Politica: caoslandia!  Le tensioni politiche di oggi, sono figlie di un decennio di politica irrazionale, che ha visto crescere tanti ammiratori di Putin. Meno male che Sergio & Mario ci sono.  Una fortuna l’aver sventato l’elezione di un filo putiniano al Colle. L’invasione dell’Ucraina rappresenta per i Partiti italiani un bivio inequivocabile…

Poco più di due mesi fa, Salvini e Conte pensavano che al Colle potesse andarci Franco Frattini. Ricordate il suo nome è stato fatto più volte in quelle convulse giornate. Uno (di lungo corso) che più volte aveva espresso complimenti e omaggi al dittatore russo. E poi naturalmente c’erano quelli che volevano rimuovere il Premier e non per mandarlo al Colle. Rimuoverlo e basta, si, insomma “rottamarlo… E ora, nel pieno della guerra, immaginate un po’ un’Italia senza governo Draghi o meglio senza Mattarella e Draghi. «Sicuramente oggi Putin è quello che ha una visione strategica più forte rispetto a praticamente tutti gli altri leader. Anche quelli che non amano troppo Putin, devono ammettere che negli ultimi anni ha azzeccato tutte le mosse di politica estera: sul Medio Oriente, sull’Iran, sulla Siria e adesso anche sulla Libia. Questa è un’altra dote importante che spiega come sia ancora al potere».  L’uomo che pronunciò queste parole nel dicembre scorso oggi potrebbe sedere al Quirinale. Se il Pd, ma qualche ora prima Matteo Renzi, non si fossero messi di traverso, a quest’ora Franco Frattini probabilmente sarebbe al posto di Sergio Mattarella sulla base di una candidatura, in primo luogo, fatta da Matteo Salvini e poi sponsorizzata anche da Giuseppe Conte con il beneplacito di Giorgia Meloni e di Silvio Berlusconi… Non cento anni, ma solo poco più di due mesi fa, questo Paese poteva avere come primo cittadino un estimatore di Vladimir Putin, il ‘macellaio’ di Mosca, l’uomo che – ancora Frattini: «dice la verità alla gente, sia quando si tratta di momenti buoni che cattivi». Dice la verità, Putin?! Oggi, la domanda che la storia pone a noi tutti è stare con Putin o con la società aperta? Un vero dilemma per i bi-populisti nostrani di fronte all’invasione russa dell’Ucraina. Il dittatore di Mosca era diventato, nell’immaginario di leghisti e grillini (ma non solo), il leader perfetto di chi si oppone alla globalizzazione in nome del territorio. Ma la guerra che ha scatenato, mettendo in luce le conseguenze di questa ideologia, spinge per la prima volta molte persone a riflettere e dubitare (oppure a ‘saltare il fosso’ e seguirlo accecate). L’invasione dell’Ucraina ha portato ogni forza politica che s’ispira al populismo a un bivio inequivocabile. Un bivio a cui i suoi leader non riescono a sfuggire, non perché “ricattati” come qualcuno dice dall’atlantismo o dalla Nato, ma per le ragioni stesse che fondano il populismo. È inequivocabile perché in qualche modo inatteso forse, ma chiarificatore senz’altro, l’invasione ha portato il populismo, a seconda della prospettiva, al suo massimo compimento o al suo vicolo cieco. La questione che si va chiarendo nel dibattito sulla guerra, che il populismo è un sentimento sociale con una componente antropologica molto forte. sia di tipo prepolitico, nel senso che preesiste alla sua traduzione in termini politici, sia post politico, perché va ben oltre le tradizionali divisioni tra destra e sinistra, che ci accompagnano dalla Rivoluzione francese in poi. Quale che sia, o entrambe le cose che siano, è qualcosa che, nonostante non sia codificato da un Manifesto o da un testo di riferimento, ha un suo “corpus” culturale ben definito: è il frutto di una concatenazione di concetti molto più stringente di quanto non appaia. Anzi, più stravaganti sono le cose sostenute, più bisogna cercare proprio in quelle l’essenza della sua ideologia. I fondamenti del populismo, indotti ed esplosi in concomitanza e grazie ai social media, in sostanza sono: no alla globalizzazione perché cancella le identità nazionali; no, di conseguenza, all’élite globalizzata, perché trae vantaggi personali a scapito del resto della società; no alla modernità, perché rappresenta l’ideologia attraverso cui la globalizzazione s’impone. Il sentimento sociale populista non nasce dal nulla, e se cronologicamente e logicamente rappresenta una risposta alla crisi economica del 2008, la sua matrice è solo in parte economica, perché ha a che fare principalmente con le identità, con le culture fondanti delle singole comunità e con il rifiuto della dimensione politica come sintesi della società. L’aspetto che probabilmente non è stato colto abbastanza del sentimento populista è che principalmente la sua natura è costituzionalmente emotiva, affatto razionale, anzi tende a valorizzare proprio “l’irrazionalità” delle scelte politiche. Chi volesse una teorizzazione strutturata di come la politica si fondi sull’irrazionalità, piuttosto che sulla razionalità, la trova in Carl Schmitt (noto giurista tedesco, in auge nel Terzo Reich). «Le credenze insensate non sono la “prova” della falsità delle tesi, ma il substrato profondo che alimenta la loro traduzione politica». Chi avesse visto “True Detective” con occhi più grandi della vicenda lì sceneggiata (è una serie televisiva statunitense creata ed interamente scritta da Nic Pizzolatto, che ha debuttato a gennaio 2014 sul canale via cavo HBO diventando in breve tempo una delle serie televisive di maggior successo degli ultimi decenni sia di critica che di pubblico – i dialoghi, oltre a essere impregnati di filosofia pessimista, antinatalista e nichilista sono evidenti richiami nietzschiani a partire dagli slogan, sono fortemente ispirati da saggi come “La cospirazione contro la razza umana” di Thomas Ligotti, “Meglio non essere mai nati” di David Benatar e “Tra le ceneri di questo pianeta” di Eugene Thacker, mentre la storia trae spunto dai racconti “Il Re Giallo” di Robert William Chambers), avrebbe capito il sentimento “irrazionale” che ha nutrito il movimento che ha portato alla presidenza Donald Trump… E’ negli Stati Uniti, che questo processo si vede in maniera più limpida e anticipata rispetto all’Europa: dove il sentimento populista “irrazionalista” è cresciuto e ha attinto mischiandosi a quello “socialista” di Bernie Sanders, che ha ereditato e trasformato il movimento “We are the 99%” in una chiave di radicalismo di sinistra. L’ America ha avuto almeno dieci anni di questa crescita degli opposti populismi. Opposti nelle traduzioni politiche, ma molto meno opposti nell’humus culturale da cui originano. Ed ecco che la pandemia Covid 19, crea un primo spartiacque, non chiaro e non evidente all’inizio, ma diventa via via discriminante nel medio e nell’ultimo periodo. Infatti, tutta la lotta ai vaccini è condotta su un piano indistricabilmente legato a quella radice “irrazionale” da cui trae fondamento la tendenza diventata via via esplosiva nel momento in cui si crea il “Green Pass”. È in questo momento che si condensano tutte le immaginazioni ancestrali ed irrazionali di una potenza sconosciuta che sta realizzando un “Grande Reset” mondiale; che vuole trasformare le nostre società in qualcosa che non abbiamo mai conosciuto, né possiamo conoscere, perché indefinita e che comunque porta sempre l’impronta di una società che vuole cancellare i tratti distintivi dell’identità delle persone e dei luoghi. Questa volta la narrazione non riguarda solo i mercati o i paesi, ma le persone stesse, ridotte singolarmente a semplici entità da gestire (magari per l’appunto con il Green Pass) in maniera burocratica e inesorabile. Insomma, è il mondo distopico raccontato da Orwell. È in questi stessi anni di pandemia che cresce l’infatuazione (comunque presente in Occidente fin dalla caduta del Muro) verso Putin. Una sottile narrazione comincia a sostenere all’inizio del Covid-19 che proprio la globalizzazione, con il suo continuo interscambio di persone e merci, ha se non provocato, certamente diffuso l’epidemia. E in fondo era “ovvio” chiedere l’aiuto della Russia, come Paese esente (almeno al tempo) dalla pandemia, perché inteso come più coeso, più tradizionalista e più serrato. Insomma, un modello pronto per l’uso. Tenuto conto anche della geopolitica dei vaccini tra scienza e propaganda: Sputnik vs Pfizer-BioNTech. Questa vicenda specifica dei vaccini è poco più che una “nuance” rispetto alla ben più poderosa costruzione di una convinzione che Putin potesse rappresentare un argine all’affermazione dovunque della globalizzazione e dell’egemonia della nuova élite globalista dei “senza terra”. Infatti, rimane ancora adesso perfetta la definizione di David Goodhart dello scontro in atto, nell’era populista, tra “anywheres”, persone che possono vivere e lavorare dappertutto e i “somewheres”, che possono (e vogliono) stare in un solo luogo e non vogliono che il posto dove vivono cambi natura e identità (Goodhart ha scritto per la prima volta che “la condivisione e la solidarietà possono entrare in conflitto con la diversità”, L’ha fatto in un saggio “Troppo diverso?” pubblicato da Prospect (rivista da lui fondata nel febbraio 2004). Ecco che Putin diventa così agli occhi dei traduttori politici del populismo di sia di destra che di sinistra un leader “perfetto”, perché incarna la tradizione (il suo legame con la chiesa ortodossa iper conservatrice lo sancisce); perché è l’unico che combatte in maniera chiara la globalizzazione (in fondo la Cina non può e non vuole farlo, perché sulla globalizzazione ha puntato tutto, anzi si propone in pochi anni di sostituire gli Stati Uniti nella sua regia); perché, Putin, alla fine dei conti, appare quello che difende il legame delle persone con la terra. Il fattore millenaristico che sta alla radice del populismo. Il legame tra Putin e la terra, che – come si vede oggi – appartiene piuttosto alla concettualizzazione dell’impero russo, era visto prima come la forza segreta per mantenere la tradizione. Oggi Putin fa vedere con le armi e con la devastazione di un Paese libero e indipendente, dove porta una concezione che parte dalla coincidenza identitaria tra popolo e terra; tra società civile e Stato; tra religione (sottoposta al potere politico) e Stato. Putin presenta un “compact” di cui sta facendo esperienza drammatica l’Ucraina, in una concatenazione inossidabile dove si passa dallo “Spirito Russo”, che avrebbe diritto alla sua terra, alla conseguente negazione dell’Ucraina come paese distinto, perché senza una propria etnia, e che dovrebbe dunque obbedire allo “spirito etnico” dell’alba dei tempi e non al diritto internazionale. Le radici si fanno identità; l’identità si fa Stato; lo Stato si fa impero; l’impero fa le guerre d’invasione… Putin ha creato così la contrapposizione amico-nemico (ancora per cui il nemico è la prova della propria identità e la ragione della propria esistenza. L’Europa, l’Occidente sono il suo nemico essenziale, perché rappresentano, letteralmente, un altro mondo. Da un lato c’è l’asserita (e tutt’altro che dimostrata) spiritualità ancestrale, c’è il popolo (unificato dal sentimento, ma non dal diritto), lo stato che lo invera e il Capo che lo guida (lo zar, la steppa e niente in mezzo); dall’altro c’è una società pluralista, una religione distinta dallo Stato, una battaglia di opinioni legittima, la permeabilità dei confini e delle identità. Due mondi separati e contrapposti. Una contrapposizione esistenziale: non si può appartenere a tutti e due. Siamo perciò giunti al bivio: siamo davanti a due concezioni del mondo oggi incompatibili (tutt’altro sarebbe se la Russia riprendesse il corso democratico). Come possono movimenti pur ispirati al populismo, ma non assuefatti o convinti delle concatenazioni che portano dritti verso lo stato autoritario e della negazione della democrazia, non contrapporsi a Putin? Un mondo dove il potere e la parola riducono la politica a pura propaganda. E dove parole come “guerra” subiscono censura… Tutto il resto: la diplomazia, che ovviamente esiste sempre e la geo-politica, che può spiegare alcuni atti del mondo, ma non è una teoria del mondo, perché nega il soggetto, cioè la politica, sono dei diversivi, per quanto rilevanti, rispetto a una scelta che non può essere elusa. Una scelta esistenziale, perché costringe a dire chi si è, e qual è il mondo che s’intende costruire, anche qui da noi, da questa parte del mondo. Non ce ne siamo accorti: ma i nostri ‘maître à penser’ (non hanno pensato più). Tant’è che i nostri “maestri del pensiero democratico” vanno bene ormai per editare una collana dedicata al pensiero politico. Una qualche raccolta prestigiosa di volumi che racchiude il contributo dei nostri pensatori cattolici, riformisti e liberali. Le idee democratiche che hanno fatto grande l’Italia. Croce, Einaudi, Bobbio, Sturzo, Gobetti, Moro e altri grandi testimoni… intellettuali e politici, considerati d’altri tempi… e che la nostra cultura politica tutta costruita ormai su propaganda e sondaggi di partiti in competizione elettorale permanente, non ritengono più attuali. Nonostante questo grave handicap della nostra politica e dei troppi ritardi di quella europea… proprio in questi giorni, sembrerebbe che l’Italia abbia scampato un grande pericolo e oggi possa figurare ancora a testa alta tra i Paesi che tentano di difendere sé stessi e il Mondo dall’imperialismo 2.0 del Cremlino. Attenti però!! Ricordiamoci di quei giorni (di solo pochi mesi fa) quando tante persone intelligenti, sinceramente democratiche e pensose dell’avvenire del Paese, immaginavano che al Colle, data l’ostentata riluttanza di Mattarella al bis, dovesse ascendere Mario Draghi, la personalità più forte dal punto di vista delle relazioni internazionali. Opinione legittima ma del tutto errata, come i fatti successivi stanno dimostrando. Lo ha riconosciuto, con una onestà intellettuale che di questi tempi è merce rara, Paolo Mieli sul Corriere: «Videro giusto coloro che poco tempo fa – a differenza di chi scrive – si pronunciarono per la conferma di Mattarella al Quirinale e Draghi a palazzo Chigi». Ci fu in quei giorni un acceso dibattito e, tanto per rinfrescare ulteriormente la memoria, erano veramente pochi coloro che, si sbracciavano a dire che per il bene del Paese non bisognava toccare né Mattarella né Draghi e che serviva convincere il primo della necessità nazionale che egli venisse confermato e il secondo a rinunciare a un legittimo desiderio pur di continuare a guidare la nave del governo nella tempesta della pandemia e della crisi economica. Orbene, diciamo serenamente, grazie al Pd con l’ausilio di Italia Viva e altre forze centriste, vennero per fortuna bruciate altre ipotesi bislacche o anomale – dopo la follia della candidatura di Berlusconi con Vittorio Sgarbi come Coach – quella di Maria Alberti Casellati (invenzione della destra) al capo dei servizi segreti Elisabetta Belloni (invenzione pellegrina gialloverde) fino a che anche l’onorevole Pierferdinando Casini, l’unico nome credibile rimasto in campo, fece il suo passo indietro a favore di Mattarella nel frattempo “imposto” da un Parlamento spaventatissimo di “andare a casa” ma per una volta dimostratosi lungimirante. Meno male che vi fu quella pressione “dal basso” (che poi è “d’alto” trattandosi del Parlamento) per iniziativa di singoli come Orfini, Ceccanti, Romano, Raciti (Pd), Battelli e Baldino (M5s), D’Ettore (Coraggio Italia), Fassina (LeU), Cangini (Forza Italia) e tanti altri che votazione dopo votazione fecero lievitare le schede per Mattarella. Da quella “campagna di Russia per il Colle”, fallita come quella di Bonaparte, ebbe inizio l’attuale convulsione dei gialloverdi e il drastico ridimensionamento dei “frattiniani” Salvini e Conte. Un effetto collaterale di non poca importanza tale da rovesciare il corso politico di questo anno di fine legislatura, oggi più saldamente nelle mani di Letta (e inspiegabilmente di convesso almeno politicamente) di Meloni. Immaginiamoci come staremmo messi oggi, nella cornice di una guerra destinata a mutare il corso della Storia e gli assetti geopolitici del Globo, se al Quirinale vi fosse un Presidente della Repubblica filo-Putin o anche semplicemente un Presidente non autorevolissimo. O, soprattutto, se a Palazzo Chigi vi fosse un esponente magari degno della massima stima ma diverso da Draghi, l’uomo che in mezzo ai marosi sta giocando tutte le carte da una parte per far fronte ai nuovi problemi che il conflitto porta con sé a partire dall’aumento dei prezzi e dall’altra per far giocare all’Italia un ruolo importante nello scenario europeo, cioè mondiale. Ma c’è chi sembra non capire qual è la situazione e ripropone per il Partito di cui si dice Capo, schemi non più attuali. Lo scontro sulle spese militari, che si consuma in queste ore, con Draghi che avvisa Conte: “Così viene meno il patto di maggioranza”. E dopo di che il Premier sale al Quirinale per informare il Capo dello Stato, con Draghi e Mattarella saldamente uniti sull’aumento delle spese militari… così, con tutta probabilità ci sarà la conta in aula e chi vota no è fuori! Di fatto è l’annuncio di una potenziale fiducia capace di ridisegnare l’attuale compagine di unità nazionale. Il governo non arretra, l’incremento delle spese militari fino al 2% del Pil sarà segnalato già nel Def. Se poi Giuseppe Conte decidesse di sfidare comunque Palazzo Chigi, chiedendo di rinnegare un impegno internazionale assunto dall’Italia (e da lui stesso confermato quando era Premier) allora Mario Draghi chiederà alla maggioranza di “contarsi in Parlamento”. Di fatto, è la promessa di un dentro o fuori il rischio  di spaccare il Movimento, che dovrà decidere se votare contro l’esecutivo in piena crisi internazionale, oppure ascoltare le ragioni dell’ala moderata capitanata da Luigi Di Maio… Se c’è un giorno che racconta un intero periodo, è proprio ieri: Draghi vola dal sindaco di Napoli insieme a Roberto Garofoli. Incontra giovani profughi ucraini e non trattiene le lacrime. Incoraggia un sacerdote, Antonio Loffredo, che recupera giovani nel rione Sanità. Poi a Roma partecipa a una delicata call con Joe Biden. Infine si ritrova faccia a faccia con Conte. E scopre che l’ex premier, a dispetto del lavoro degli ambasciatori, continua a minacciare una crisi di governo, pretendendo che si rinneghino patti internazionali già sottoscritti. Così non è possibile andare avanti, la situazione internazionale e la guerra in corso, non permettono posizioni contraddittorie e distinguo improponibili (per inciso, ricordiamoci che Zelensky ha detto che l’Italia potrebbe far parte del gruppo di paesi garanti della sicurezza dell’Ucraina). Orbene, lo hanno capito bene gli italiani che senza Mattarella al Colle e Draghi a Palazzo Chigi oggi saremmo ulteriormente nei guai… facciano uno sforzo e lo comprendano bene anche Conte e i suoi. Già farebbero bene a pensarci i Partiti (tornando a pensare alla politica e capendo che è finita la “ricreazione”)  basta guardare l’orizzonte politico ed economico del Mondo ormai interamente occupato da un sempre più incerto domani …che si avvicina con cupe nubi a forte velocità sul destino dell’umanità…

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