Politica: Centrodestra unito solo per il potere…

Se si va avanti così l’unica certezza è lo schianto generale. Il governo e la maggioranza procedono solo a strappi e tentativi, tra veti incrociati e trappole reciproche… Una prima considerazione: trovo incredibile che già sia partita la campagna elettorale per le Europee e che le scelte di oggi (nelle politiche per l’immigrazione e per l’economia) siano solo indirizzate ad ottenere il miglior risultato in quel voto. E’ possibile che questo accada a nove mesi dall’apertura delle urne avviando così una lunghissima ed estenuante corsa elettorale? Il voto per il Parlamento Ue ha segnato passaggi importanti per alcuni leader (vedi i successi in passato di Matteo Renzi e Matteo Salvini) che si sono sentiti inebriati dalle vittorie, salvo poi calare velocemente. Finora, però, il clima di eccitazione scattava due-tre mesi prima del voto e non con un anticipo tanto largo. C’è poi una questione più generale: se l’alleanza di centrodestra punta, come sostiene ripetutamente, a governare per cinque anni che senso ha procedere per strappi invece che programmare la migliore manovra economica possibile, date le difficili condizioni di bilancio, attuare il Pnrr (gli unici investimenti certi e finanziati), trattare con l’Europa politiche razionali e condivise per l’immigrazione? Tutto sembra invece indirizzato a difendere e allargare il proprio fortino: a costo di immaginare scenari irrealizzabili, per esempio: quello di un’Europa governata da popolari, conservatori e destre è di fatto già caduto. Oppure tessere alleanze finalizzate solo a mettere in difficoltà l’alleato di governo e rubargli consenso. Alla fine, e ormai da molti anni, l’unico vero collante del centrodestra è il potere. Finora il vincolo di coalizione ha funzionato nelle urne e il sistema elettorale ha offerto sempre un netto vantaggio strategico sugli avversari. Non c’è altro. Si può dire che da quando è caduto l’ultimo governo Berlusconi nel 2011, il centrodestra (ormai pochissimo centro e moltissima destra) non ha più una visione e una direzione condivise. L’aspra contesa per garantirsi la primazia dopo il declino del Cavaliere ne è la prima ragione: prima Matteo Salvini poi più proficuamente Giorgia Meloni si sono portati in testa al gruppo, ma né l’una né l’altra leadership hanno raggiunto la solidità e l’intangibilità dell’era berlusconiana. Quello che sta accadendo in questi giorni è la prova che governo e maggioranza procedono solo a strappi e tentativi, tra veti incrociati e trappole reciproche. Improvvisano decreti su materie come sicurezza e immigrazioni sulle quali, in teoria, dovrebbero avere da decenni già preparato un manuale pronto all’uso. Sulle riforme istituzionali si lavora con la pala e si profila uno scontro frontale. Non può stupire. Quando il capo o la capa non sono definiti in partenza, e a guadagnarsi il ruolo è chi di volta in volta prende un voto in più, è difficile che i programmi politici prendano una forma comune. Non esistono priorità condivise. Non c’è lavoro di sintesi. Se il comando è a tempo, un posto di lavoro assediato dall’ansia di rivincita degli alleati in questo caso, platealmente, quella di Salvini su Meloni, non può esserci un programma unico, a meno di non credere che basti un opuscolo elettorale a simularne l’esistenza. La tassa piatta è nel programma della Lega ma non in quello di Fratelli d’Italia: dunque ora è previsto che si faccia o no? In questo caso il problema è risolto dalla totale mancanza di risorse, ma in generale il governo Meloni funziona così: chi ha prevalso nel voto prova a far valere le sue priorità, nel frattempo chi sta dietro finge di accettare la subalternità e lavora per promuovere la propria agenda e rallentare quella altrui. Ieri, mentre Giorgia Meloni si presentava a Lampedusa assieme alla donna che più di tutte simboleggia l’Europa (Ursula von der Leyen), Matteo Salvini si presentava a Pontida assieme alla donna che più di tutte rappresenta l’antieuropeismo (Marine Le Pen). “Noi non abbiamo cambiato opinione”: sono state queste le prime parole che il segretario leghista ha pronunciato ieri dal palco. Parole non casuali. È così partita la campagna salviniana per strappare a Giorgia Meloni quella bandiera che, a torto o a ragione, secondo tutti gli osservatori, ha rappresentato la chiave del suo successo elettorale. La Lega, in modo altisonante a Pontida, ha rilanciato l’introduzione dell’autonomia differenziata come urgenza assoluta e intrattabile (e lo fa, con l’approssimazione tipica di Salvini, invitando a Pontida come ospite d’onore una campionessa del centralismo nazionalista come Marine Le Pen. Un particolare non certo sfuggito all’opposizione interna al Carroccio. Dice la Lega che autonomia e premierato devono marciare insieme. Sottinteso: se si incaglia la prima, succederà anche al secondo. La ministra delle Riforme, la forzista Maria Elisabetta Casellati, annuncia a Repubblica la partenza ufficiale della riforma che dovrebbe portare all’elezione diretta del presidente del Consiglio. Un altro ‘unicum’ tutto italiano. Infatti, non esiste democrazia occidentale con un meccanismo simile. Si vanno così, a rimescolate tutte le carte. Forza Italia è contro Meloni se si parla di tassa sugli extraprofitti bancari, ma è con Meloni e contro Salvini sull’autonomia. Sull’immigrazione la Lega contesta e scavalca la presidente del Consiglio, la quale pare contare e fidarsi solo di uno stretto cerchio di collaboratori e familiari, cerchio a occhio non proprio magico. La rivalità interna ha prodotto solo una nuova fiammata estremista: Matteo Salvini a Pontida con Marine Le Pen e presto addirittura con i neonazisti tedeschi di Afd, Meloni con Orbàn e i neofranchisti, sciaguratamente sostenuti con un messaggio pubblico anche prima del recente voto (non positivo per Vox) in Spagna. Così, la rincorsa tra Salvini e Meloni porta l’Italia in mezzo alla feroce e probabilmente inutile competizione tra due famiglie di ultradestra, tutto mentre in Europa si avvia la discussione di dossier decisivi per il futuro della nazione. Per i prossimi otto mesi, sarà questa la sfida. E, naturalmente, nessuno dei due avrà il coraggio di ammettere cambiamenti fisiologici, né di spiegarli con la differenza che passa tra stare all’opposizione e stare al governo. Ovvero, con la differenza che passa tra fare propaganda e fare politica. Purtroppo lo stesso discorso sembra valere per l’opposizione dove, al di là di alcune sporadiche intese come quella sul salario minimo, l’obiettivo principale resta anche per loro, solo quello di contarsi per affermare la propria supremazia nello schieramento. Verrebbe da chiedere, ma so che è un’illusione, di fermare la giostra, e recuperare serietà dedicandosi ai veri problemi del Paese. Altrimenti, come direbbe Meloni, ma per la verità anche Schlein, Conte… ma gli stessi Salvini e il suo gemello diverso Renzi: “Il prezzo di questo folle e continuo posizionamento delle così dette forze politiche… lo pagheranno gli italiani. In questo momento, se non fosse purtroppo come sottolineato, per la assoluta latitanza di una vera alternativa, il governo apparirebbe già fortemente a rischio. Invece né le incertezze né la fragilità producono effetti concreti, salvo appunto accentuare la competitività di Salvini e Meloni davanti ai rispettivi richiami della foresta. Finché le opposizioni resteranno nella condizione attuale, i due leader del sovranismo all’italiana possono permettersi molto, se non tutto. Nessuno riesce ad incalzarli davvero. Uno prova a far schiantare l’altra, e viceversa. Difficile prevedere chi avrà la meglio… tant’è che sulla soluzione o no delle scaramucce di questi giorni, saranno poi gli elettori che giudicheranno ancora una volta nelle urne  i partiti…

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