Politica: anche di fronte al successo dello Stato sulla Mafia, continua la necessità di coltivare il dubbio. Italiani e la sindrome del puparo…

Antonio Polito sul corriere di ieri si chiede perché: “Anche stavolta molti italiani si sono subito chiesti se non ci stanno mentendo sull’arresto del boss: Matteo Messina Denaro”. Sembra che il dubbio sia ormai l’abito mentale con cui gli italiani affrontano gli accadimenti quotidiani con cui la Politica rende conto dei suoi successi in un panorama ormai dominato da molti quotidiani insuccessi. Scrive ancora Polito: “Il dubbio, è ormai “metodo” che ci induce a sottoporre al vaglio della ragione qualsiasi verità, fosse pure matematica, prima di accettarla come vera”. Siamo diventati tutti “scettici” grazie anche al fatto che nelle società aperte, lo scetticismo è il dovere deontologico della stampa libera; così come il potere di inchiesta e controllo è la funzione democratica del Parlamento, e in esso delle opposizioni. È diventato quindi un comportamento o forse un ‘costume’, forse anche qualcosa di più, un ché di ‘culturale’: Vogliamo perciò sapere ogni cosa, appena possibile e senza pregiudicare le operazioni di polizia, dell’arresto di Messina Denaro, delle indagini che l’hanno preceduto, delle condizioni in cui è avvenuto. È peraltro comprensibile non accontentarsi mai della versione ufficiale, perché la storia della nostra Repubblica purtroppo abbonda di fatti ancora avvolti nel mistero. L’opacità, fa sì che, in ampi settori dell’opinione pubblica si sia diffuso, al posto del dubbio, un pregiudizio di sfiducia sistematica nei confronti dello Stato e dei suoi apparati. Che ha trasformato spesso l’ansia di verità in presunzione di menzogna da parte delle autorità… Così, mentre in tutto il mondo dicono «gli italiani hanno preso il capo della mafia», molti italiani si chiedono perché solo ora, se era così facile. La Mafia coi suoi tentacoli da Piovra, irretisce i pensieri degli italiani, ormai disillusi dalla politica e dalle istituzioni. D’altronde i precedenti nel nostro Paese — l’abbiamo detto — inducono a dubitare, dubitare e dubitare. Così dopo anni di teorie del «doppio Stato», di giochi di parole su «chi è Stato», di sospetti lanciati su servitori dello Stato fedeli, compresi quelli che presero Totò Riina, hanno scavato alla lunga un solco tra cittadini e istituzioni sicuramente non sempre giustificato; creando un senso comune, un riflesso condizionato, per cui dietro ogni scena ci deve essere per forza un retroscena, dietro ogni fatto una trama, e dietro ogni evento un puparo che tira i fili. Anche stavolta molti italiani si sono subito chiesti se non ci stanno mentendo sull’arresto del boss, se in realtà si sia consegnato, oppure sia stato tradito (il che non inficerebbe comunque la vittoria dello Stato); o peggio ancora se non sia stato immolato sull’altare di una nuova trattativa dei vertici mafiosi al fine di ottenere benefici per chi è in galera e concessioni per la mafia che verrà. Ha preso insomma piede una cultura politica che prima di chiedersi «che cosa giova» al Paese, si chiede «a chi giova». E che deforma la storia della Repubblica italiana, in un coacervo di intrighi, in una vicenda di apparati e poteri, nella quale spariscono non solo i cittadini e il loro ruolo, ma anche i risultati conseguiti da quello stesso Stato che viene presentato come infido e nemico. Certo, la Repubblica italiana, in 77 anni di vita, ha sofferto molti misteri, ha visto molte deviazioni e subito molti attentati. È stata a volte sull’orlo della catastrofe. Ma alla lunga ha sconfitto nemici mortali come la «strategia della tensione», fermando i manovali neri delle bombe e impedendo una svolta autoritaria. Ha prevalso su quello che è stato un vero e proprio tentativo di insurrezione armata, condotto nel sangue dalle Brigate Rosse. E oggi chiude i conti almeno con quella Cupola mafiosa che credeva possibile piegare lo Stato con le stragi, impedendo che diventasse vano il sacrificio di Giovanni Falcone, di Paolo Borsellino, di Carlo Alberto Dalla Chiesa, e di tanti altri magistrati, poliziotti, carabinieri, uomini politici, che non facevano trame, non ordivano complotti, ma anzi hanno reso fino in fondo il loro servizio alla Repubblica. Dovremo affrontare altre mafie e altri mafiosi da combattere arriveranno, lo sappiamo che non è finita qui. Ma, forse, pur con tutte le sue magagne e debolezze, lo Stato democratico merita oggi almeno una presunzione di innocenza, quando arresta il Re di Cosa Nostra…

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