questi ultimi. Sotto il profilo del merito, è inoltre innegabile che interventi a favore della staffetta generazionale presentino criticità importanti.part-time-pensione In primo luogo, entrambe le tipologie contrattuali proposte dal governo prevedono che il trattamento contributivo venga mantenuto ad un livello coerente con un impiego a tempo pieno. Nel caso del contratto di solidarietà espansiva è l’azienda a farsi carico dell’intera contribuzione, mentre nel caso del contratto di lavoro a tempo parziale agevolato il gap contributivo verrebbe riconosciuto a livello figurativo dallo Stato. Pertanto, se nel primo caso si produce un aggravio per le imprese, nel secondo caso il costo della manovra si scaricherebbe sulla collettività, senza che vi sia una effettiva garanzia di stimolo all’occupazione giovanile. Queste misure potrebbero dunque risolversi in meri strumenti di sostegno a forme di invecchiamento attivo per soggetti che preferiscono ridurre i ritmi lavorativi, mantenendo un trattamento pensionistico di favore. La sostanziale inefficacia di queste misure dovrebbe indurre a concentrarsi su approcci alternativi. Il tasso di disoccupazione giovanile ha certamente raggiunto livelli record durante la crisi, probabilmente anche a causa di un mercato che “premia” i lavoratori più anziani e che non mira certo ad aumentare la produttività attraverso l’inclusione di soggetti potenzialmente portatori di carica innovativa e sviluppo. In un contesto economico ed istituzionale di questo tipo, sembra molto difficile pensare a misure in grado di creare lavoro per i giovani, direttamente o indirettamente. In sostanza, pare confermarsi l’indicazione che il lavoro non si crei per decreto. Il governo dovrebbe piuttosto impegnarsi a rimuovere quei fattori che frenano la ripresa della domanda interna, come gli insostenibili livelli di tassazione sui redditi e sui consumi.  meno tasse e

Questo tipo di interventi andrebbero combinati con un pacchetto di riforme volte a rimuovere gli innumerevoli aspetti di dualità del mercato del lavoro. Questo duplice impegno, se portato avanti in un’ottica di medio termine, consentirebbe alle imprese di inserirsi su di un sentiero di ripresa strutturale, mentre i giovani potrebbero ambire ad un più agevole accesso al mercato del lavoro e a prospettive retributive e pensionistiche più favorevoli.

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