Politica: Candidati Pd fatevi in quattro. Un ritrovato protagonismo del Pd sarebbe sicuramente una pessima notizia per Conte nonché per Renzi&Calenda e forse anche per il Governo Meloni…

Mettere ordine nel campo democratico, ricostruirebbe una dialettica governo-opposizione e costringerebbe al dialogo il Terzo Polo e probabilmente anche i Cinquestelle. La discussione all’interno del Pd si va riassumendo su di un punto: quanto il ‘rinculo’ identitario debba andare «a sinistra». Dei quattro candidati Stefano Bonaccini sembra già il segretario del Pd: da come parla, da come si muove. Bastava vederlo sabato alla mesta Assemblea nazionale pareva come i vecchi segretari che «tiravano le conclusioni». «Pd, il funerale delle correnti», l’ha definito Claudio Tito su Repubblica. (“…l’assemblea del Partito democratico ha sancito il fallimento della classe dirigente degli ultimi anni. Ma Enrico Letta ha anche dei meriti”). Bonaccini, il meno depresso tra i molti in angoscia. Questione di carattere?! Da Lucia Annunziata poi ieri i quattro sfidanti del Pd sono apparsi molto educati, bravini, solidali, ognuno ha fatto la sua parte, di Bonaccini s’è detto. Gianni Cuperlo ha fatto Gianni Cuperlo il forbito-pensoso che dice quello che pensa, Paola De Micheli ha fatto la battagliera, Elly Schlein la portatrice di novità (che però si ferma sempre prima, potrebbe per esempio rinfacciare ai competitor di essere più o meno tutti da tanto tempo sul ponte di comando del partito …ma non lo ha fatto). Quattro brave persone che sembravano venire dalla Luna – sono stati – tranne Elly, oggi appoggiata da Franceschini e Orlando – bersaniani, dalemiani, lettiani, zingarettiani, epifaniani, martiniani, qualcuno persino ex-renziano: ma “scurdammoce o’ passato”. In ogni caso chiunque vinca alcune cose si sono ormai capite. In primo luogo, che il Pd non farà sconti al governo Meloni sulle cose concrete. E non farà barricate nel caso Meloni ne proponga (per il momento non è ancora avvenuto) una giusta. Fisiologia democratica. Si rimetterà un po’ d’ordine nella Bisanzio democratica (pur senza annunciare la morte delle correnti che si sono solo un po’ rimescolate) come invece dice ogni segretario di turno salvo mai riuscirci, perché riuscire a chiudere le correnti, parrebbe (anche questa volta), non possibile. Tuttavia, questa volta le correnti dovranno fare i conti con un Segretario vero, cioè né chiamato indietro dall’estero (Enrico Letta) né eletto perché non c’è n’era uno appena appena più forte (Nicola Zingaretti che prevalse sul timido Martina e il renziano “vade retro!” Giachetti). Se vincerà, come pare più probabile,  Bonaccini dovrà unire un partito isterico chiamando al vertice accanto a lui gli altri candidati, magari con Elly Schlein vicesegretaria. Insomma, le condizioni per tirare un po’ più su dalle acque stagnanti in cui è finito il Pd (non certo per colpa del solo Letta) il leader che uscirà indicato nel doppio voto (prima gli iscritti al partito) poi i primi due dei quattro dai gazebo, ce l’avrà sicuramente e d’altronde peggio di come sta andando è impossibile. Quali effetti avrà la ripresa del Pd (vedremo quanto ampia) sul quadro politico? Innanzitutto, si dovrebbe ricostruire un minimo di sana dialettica governo-opposizione che in questi primi mesi è assolutamente mancata, dialettica che non è solo confronto (Carlo Calenda ci ha provato ma si è visto che non è servito a nulla) ma è anche e forse soprattutto scontro, polemica, lotta, come avviene in tutti i Paesi democratici. Un ritrovato protagonismo del Pd sarebbe una pessima notizia per Giuseppe Conte, leader di un post-M5s che concretamente da mesi non sta facendo niente – ma niente – limitandosi a lucrare sulle disgrazie del Nazareno e anche per Renzi&Calenda costringendoli tutti a un dialogo più consono ad una vera opposizione. Appunto se il Pd cominciasse a suonare la grancassa di un’opposizione seria, ecco che all’avvocato cadrebbe ogni velo, che nasconde la sua irrilevanza politica ben oltre i dati degli attuali sondaggi (16/17%) e che comunque dovrebbe fare i conti coi 6 milioni di voti persi lo scorso 25 settembre rispetto alle elezioni del 2018. Anche Renzi&Calenda sarebbero costretti a misurarsi col “fare qualcosa”, andando oltre essere rispettivamente: il primo Senatore per il più alto reddito tra gli atri Senatori… e il Deputato dal Karma (bartaliano): “se non ci sono io… allora l’è tutto sbagliato l’è tutto da rifare!” Con un effetto che potrebbe avere il senso di un’evoluzione evidente: come minimo nella direzione della fine di un clima perennemente polemico alimentato dai reciproci anatemi sul passato e come massimo in quello dell’avvio di un confronto vero e serio sulle questioni, per essere e giocarsi il ruolo d’opposizione al governo di destra-destra della Meloni… Certo, il «nuovo Pd» non avrà forse mai, lo smalto del Lingotto e delle prime Leopolde; e però potrebbe riacquistare quel ruolo, smarrito dopo il 2018, che compete ad un partito che comunque sta tra il quindici e il venti per cento dei voti e punta ad aumentare la propria rappresentanza. Le condizioni sono però sicuramente più toste. La prima è che a pagare il prezzo del disastro del 25 settembre non sia il solo Enrico Letta nelle vesti di San Sebastiano (o San Paolo come preferisce lui) ma il suo gruppo dirigente che dopo il 2018 le ha sbagliate tutte (tranne la posizione sull’Ucraina, perché la rielezione di Sergio Mattarella non è merito del vertice del Pd ma semmai del protagonismo di alcuni parlamentari che hanno trascinato poi il partito su quella ottima soluzione). Inutile fare nomi. Ministri, sottosegretari, capigruppo: certi dirigenti facciano un passo indietro e soprattutto non ostacolino (da ex-renziani), grazie al fatto di essere tutti parlamentari, il nuovo corso. Secondo, smetterla dentro e fuori il partito di sperare che ci sia un “rinculo” identitario su posizioni che nemmeno il Pci aveva, mai avuto. Da questo punto di vista il ritorno della pattuglia di bersaniani non è certo un problema… non pare proprio che all’ordine del giorno dei contenuti del Congresso in corso ci siano cambi epocali delle posizioni sulla politica estera o sulla giustizia o su scelte anti-sistema in politica economica e industriale che virino verso l’antiamericanismo, l’anticapitalismo, il giustizialismo… mettere attenzione al crescere delle diseguaglianze e al crescere della povertà, per contenerle e riproporre altrettanta attenzione alla distribuzione del reddito tra lavoro dipendente e lavoro autonomo attraverso la progressività fiscale… non significa volere il ritorno del “comunismo” come lasciano intendere le varie “caste” economiche che controllano stampa e media del nostro Bel Paese… Non significa nemmeno che il Pd guardi senza discernimento alcuno al “patrimonio ideologico” (alquanto confuso) che caratterizza i “nuovi” 5 Stelle, per caratterizzare di più la propria identità ideologica… se così fosse lo sanno per primi i democratici significherebbe altro che «nuovo Pd»: sarebbe un «addio Pd». Ma diciamolo francamente, con onestà mentale: rimettere il Lavoro e la rappresentanza di quel mondo, all’interno di un’identità di un Pd rinnovato, è veramente il pericolo dietro l’angolo, di spostare il Pd verso la deriva populista… non vi sembra che sia già ben rappresentata nel panorama politico italiano sia dai 5 Stelle che dalla stessa destra di governo… a guardar attentamente è anche presente con qualche “venatura personalistica” nel Terzo Polo. Quindi un ritrovato protagonismo del Pd sarebbe sicuramente una pessima notizia per Conte e per Renzi&Calenda e forse anche per il Governo Meloni… ma sarebbe sicuramente una buona notizia per l’Italia e lo stato di salute della sua Democrazia politica ed istituzionale…

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