Politica: a furor di populismo. Il martellamento identitario della destra nasconde (male) la paura di una crisi economica…

La premier Meloni che ieri alza la voce contro Magi sulla cannabis libera e oggi sul Mes «non è questo il momento di ratificarlo, mi prendo le mie responsabilità» e poi, dando seguito alle accuse di Tajani e Salvini «sull’Europa dei banchieri» e alle decisioni della Bce sull’aumento dei tassi per combattere l’inflazione: «la cura potrebbe essere peggio della malattia» tutti slogan che servono solo a coprire tutta la preoccupazione della destra per i periodi difficili che potrebbero velocemente arrivare, compresa una possibile grave recessione… È un brutto spettacolo vedere un presidente del Consiglio alzare la voce contro un esponente dell’opposizione. E ricordare al segretario e deputato di +Europa Riccardo Magi che alzava un cartello per la cannabis libera, di sapere cosa vuole dire stare al tre per cento e cercare visibilità, negando a un ex Radicale la legittimità di una posizione storica antiproibizionista. Marco Pannella non si è mai posto il problema del consenso quando si lanciava nelle sue campagne politiche. Non è un atteggiamento istituzionale alzare i toni con questa veemenza ma a Giorgia Meloni non è sembrato vero poterlo fare davanti alle telecamere delle televisioni. Ha segnato il tratto identitario che fa sempre presa sul suo elettorato, e infatti non è un caso che abbia ricordato, con il massimo dei decibel possibili, il dato elettorale del 25 settembre scorso. «Dovete accettare che c’è un altro governo eletto dagli italiani per fare esattamente quello che stiamo facendo…». Come se i governi precedenti avessero favorito l’uso della droga o il mondo antiproibizionista avesse mai ottenuto una legge in tale direzione. La premier ha colto l’occasione per ingaggiare nell’auletta della Camera questo concitato alterco e far girare il video su tutti i siti e su YouTube. La reazione spropositata e voluta è il modo migliore per rinsaldare il legame con il suo popolo, con l’elettorato di riferimento, scolorendo tutte le difficoltà del governo. E non si tratta solo dei gravi ritardi nella riformulazione del Pnrr e delle indecisioni su quali progetti tagliare. Tagli che inevitabilmente faranno arrabbiare Regioni ed enti locali. Non si tratta neanche di mettere la sordina alla vicenda giudiziaria che riguarda le società della ministra Daniela Santanchè. Men che meno Meloni si preoccupa di dover fare indietro tutta sul Mes, la cui approvazione verrà rimandata a dopo l’estate. La vera preoccupazione che cresce a Palazzo Chigi riguarda la prospettiva di crisi economica in cui l’Italia potrebbe precipitare, se è vero che si sta sgonfiando la sorpresa di essere in testa alla crescita europea. Il miracolo registrato tra la fine dello scorso anno e l’inizio del 2023 – con la notevole crescita dello 0,6 per cento, di fronte a un’Europa ferma e una Germania in recessione tecnica – sembra in via di esaurimento. Gli ultimi dati dell’ufficio studi della Confindustria dicono che la manifattura frena rapidamente in relazione al rallentamento globale. Il finanziamento delle imprese e i mutui delle famiglie subiscono i rialzi dei tassi della Banca centrale europea. Si investe di meno, si acquistano più servizi e meno beni, soprattutto quelli alimentari. Nei prossimi mesi l’economia italiana potrebbe essere ferma e se più trimestri andranno in negativo, il governo dovrà prendere atto di essere in recessione. In questo contesto verrà scritta in autunno le legge di bilancio e molte promesse elettorali diventeranno carta straccia. Non ci saranno le risorse per confermare il taglio del cuneo fiscale anche per il 2024 e per la riforma delle pensioni, tant’è che nell’incontro con i sindacati il ministro Marina Elvira Calderone non ha saputo risponde su quanti soldi il governo poteva metterci. L’elenco delle difficoltà è lungo e allora ogni occasione per le alzate identitarie è buona, e lo sarà a maggior ragione dopo l’estate. Anche quella di attribuire alla Bce la colpa del rischio recessione. L’accusa è arrivata pure dal ministro degli Esteri Antonio Tajani, solitamente prudente. Poi Matteo Salvini è andato giù duro come ai vecchi tempi. Quella di Christine Lagarde, per il leghista, è «una scelta insensata e dannosa». Si sentono già i toni della campagna elettorale per le Europee. «La scelta dell’anno prossimo – ha detto l’altro giorno in un comizio – sarà tra l’Europa dei banchieri e l’Europa dei lavoratori. I banchieri stanno guadagnando decine di miliardi di euro e poi dicono con la massima tranquillità: sì è vero quello che stiamo facendo con la Bce sta danneggiando famiglie e imprese però dobbiamo farlo». Il martellamento identitario funziona sempre a destra e finora riesce a coprire il resto, perché è sempre colpa di qualcun altro. Anche quando hai in mano duecento miliardi del Pnrr e non sai come gestirli per evitare di finire in recessione…

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