Pd: a ‘vocazione confusionaria’. Eternamente a congresso il partito parla di sé anziché dell’Italia…

Il Governo Draghi, mette in luce le evidenti difficoltà del Pd e del suo Segretario. Che sembrerebbe puntare a salvare il salvabile… riprendendo in mano un’idea, non certo rivoluzionaria, di porre il Partito democratico al centro del suo lavoro di partito che guarda ai problemi della gente, senza continuare a parlare di sé e delle sorti del suo gruppo dirigente, smettendo di passare da questa o quella geometria politicista, tipica della leadership renziana (prima Blair e poi Macron, poi la scissione dal Pd e Italia viva passando per il Conte 2 e l’alleanza coi  5stelle, poi basta alleanze coi grillini, meglio un governo di salute pubblica con Draghi Premier e poi in prospettiva ancora Macron e un grande centro imbarcando i resti di Forza italia, + Europa e forse  Calenda,  nel frattempo va bene anche a Salvini), una sorta di  “modellismo” politico  che  di fatto non è mai uscito  dalle stanze del Nazzareno, nonostante Renzi si sia chiamato fuori) con il partito  che è passato dalla ‘vocazione maggioritaria’ alla ‘vocazione confusionaria’… Alla Direzione dell’altro ieri, malgrado i boatos messi in circolazione dal Nazareno, non c’è stato nessun annuncio di dimissioni, di congresso, niente di niente, tutto lo spazio se l’è preso «la ferita e la battuta d’arresto» (Zingaretti dixit) dell’assenza di donne nella triade di ministri consegnata a Mario Draghi, rigorosamente uomini-capicorrente. Autocritica ma nemmeno tanto. Elenco di 10 proposte per promuovere una effettiva parità di genere da consegnare al governo. Tutto bene. Ma qua fuori… quel mondo lì, è parso a molti ancora una volta distante anni luce dai problemi del Paese e degli italiani, sì, insomma, appare un po’ tutto surreale, hanno commentato più d’uno dei protagonisti di quel mondo politico. Mai citato Giuseppe Conte. Né il Movimento 5 stelle. Tantomeno l’alleanza strategica e gli altri arzigogoli di questi anni. Non è che quatto quatto Nicola Zingaretti sta cambiando linea nel più perfetto stile classico della politica italiana del rinnovamento nella continuità? E’ chiedere troppo al gruppo dirigente, al segretario, del principale partito dello schieramento progressista, che nell’ultimo anno è sembrato confuso nell’arroccamento di una linea strategica che guardava essenzialmente all’alleanza organica con il M5S anziché alle cose da fare per gli italiani sempre più spaventati e angosciati dalla inarrestabile pandemia che ha colpito il Paese e il Mondo intero. Fatto sta che nella riunione della Direzione, forse troppo caricata di attese (ma d’altra parte il Pd ribolle da tempo), Zingaretti abbia rinviato la “ciccia” politica alla prossima Assemblea nazionale del partito del 13 e 14 marzo. Di qui il dubbio di cui all’inizio: che un Zingaretti forse anche in evidente difficoltà psicologica – fra lapsus e tweet infelici, pensa veramente di ridisegnare l’idea, di un Pd che pone al centro del suo lavoro i bisogni primari della gente (non era questo l’obbiettivo indicato dall’assise di Bologna all’indomani del Congresso?). Forse e non lo dico tanto per dire, ma sarebbe un fatto positivo per lui e per il partito e anche per gli italiani che Zingaretti abbia ripreso a parlare di partito a vocazione maggioritaria che come tale non appalta ad altri il compito di parlare a pezzi di società italiana, come a voler chiudere la triste fase del Conte federatore di un fronte popolar-populista insieme a Grillo e Di Maio: e che d’altra parte tutte le fumisterie legate all’epoca dell’avvocato del popolo e di Rocco Casalino siano ormai diradate, buone giusto per riempire i mémoires del libro del Portavoce. Addirittura nella relazione del Segretario non c’è più traccia del proporzionale – anche se non ci sono segni di un clamoroso ritorno al maggioritario: e per forza, dato che il principale alleato, il M5S, deflagra giorno dopo giorno in mille pezzi e …domani… varrà forse a dire tanto il 10% degli elettori. Bisogna dunque cambiare schema anche se il primo a non sapere esattamente quale, sembra proprio il gruppo dirigente del Pd con Zingaretti in testa… un partito che preferisce, come al solito, seguire gli eventi anziché provare a determinarli… vedi invece, le scorribande renziane, che ancora lo “scompigliano” e “tramortiscano” confondendolo. La scelta è di rinviare le scelte, continuando così a stupire molti. Nemmeno un indizio di come si vuole affrontare il malessere di gran parte della base del partito, lo stupore di tanti elettori dinanzi a un Pd che subisce le scelte altrui incassando colpi round dopo round. Nicola non sembra certo Cassius Clay e fuor di polemica, ci si domanda cosa abbia in testa per reggere molti mesi, se non qualche anno, alla guida del partito. Come intenda reagire alle botte infertegli da tutte le parti (un uomo politico una cosa non può fare: lamentarsene), ma pare sempre più evidente che il Pd dovrà reggere a una battaglia mediatica e politica contro un sempre arrembante Matteo Salvini… che con le sue “capriole” politiche (diventato europeista dalla sera alla mattina) ha comunque più seguito di Zingaretti e lui lo dovrà fare senza lacerare la tela di Draghi… come pensa di poter superare un modello di partito ormai fondato sulle caserme correntizie, e come, intenda recuperare un rapporto con un centro riformista non solo parlamentare ma disseminato invece nel Paese, nel mondo del lavoro e nelle professioni, nelle università e nella cultura… Per comprendere e capire dove va il Pd, occorre ancora aspettare? Nessuna definitiva sentenza, ma il ritardo comincia ad essere tanto e proprio rispetto al Paese e ai bisogni essenziali della vita degli italiani… che cosa si deve ancora aspettare? Mentre le donne del Pd se la prendono col doppio incarico di Andrea Orlando, e mentre gli avversari del segretario Zingaretti (i sempre verdi renziani mai di fatto ex di nulla) annotano un’altra battuta a vuoto…

 

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