PD: il Partito democratico annuncia che nei prossimi giorni otterrà tutto ciò che non ha ottenuto nell’ultimo anno…

Niente rimpasto del governo, Zingaretti vuole ‘dettare’ l’agenda. Al segretario del Pd interessano le scelte per il Recovery Fund e sollecita il Ministro Speranza a fare presto un piano per la sanità’ per utilizzare il Mes…

Ricacciato nel buio il terrore di perdere (non inventato dai giornali ma assolutamente reale) davanti a Nicola Zingaretti adesso si para un bivio… Dalle primissime indicazioni di un Segretario tornato di nuovo in sella o per meglio dire a “nuova vita”, si scorge una ritrovata volontà di aprire il “cantiere” – espressione abusata, di una seria trasformazione di un partito che appare da tempo asserragliato in se stesso e nelle logiche politiciste degli accordi di potere – in una vera e propria infrastruttura di idee aperta alle migliori energie della società italiana. Con questo indirizzo, il Partito democratico, nelle intenzioni pur ancora non chiarissimamente espresse del Segretario, dovrebbe coltivare di più la sua autonomia abbandonando definitivamente subalternità e ossequiosi comportamenti nei confronti di un M5stelle che intanto sta andando alla deriva… Decreti sicurezza, Mes, legge elettorale: dirigenti e analisti concordi nel prefigurare una nuova stagione di riforme e di efficienza, all’insegna della normalizzazione del populismo grillino. Sarà veramente così? C’è d’augurarselo, ma finora è andata al contrario e francamente non mancano i segnali che possa continuare così. Chi abbia sostenuto con convinzione il No al referendum non può infatti, non avvertire la sensazione che tutto, oggi, congiuri ancora contro. A maggior ragione chi, ha considerato quella battaglia solo una parte della più generale guerra contro il populismo, di governo e di opposizione, nella convinzione che i principi fondamentali della democrazia liberale, dello stato di diritto e della civiltà moderna vengano prima di eventuali divergenze su quale sia il livello ottimale in cui posizionare l’ultima aliquota irpef o il migliore equilibrio tra iniziativa pubblica e iniziativa privata per lo sviluppo dell’economia nazionale. A proposito, l’incapacità di mettere questo genere di cose in un ragionevole ordine di priorità è forse oggi il principale problema della sinistra italiana, ma ne scriverò un’altra volta. Per farla breve, secondo molti, a cominciare ovviamente dal gruppo dirigente del Pd, i risultati del voto dimostrerebbero che il modo più giusto di arginare il populismo era proprio quello perseguito da loro. Un modo che spesso è stato criticato come subalterno, inefficace e controproducente. In ogni caso, a seguire il filo del ragionamento, bisognerebbe concluderne che la linea da molti criticata, essendo stata premiata dagli elettori, dovrebbe proseguire inalterata (e personalmente non escludo che possa ancora finire proprio così). Il fatto che tra i risultati del voto vi sia quel taglio costituzionale dei parlamentari contro il quale il Pd in parlamento si era espresso per ben tre volte, e per approvare il quale aveva chiesto almeno dei parziali correttivi, senza ottenere neanche quelli, evidentemente non rileva… Invece, a leggere i giornali, pare che debba accadere tutto il contrario: via i decreti sicurezza, immediato accesso al Mes, oculatissima gestione delle spese e degli investimenti, da qualche parte ho letto persino Ius soli, e poi riforme costituzionali, i famosi correttivi, la legge elettorale e tutto ciò che fino a ieri si è tentato di fare senza successo… In altre parole, quel Partito democratico che in tanti hanno criticato per avere ceduto fino a ieri su ogni singolo punto di principio e di programma, dalla giustizia all’economia, dai diritti civili alla stessa Costituzione, con l’unica felice eccezione del rapporto con l’Europa (eccezione peraltro seriamente messa in dubbio dalle resistenze sul Mes), si appresterebbe ora, forte della vittoria, a realizzare ciascuna di quelle promesse mancate. L’ipotesi, visto com’è andata finora, non appare francamente delle più credibili, ma è certamente auspicabile. Dinanzi all’oculata gestione del Recovery Fund, al sapiente utilizzo del Mes, alla svolta definitiva in materia di sicurezza e diritti di cittadinanza, all’efficientissima riorganizzazione delle scuole e di tutte le strutture preposte ad affrontare la pandemia – e alla capacità di realizzare tutto questo, per di più, con Giuseppe Conte e Rocco Casalino a Palazzo Chigi, Laura Castelli al Mef, Carlo Sibilia agli Interni, Luigi Di Maio agli Esteri e i suoi compagni di scuola da ogni altra parte – sarei il primo a cospargermi il capo di cenere e a fare la più completa autocritica… Sta di fatto che i mirabolanti annunci di questi giorni sono in gran parte gli stessi che avrebbero dovuto concretizzarsi un anno fa. Se non prima, secondo i più antichi teorici dell’alleanza con i cinquestelle, convinti da sempre che tutta questa meraviglia di riforme sarebbe stata la naturale conseguenza dell’accordo, a riprova del profilo intrinsecamente democratico e progressista delle controfigure della Casaleggio Associati. Sappiamo che fino a oggi, e per un anno intero, le cose sono andate invece al contrario, ed è stato semmai il Pd a subire il programma grillino. Peggio, l’intero programma populista del governo gialloverde, compresa la parte della Lega. Ma non mettiamo limiti alla provvidenza… Certo, come inizio della nuova stagione, vedere Gunter Pauli e Beppe Grillo invitati dal presidente del Parlamento europeo David Sassoli a parlare di: «idee per un mondo nuovo» – idee come quella di un referendum a settimana da tenere su Rousseau (con la benedizione del giovane Casaleggio) anziché in cabina elettorale, secondo quanto dichiarato dal fondatore del Movimento 5 stelle, che per l’occasione ha aggiunto tra l’altro: «Non credo assolutamente più in una forma di rappresentanza parlamentare» – beh, ecco, come si può dire? Mettiamola così: non sembra andare esattamente nella direzione auspicata… Una maiuscola o una minuscola segnano infatti due precisi modelli politici, e due linee diverse. Finora al Segretario è andato bene tutto… che si sia trattato di grande lungimiranza o semplice incapacità di decidere lo diranno i fatti, ma resta l’evidenza che oggi il Partito democratico è contemporaneamente il partito di un populista di rito bizantino come il rieletto governatore pugliese Emiliano e il partito del pragmatico e inclusivo riformismo di Stefano Bonaccini governatore dell’Emilia Romagna – per non parlare delle istanze più innovatrici – da Gori a Nannicini a Cuperlo – che hanno concorso ad animare quel No che ha avuto il consenso di quasi mezzo partito. Ora, per fare da argine a Salvini la contraddizione ci stava eccome se ci stava! Infatti, ha vinto sia il partito di Emiliano che quello emiliano. Ma per marcare un autonomo e credibile profilo politico del Pd è poca cosa. In fondo, Stefano Bonaccini ci ha scritto anche un libro (e non si fatto mancare anche qualche scivolone d’immagine per eccessivo narciso protagonismo) si era permesso di richiamare esattamente l’esigenza di ritrovare una strada per rappresentare, come Partito democratico, l’alternativa alla destra (nel frattempo ormai sembrerebbe senza un leader indiscusso), includendo il più possibile forze nuove, da Elly Schlein a Marco Bentivogli, tanto per fare due nomi. Commetterebbe quindi un errore, Zingaretti, se accettasse quello che andreottianamente gli suggerisce ancora, Giuseppe Conte: aspettare che nel Movimento torni la calma prima di pressarli con le richieste tipo Mes o il superamento dei decreti sicurezza… Il segretario deve invece imporre un timing preciso, sarebbe un segnale, questo sì, di discontinuità, un rialzare la testa nel nome dell’interesse (Mes) e della dignità nazionale (sicurezza). Dopo queste elezioni regionali si può intravvedere uno spazio preciso per a un protagonismo diverso del Pd: popolare, colto, pulito: ma bisogna muoversi subito! D’altronde, nei suoi discorsi Zingaretti non ha mai smesso di far riferimento ad un partito capace di attirare e includere il meglio della società italiana, impegnato nella sfida per politiche e progetti sociali, economici e culturali nuovi, concreti e realizzabili. Fin dal suo insediamento, Zingaretti, ha annunciato più volte l’urgente necessità di un radicale rinnovamento del partito («Cambio tutto» disse a Repubblica) pena il tornare indietro, fino all’irrilevanza politica. Ma alla fine poco o nulla è stato fatto e il partito ha continuato nella scelta di gestire l’esistente, compressa in un patto tra le correnti nazionali e i notabili locali di cui in parte De Luca e Emiliano – sono i rappresentanti più significativi. Il partito non è infatti riuscito, ad attrarre nuove personalità, nuove idee, nuove espressioni collettive che esistono nell’area democratica in senso largo, dando l’impressione di essere adagiato sulla gestione di un consenso intorno al 20 per cento, quasi avesse paura di aprirsi a esperienze singole per non mettere in difficoltà i gruppi dirigenti che ora sono, a vari livelli, alla guida del partito. È la vecchia storia del «meglio il 20 per cento che gestiamo noi che il 30 che si potrebbe raggiungere guardando anche al di fuori di noi». Un atteggiamento, si sarebbe detto una volta per l’appunto subalterno all’esistente. Ma dopo questo voto il partito di Zingaretti deve finalmente far nascere la stagione della ricerca del consenso e dell’offerta politica vincente in un Paese frastornato e preda di contraddittorie convulsioni. Certo il Segretario dovrà battere per prime le resistenze interne di chi vuole un partito chiuso e subalterno eliminando definitivamente i miasmi di “un’atmosfera” interna ancora troppo odorante di inutile e oggi come si è visto “irrilevante” renzismo. Dalla sua parte Zingaretti ha conquistato una cosa preziosa… il tempo per potere cambiare rotta: l’obiettivo per vincere veramente è conquistare oltre un terzo degli italiani che oggi non si sente rappresentato dall’offerta politica esistente e per fare questo, non basta un’alleanza strategica, tanto più con il Movimento cinque stelle che come sembra non ha più nulla da dire. Il tempo Zingaretti lo ha conquistato, ma lui e il gruppo dirigente democratico devono sapere che questo tempo non è infinito, anzi che tutto quanto si gioca entro la fine di questo 2020 annus horribilis sul quale permane ancora la grande incognita della pandemia di Covid-19: purtroppo tutt’altro che finita…

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