Politica: Calenda uno strappo doloroso. E ora che succede, fa il terzo polo con Renzi?

Calenda, uno “strappo doloroso”. E Ora che succede va con Renzi e fa il terzo polo? Dopo la rottura del leader di Azione con i dem “la partita nei collegi uninominali era già difficile. Senza Calenda diventa impossibile: la perdita di Azione per il centrosinistra è un grosso problema”. E Meloni sarà premier? “Dipenderà da quello che diranno Salvini e Berlusconi a Mattarella in caso di vittoria…” “Ora andiamo a vincere”, aveva detto Calenda, il 2 agosto. Una missione che si è decisamente complicata sia per chi è rimasto nel centrosinistra e, a maggior ragione, per chi ne è uscito. Al di là delle dichiarazioni ufficiali, è chiaro a tutti che le possibilità di evitare l’arrivo di Giorgia Meloni a Palazzo Chigi sono diminuite. Inutile girarci intorno, anche se è verosimile che Calenda sopravvaluti le sue chance elettorali. Alla fine lo strappo è arrivato e l’alleanza tra Carlo Calenda ed Enrico Letta è durata un soffio in meno d’un battito d’ali. L’annuncio è arrivato ieri pomeriggio dal leader di Azione, durate la trasmissione ‘Mezz’ora in più’. Probabilmente, per Calenda, che si è sentito stritolato nella morsa di un’alleanza che, da quando era stata stipulata, aveva profondamente cambiato i suoi connotati (l’ingresso di Sinistra Italiana e dei Verdi lo hanno profondamente irritato), ha fatto l’unica cosa che riteneva coerente. Dal punto di vista elettorale ci sono pochi dubbi che si tratti di un grande favore fatto al centrodestra. Non si sono certo fatte attendere le reazioni. Tra i primi, in questo senso, il segretario dem Enrico Letta che, attraverso un tweet ha scritto che “l’unico alleato per Calenda è Calenda”. C’è già chi pesa a un approdo del leader di Azione nel terzo polo, a braccetto con Matteo Renzi. Ma a questo punto, il campo del centrosinistra è un magma ribollente di gelosie e attacchi incrociati. Per cercare di capire a che tipo di scenario si delineerà (anche nella coalizione di centrodestra, che all’apparenza pare compatta), mi aiuto con alcune risposte date da Roberto D’Alimonte, politologo e fondatore del Luiss – CISE Centro Italiano di Studi Elettorali in una intervista di poche ore fa. Che succede ora che il Pd ha perso Calenda? “Con Calenda la media dei sondaggi degli ultimi giorni stimava il centrosinistra intorno al 35% e il centrodestra intorno al 45 %. Con un gap di questo genere la partita nei collegi uninominali era già difficile. Senza Calenda diventa impossibile. Per riequilibrare la competizione il centrosinistra dovrebbe recuperare voti dall’astensione e dal centrodestra. Con Calenda aveva qualche chance di attirare elettori delusi di Berlusconi e di Salvini. E come li attira adesso? Inoltre, senza Calenda la sua base elettorale di partenza si riduce ulteriormente. Di quanto non si sa anche perché pare che la Bonino, e cioè +Europa, sia intenzionata a mantenere l’alleanza con il Pd. Quanto vale Azione senza +Europa ? Non lo sappiamo. In ogni caso la perdita di Calenda per il centrosinistra è un grosso problema”. Dopo la rottura con il Pd è verosimile che Calenda si allei con Renzi? “Forse. Ma i due non si amano e l’antropologia in politica conta. C’è una questione però che potrebbe spingerli verso l’accordo. Come abbiamo detto, la Bonino intende restare con Letta. Senza +Europa, Azione dovrebbe mettersi a raccogliere migliaia di firme per presentare le sue liste perché l’esenzione dalla raccolta è in mano al partito della Bonino. Renzi invece l’esenzione ce l’ha. Mi pare difficile che senza Italia Viva Calenda possa raccogliere in tempo utile tutte le firme che gli servono per partecipare al voto”. Nel centrodestra pare che la questione della premiership si stia delineando. In un’intervista a Fox News, Meloni non ha escluso questa ipotesi. Si creeranno tensioni nella coalizione? “Nel nostro paese nulla sembra come pare. Pare che Berlusconi e Salvini si siano rassegnati al principio che il partito della coalizione che avrà più voti esprimerà il premier. Se lo abbiano fatto per convinzione o semplicemente per evitare di compromettere le chances di successo il 25 settembre litigando adesso lo scopriremo il 26 settembre. Certo è che in questa fase la Meloni non fa che professare una fede incrollabile nell’atlantismo e anche nell’europeismo. Mi ha colpito la dichiarazione recente di Crosetto che ha etichettato come pignoleria il voto contrario di Fdi al Pnrr. Peccato che l’intervistatore non gli abbia chiesto cosa vuol dire pignoleria in questo caso. Insomma, la Meloni sta facendo di tutto per togliere ogni alibi ai suoi alleati e non solo. Resta il fatto che fino a quando Mattarella non inizierà le consultazioni non siamo sicuri cosa Berlusconi e Salvini diranno al Presidente della Repubblica a proposito della Meloni. Ovviamente nel caso in cui il centrodestra vinca”. I consensi della Meloni potrebbero essere più di quanto siano stimati nei sondaggi, in virtù del ‘consenso nascosto’ o del fattore ‘traino’ di chi si presuppone possa avere la vittoria già in tasca? “Queste sono domande la cui risposta richiede la sfera di cristallo che io non ho. Si possono solo fare speculazioni senza solide evidenze empiriche. All’ipotesi che suggerisce lei si può contrapporre l’ipotesi che certi elettori possano rifiutarsi di votare una Meloni che si allea con Berlusconi e Salvini che fino a ieri hanno sostenuto il governo Draghi. La campagna elettorale forse fornirà dei segnali”. In caso di elezioni, quale sarà la classe dirigente che il centrodestra schiererà? Per ora, ad esempio, si ipotizzano Tajani agli Esteri e Salvini agli Interni. “Non lo so. L’incognita è rappresentata da Fdi. Più o meno sappiamo chi potrebbero essere i probabili ministri di Fi e della Lega. I nomi che lei fa sono candidati plausibili. Sarà interessante vedere se Giorgetti rientrerà al governo e in quale posizione. Si parla della conferma di Cingolani che sarebbe una buona cosa. Le novità verranno dalla parte di Fdi ma io non sono in grado di dire quali saranno. Non conosco il mondo della Meloni. Immagino che Crosetto sarà uno dei suoi ministri”. Secondo lei, ora che Calenda si è staccato dal Pd, l’elettorato moderato propenderà più per lui o per la coalizione di Letta? “Sulla carta Azione ha la possibilità di attirare sia i delusi del centro-sinistra che quelli del centro-destra. Due fattori però militano contro questo scenario. Il primo è il modo con cui si è arrivati alla rottura tra Pd e Azione dopo che un accordo era stato siglato. Questo non depone a favore della credibilità di Calenda. Il secondo è il voto utile. Nonostante la presenza del M5s la competizione è tornata ad avere un formato bipolare grazie al ruolo cruciale dei collegi uninominali e al declino del M5s. È certo, infatti, che in queste elezioni non ripeterà l’exploit delle due elezioni precedenti. In un contesto bipolare se gli elettori percepiscono che l’esito della competizione è incerto può scattare il meccanismo del voto utile per cui invece di votare un terzo polo che alla fine pur messi insieme Renzi e Calenda, che certo non brillano per simpatia popolare, non ha comunque nessuna chance di vincere. Pertanto si voterà quello dei due poli maggiori che piace di più o dispiace di meno. Detto ciò, se il divorzio tra Pd e Azione generasse la convinzione che per il centrosinistra la partita è persa in partenza, allora una quota di elettori di centrosinistra potrebbe più facilmente confluire su Azione senza problemi di coscienza e allo scopo di mandare un segnale. E questo è uno scenario abbastanza credibile”. E ora le mie modeste considerazioni. Come si vede lo strappo di Calenda complica ulteriormente la situazione già difficile della nostra rappresentanza politica… Calenda si è riempito la bocca di Draghi ma ha tradito il primo comandamento del draghismo. E’ proprio il premier che insegna: “l’Agenda Draghi non esiste ma esiste un metodo che ha risollevato l’Italia dentro fuori i confini del Paese: credibilità e affidabilità. Caratteristiche in cui il leader di Azione a dimostrato di non eccellere!! Quindi quali prospettive? Tutte, poco esaltanti che, restando tali potrebbero far crescere il fenomeno della disaffezione e dell’astensionismo elettorale. Ma non c’è nulla da fare, l’Italia politica è questa e con questi ingredienti sarà obbligatorio cuocere la minestra della governabilità. Senza avere – ed è il punto dolente – la possibilità di ricorrere alla capacità di Mario Draghi, prepotentemente e irrazionalmente sbalzato di sedia. Chi vaticina di un suo ritorno a Palazzo Chigi più che una prospettiva concreta agita la bandiera di un pensiero magico. Vien già voglia di fare gli auguri a Sergio Mattarella, che avrà una matassa per nulla semplice da sbrogliare. Una cosa è certa, con questi ingredienti politici, di sicuro abbiamo perso la ricetta della governabilità, che offriva il Governo Draghi. Letta si trova a tenere in piedi una compagine ulteriormente ristretta di centrosinistra… Mentre Meloni che ha un’autostrada davanti (lasciata dagli avversari) ha a che fare con due alleati con cui districarsi non sarà facile. Un destra-centro molto enfatico e pochissimo coeso, abbacinato dal sole della vittoria e disinvolto al limite della sconsideratezza nella definizione di compiti e impegni. E di interpreti all’altezza di realizzarli. Così non va bene per nessuno meno che meno per gli italiani… Ma l’Italia politica è questa e non resta che auto augurarci un gigantesco in bocca al lupo…

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