Pd: Zingaretti guarda allo spirito riformista di Biden e sembra dimenticare che governa con Conte e Di Maio…

Il segretario dem prova a seguire la corrente americana, resta da capire come conciliare questa nuova dimensione con l’alleanza strategica con i populisti 5stelle… Con la lettera a Repubblica, il segretario del Partito democratico Nicola Zingaretti ha collocato il partito nel solco aperto dalla vittoria di Joe Biden e dalla precedente affermazione di Keir Starmer nel Labour party, e la cosa parrebbe abbastanza scontata mentre invece ha un suo preciso significato che sarebbe sbagliato sottovalutare. Zingaretti ha impiegato qualche giorno prima di effettuare questa operazione di aggancio al «nuovo corso progressista», come lo ha definito il direttore di Repubblica Maurizio Molinari, anche per verificarne la fattibilità in un partito che negli ultimi tempi era parso molto suggestionato dalle idee di Jeremy Corbyn e Bernie Sanders, effettivamente molto popolari negli anni dell’egemonia sovranista di destra che ora pare alle nostre spalle anche se certamente non è morta. Idee popolari, si badi, anche in un Partito democratico che ha reagito al periodo renziano con una sterzata a sinistra in grado di rimettere in gioco una certa critica al capitalismo basata sulla constatazione della crescita delle disuguaglianze sociali e della crisi della globalizzazione. Siamo a una svolta, dunque? Presto per dirlo. C’è chi smorza gli entusiasmi, come per esempio Emanuele Felice, responsabile economico del Partito democratico, esponente molto distante dal “clintonismo” che ispirava Obama e oggi Biden: «Non si tratta di tornare all’impostazione neo-liberale degli anni ‘90 – dice subito – che ha acuito le disuguaglianze portando alla crisi della democrazia. Cosa che Zingaretti nella lettera dice in modo chiarissimo». E dunque? «A me pare che si stia affermando nel campo riformista e progressista occidentale una nuova sintesi che supera il neo-liberismo per tornare a un’impostazione simile a quella successiva alla seconda guerra mondiale: ad un neo-keynesismo volto oggi all’ambiente, all’innovazione e alla riduzione delle disuguaglianze». Declinato così anche Macron, specie l’ultimo Macron, potrebbe essere definito un keynesiano puro ma chissà se Felice (e anche Renzi, ma non credo quest’ultimo) sarebbero d’accordo. Ora non è che la lettera del leader del Partito democratico entri molto nel merito, limitandosi piuttosto al solito elenco dei campi da coltivare ma senza dire come: e tuttavia è da notare che finora il partito aveva espresso la sua gioia più per la sconfitta di Trump che per la vittoria di Biden. Ed è verosimile che i “sandersiani” del Nazareno (e non parliamo poi dei bersaniani e di tutta un’area intellettuale che in questi anni è diventata abbastanza forte, da Fabrizio Barca al giro dell’Espresso o del Mulino a studiosi come Roventini o Viesti) in caso di sconfitta del candidato dem erano pronti a denunciare un’impostazione troppo “di centro” e poco “radicale”: ma adesso che l’America ha scelto una sorta di “quarta via” è chiaro che tutti debbano rifare i conti. Impossibile aspettarsi che Zingaretti dica, come Matteo Renzi, che con Biden si è vinto al centro, anche perché Biden dovrà concedere qualche spazio all’ala sinistra del partito democratico e quindi a Bernie Sanders e Alexandria Ocasio-Cortez: i vari Emanuele Felice, Giuseppe Provenzano, lo stesso Andrea Orlando, Gianni Cuperlo inorridirebbero, e dunque la posizione del segretario è quella dell’esaltazione della sintesi fra centro e sinistra, laddove la parola sintesi è come un grande mantello che copre tutto. Anche se gli ultimi atti del nuovo presidente americano – come la nomina di Tony Blinken a segretario di Stato – indicano la sua forte volontà a proseguire su una strada clintoniana-obamiana e forse poco incline a troppi compromessi con la sinistra. Tuttavia anche la riflessione di Piero Fassino conferma che «con l’elezione di Biden si creano sicuramente le condizioni per la ricostruzione di un campo progressista capace di immaginare e costruire soluzioni innovative, eque e riformiste sui grandi temi che scuotono il mondo, da Covid-19 al climate change, dai diritti umani alla regolazione della globalizzazione economica, dalla soluzione ai conflitti locali alla realizzazione di una nuova governance multilaterale». Temi su cui tutti sollecitano l’attenzione. E le forze della sinistra europea sono sicuramente parte attiva di questo progetto. La lettera di Zingaretti dimostra e conferma che il Partito democratico vuole esserne pienamente parte. Il che pone non solo il problema di essere conseguenti recidendo definitivamente i residui fili massimalisti e scacciando le suggestioni del “Vivement le socialisme” di Thomas Piketty; ma anche quello assai complicato di provare a dettare una nuova agenda riformista proprio mentre si governa con Giuseppe Conte e Luigi Di Maio, non esattamente due riformisti ma campione del paternalismo immobilista il primo e alfiere del populismo il secondo. Pare legittimo dunque attendersi un certo riposizionamento ideologico del partito di Zingaretti, tentando un aggiornamento e quindi dando un’impostazione liberaldemocratica e sociale nel segno della lezione americana e provando a chiudere definitivamente con il sovranismo di questi anni…

E’ sempre tempo di Coaching!

Se hai domande o riflessioni da fare ti invito a lasciare un commento a questo post: sarò felice di risponderti oppure prendi appuntamento per una sessione di coaching gratuito

 

0

Aggiungi un commento