Politica: a tre colori giallo-verde-nero… Draghi fatica ma risolve i problemi, silenziando così il chiacchiericcio tri-populista…

«È tutto teatrino», ha ragione Carlo Calenda. Salvini, Meloni e Conte sono già in modalità campagna elettorale e cercano una scusa per far cadere il governo il prima possibile. Il presidente del Consiglio governa e conta sullo scudo del Quirinale e sugli appoggi internazionali… Gli strepiti di Matteo Salvini sulle tasse, gli altolà di Giorgia Meloni, i vaniloqui di Giuseppe Conte (il più eccentrico è stato sulla Francia: «sicuramente siamo anche noi molto sensibili a dei temi che sono stati posti anche dalla Le Pen», boh!?), le inquietudini di Enrico Letta, il no di Matteo Renzi alla riforma Cartabia, insomma tutto un rumore di fondo sul palcoscenico della politica ove ognuno recita la sua parte in commedia il cui immancabile finale sarebbe quello che piace tanto ai cronisti politici: il governo cade e si va a votare a ottobre. Ci sono come al solito gli immancabili boatos di Montecitorio che narrano di un’anticipazione della legge di Bilancio a luglio in modo tale da sciogliere le Camere in agosto: scenari un po’ irrealistici. Anche perché – uno banalmente si chiede – ma che differenza c’è tra votare a ottobre o a marzo? Con un po’ di buonsenso (purtroppo introvabile), qualunque italiano risponderebbe: nessuna. Dunque è vero che sono tutti alquanto nervosi (ma quando mai d’altronde c’è un po’ di pace tra gli ulivi della politica italiana?), specie in alcuni partiti – il ritrovato duo gialloverde a cui si e aggiunto il colore nero – stanno allestendo un canovaccio di una lunghissima campagna elettorale ma la verità è che l’operazione reale che si sta facendo da parte di Lega, Movimento 5 stelle, Fratelli d’Italia e anche Forza Italia è quella di indebolire il presidente del Consiglio con ripetuti colpi ai fianchi, nessuno decisivo ma nell’insieme fastidiosi con l’obiettivo non tanto di mandarlo al tappeto ma di condizionarlo in questi mesi conclusivi della legislatura. Contrariamente a quanto pensano i sopra nominati, però, Mario Draghi non è affatto «stanco» del suo lavoro – è questa la diceria generale – e nemmeno più debole di prima, anche se certamente gli appaiono incomprensibili certi diktat su cose che non esistono, come le intemerate di Salvini su un aumento delle tasse che non sta scritto da nessuna parte: è infatti la millesima volta il premier riceverà Salvini, insieme ad Antonio Tajani, per spiegare la situazione in modo tale che si calmino, soprattutto l’ossesso Capitano. Il presidente del Consiglio ascolta ma decide lui, anzi certe volte prima decide e poi ascolta, ma il risultato è lo stesso. Il suo è un discorso che non ha neppure bisogno di essere esplicitato tanto è chiaro: mi avete chiamato voi per due emergenze, pandemia e Pnrr, a cui ora si è aggiunta una robetta da nulla come la guerra e le sue conseguenze: approvvigionamento del gas, rallentamento della crescita, inflazione …volete gestirle voi queste cose? Auguri! Di fronte a questo chiarissimo ragionamento il problema dei partiti è come riuscire a portare a casa ciascuno qualche cosa ma Draghi non gli concede molto, anche se non si tira indietro quando c’è da mediare (vedi la riforma Cartabia, un evidente compromesso che, come tale, non soddisfa Matteo Renzi), ma non sulla politica economica che considera un terreno suo, e con ragione. Ben sapendo che Lega, FdI e un Giuseppe Conte mai così demagogo come in questo periodo agiteranno lo spauracchio di un inverno al gelo e al buio in seguito alla decisione di svincolare il nostro Paese dalla dipendenza dal gas russo, il presidente del Consiglio ha ottenuto un risultato importante con il suo viaggio in Algeria a cui faranno seguito quelli in Angola e in Congo, una tessitura di una rete in grado di assicurare nuove quantità di idrocarburi dopo la rottura storica con Mosca. Ma certamente questo ai giallo-verdi-neri non basterà e troveranno senz’altro nuovi motivi polemici per alimentare questo nostrano tripopulismo. Bandierine, teatro. Draghi va avanti, contando sullo scudo del Quirinale e sugli appoggi internazionali – si è mai visto un Paese importante aprire una crisi politica in piena emergenza mondiale? – anche se, certo, in un Parlamento pur sempre dominato numericamente dal duo gialloverde si fa il bello e cattivo tempo, nelle commissioni parlamentari e ogni volta c’è un problema – si è arrivati persino alle mani – ed è chiaro che in questo bailamme dei partiti spetta ancora una volta al Partito democratico puntellare il quadro politico, a meno che non prevalgano fughe in avanti che fanno desiderare a qualche dirigente di peso le urne in autunno. Ma prima il segretario Pd Enrico Letta dovrebbe fare chiarezza su questo punto e magari cominciare a pensare a come giocare la carta Draghi alle elezioni dell’anno prossimo. Ammesso e non concesso che la voglia giocare, questa carta di un Draghi dopo Draghi per un’altra legislatura: questo ancora non si è capito  e …siamo sicuri che lo abbiano capito almeno al Nazareno?!

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