Contraddizioni a parte, ora che Matteo Renzi se n’è andato dal partito il Pd ha finalmente l’occasione di rimboccarsi le maniche sui problemi rilevanti per il Paese: lavoro, sanità, diritti, scuola e immigrazione. Temi classici di una sinistra di governo, che vanno affrontati in un’ottica riformista. Se è vero che di personalismi la politica muore (e allora siamo in piena apocalisse) allora sarebbe il caso di sopravvivere provando a dare ai personalismi (soprattutto a quelli che per farsi notare hanno bisogno di agire per sottrazione) venga dato il giusto minimo spazio che meritano. I fatti, tanto per intendersi: Matteo Renzi dopo avere tanto minacciato di andare via dal Partito Democratico, dopo avere rassicurato che non se ne sarebbe andato dal Partito Democratico, dopo avere sbeffeggiato chi se ne era andato dal Partito Democratico, dopo avere chiesto responsabilità e unità per la gravita del momento politico alla fine ha deciso di andarsene dal PD. Scelta legittima, sia chiaro, nonostante faccia sorridere assistere all’ennesimo riposizionamento dei renziani in così poco tempo, passati dal #senzadime contro il Movimento 5 Stelle ad occupare ministeri in un governo con il Movimento 5 Stelle fino a sentirne qualcuno (come Giachetti) che dice di non sentirsi più del PD perché contrario al Movimento 5 Stelle e intanto corre dietro a Renzi che assicura appoggio al governo con il Movimento 5 Stelle. Come potete notare basta scrivere la storia per esteso per accorgersi che la vicenda porta con sé tutto un carico di contraddizioni da renderla buona per una scena di teatro dell’assurdo. Ionesco in confronto era un dilettante. Però il PD, questo PD, ora dovrebbe provare a cogliere l’angolo positivo della notizia evitando i due errori che ne hanno contrassegnato la vita politica fin dalla fondazione: avvitarsi su se stesso parlando solo di se stesso e fingersi morto per evitare di affrontare i problemi. L’uscita di Renzi (con la grande incognita dei renziani redenti che non lo seguiranno e continueranno a mantenere posti di potere all’interno del partito di Zingaretti per merito di questa pessima legge elettorale) rende felici almeno due tipi di elettori: quelli che non votavano PD perché contrari alle politiche ben poco di centrosinistra dell’ex segretario fiorentino e dall’altra parte quelli che non votavano Renzi perché non riuscivano a sopportare il simbolo del PD. Disinteressiamoci dei secondi e concentriamoci sui primi. Piuttosto che perdere più tempo di un semplice arrivederci alle truppe renziane forse sarebbe il caso di parlare poco e fare molto dedicandosi ai temi aperti che sono stati attaccati in questi ultimi mesi. Il punto di fondo delle riforme durante il governo Renzi (al di là che piacessero o no e che funzionassero o no) era la visione tutt’altro che di centrosinistra di intendere il mondo del lavoro, i referenti a cui rivolgere le proprie attenzioni e gli elettori che ci si proponeva di intercettare. Riforme come il Jobs Act, la Buona Scuola e molte altre sono rivolte a un mondo che difficilmente considera i Democratici come area di riferimento (e infatti si sono attaccati a Renzi, mica alla comunità del PD) mentre il ceto medio e i lavoratori dipendenti (così come le piccole partita iva, quelle finte per non costringere il proprio datore di lavoro ad assumerle), i pensionati, i disoccupati, i poveri, gli insegnati e i lavoratori pubblici si sono sentiti traditi dalle riforme dell’era Renzi. Sia chiaro: ognuno legittimamente ha i suoi riferimenti politici ma rivendere il PD come partito di sinistra (anche lontanamente) è stata una barzelletta che ha fatto sorridere molti e ha fatto perdere voti. Ora, se è vero che il nodo si è sciolto, forse sarebbe il caso fare molto dedicandosi ai temi aperti (anche in termini di diritti sociali) che sono stati attaccati in questi ultimi mesi. Ci sono ad esempio, tanto per cominciare a parlare di lavoro, i tanti tavoli di crisi aperti che giacciono negli uffici del MISE e che sarebbero un’ottima opportunità per esercitare una vicinanza ai lavoratori e alle loro famiglie piuttosto che testimoniarla. Se è vero che la dignità passa sempre e comunque per il lavoro non può esserci occasione migliore che mostrare capacità risolutive nel gestire le crisi. Poi: da mesi si parla della pericolosa mancanza di medici nel settore pubblico che potrebbe addirittura mettere a rischio le funzioni di molti Pronto Soccorso (ieri anche la FP CGIL ha lanciato l’allarme) e gli investimenti sempre promessi sulla sanità pubblica (anche per spezzare quell’orrida catena della sanità privata che nella Lombardia di Formigoni è costata un salasso ai contribuenti) sono un gesto che potrebbe finalmente portare un po’ di credibilità. Poi: l’inizio dell’anno scolastico è ingolfato da una generale “supplentite” che azzoppa l’insegnamento e il buon funzionamento delle scuole. Piuttosto che promettere sogni forse sarebbe il caso di portare a regime ciò che già c’è e che viene vituperato dall’indifferenza della politica. Poi: ci sono i diritti civili che sono stati messi sotto attacco dal Medioevo di questi ultimi mesi di governo gialloverde. Intervenire non appare poi così difficile, in fondo si tratta di praticare rispetto. Poi c’è la questione immigratoria che richiede meno parole e più trattative con l’Europa, rinunciando alla banalità della propaganda e facendosi carico della complessità della politica. Sono solo alcune idee, il campo in realtà è larghissimo. Ma sarebbe un modo per fare politica piuttosto che chiacchiericcio e di sicuro gli elettori lì fuori apprezzerebbero…
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