Politica: che cos’è il “riformismo”? Una domanda cui la sinistra farebbe bene a rispondere…

“Il riformismo, nelle scienze politiche, è una metodologia politica che, opponendosi sia alla rivoluzione sia al conservatorismo, opera nelle istituzioni, al fine di modificare l’ordinamento politico, economico e sociale esistente attraverso l’attuazione di organiche, ma graduali riforme”.

(Wikipedia)

Ci ricorda Aldo Pirone (giornalista e scrittore) in un recente articolo su “Strisciarossa.it”: “Riformismo è una parola malata”. Lo disse Sergio Cofferati nel 2002. Cofferati allora dirigeva la Cgil e il riformismo vero lo conosceva da vicino, da sempre. Prosegue Pirrone: “Che la parola fosse già malata da tempo era sotto gli occhi di tutti, almeno di quelli che li avevano ben aperti…”. Lo scorso marzo, ”L’Inkiesta” quotidiano online, ha trattato la questione “riformismo” in un ampio dibattito sull’esigenza di: “Unire i riformisti”. Ne è seguito un “incontro da remoto” (ai nostri giorni gli ossimori si sprecano) tra Bonino, Calenda, Gori, Scalfarotto e Bentivogli… varie personalità, del mondo di associazioni e circoli: Base di Bentivogli, +Europa, ex-PD, esponenti di Italia Viva e Azione. Tutti impegnati nel tentativo di ‘ridefinire’ il riformismo di questi tempi. Tra i vari partecipanti all’incontro anche Claudio Martelli già vicesegretario del PSI ai tempi di Craxi, che sull’incontro ha scritto: “Se dovessi dire di cosa abbiamo discusso sarei in difficoltà e di sicuro non per colpa degli intervenuti. Scontata la scelta dell’avversario – contrastare il bi-populismo Lega/5Stelle – tutto il resto è rimasto avvolto nella più vaga indeterminatezza come se dichiararsi riformisti fornisse ad un tempo una carta di identità, un programma e un passepartout. In particolare, nella maratona del 21 marzo, molti hanno trattato il “riformismo”, il “liberalismo”, la “liberaldemocrazia” come sinonimi, ignari o dimentichi che il riformismo nella storia italiana è un pensiero e un movimento politico e culturale inequivocabilmente socialista che nasce e si afferma in opposizione al socialismo rivoluzionario. A questo “riformismo dal basso” che creò tutto ciò che ancora dura e vale della cosiddetta sinistra e cioè l’associazione, il mutuo sostegno, le cooperative, il sindacato, il partito dei lavoratori, il suffragio universale, si deve l’impresa titanica di aver educato il proletariato, fino ad allora o vittima piegata o ribelle agitato, a farsi autore e protagonista di democrazia, a farsi Stato. Se è vero che al riformismo dal basso dei socialisti corrispose all’inizio del ’900 il “riformismo dall’alto” del governo del liberale Giolitti non va dimenticato che un altro, diverso e autonomo riformismo dal basso fu quello animato dalle correnti più avanzate del cattolicesimo e dalla dottrina sociale della Chiesa, in particolare dall’originale lezione di don Luigi Sturzo. Anche a loro Giolitti tese la mano”. Claudio Martelli, cerca scrivendo ciò, di riposizionare la discussione sul riformismo in un ambito storico che ne aiuti a precisare confini ideali e contenuti di un riformismo italiano che in passato ha prodotto alcuni significativi risultati politici e sociali… e guarda a quei contenuti rispetto ai bisogni d’oggi e alle prospettive del domani. Quelli della mia età, sanno – per averli vissuti e partecipato da elettori, quando non direttamente come attori in vari ambiti sociali – che quarant’anni dopo il riformismo socialista e quello cattolico si incontrarono fornendo la loro esperienza alle migliori stagioni del primo centro sinistra. Coniugando la spinta sindacale con l’azione di governo socialisti e democristiani produssero una ineguagliata mole di riforme: dalla scuola media dell’obbligo alla liberalizzazione degli accessi universitari, allo statuto dei lavoratori, al sistema sanitario pubblico, al decentramento regionale. A tutte queste riforme i liberali italiani (a partire dal PLI, ma anche le correnti della destra economica presenti nella DC e in altri partiti) si opposero vivacemente, talvolta contestandole con veemenza, sicché definire riformisti i liberali equivarrebbe a ingiuriarli tradendo la loro memoria… a conferma di ciò, le stesse riforme vennero promosse e sostenute anche dal PRI di Ugo La Malfa, non dimenticato autore di quella programmazione economica che gli procurò l’avversione e il dileggio della Confindustria e del Partito Liberale. Spettano invece all’iniziativa congiunta dei socialisti, dei liberali e dei radicali – questa volta assenti i repubblicani – le grandi riforme dei diritti civili – divorzio, interruzione legale della gravidanza, diritto di famiglia – e nel 1987 il tentativo di rifondare l’amministrazione della giustizia a partire dalla responsabilità civile dei magistrati – tentativo vittorioso nel referendum popolare ma evirato in Parlamento. Dice ancora Martelli: “Un riformismo puramente ed esclusivamente liberale o non è mai esistito oppure ha connotato non un movimento progressista ma un movimento conservatore, re-azionario, restauratore dei principi e degli animal spirits del capitalismo: tali furono le politiche di Margaret Thatcher e di Ronald Reagan”. Oggi, per dire come la malattia sia diventata pandemia, si dicono tutti riformisti, compresi i leader della destra nazionalista e sovranista. Giorgia Meloni infatti, presiede in Europa l’European Conservatives and Reformists Party, per l’appunto. E un Berlusconi d’antan li precedette. Anche lorsignori, padroni della finanza e dell’industria, i loro giornali, i loro maîtres à penser, ovviamente si fregiano delle “stigmate” del riformismo la cui cifra è facilmente riconoscibile. Come scrive Marco Revelli nel suo libro: «La lotta di classe esiste e l’hanno vinta i ricchi». L’ha vinta la finanza. «La lotta di classe esiste e l’abbiamo vinta noi». Così disse in un’intervista, Warren Buffet, uno degli uomini più ricchi del pianeta, commentando qualche anno fa l’ennesimo sgravio fiscale per i redditi più alti negli Stati Uniti. Già, proprio così, i ricchi hanno condotto la loro lotta di classe contro i lavoratori e i iceti popolari… e l’hanno vinta! Oggi, Il panorama politico è quindi, del tutto mutato. Non esistono più i partiti della sinistra (Pci, Psi, Psdi ecc.) e anche la Dc di Moro e Fanfani che dibattevano di “Riforme e riformismo” in senso progressista con pensieri lunghi e alti. Oggi c’è una pletora di politici di scarso livello dominati, per lo più anche se non tutti, dalla preoccupazione all’interesse alla propria carriera che a quello generale del paese. La società è mutata, la rivoluzione tecnologica e digitale è avanzata potente, la classe operaia fordista concentrata in grandi fabbriche è stata scomposta, dispersa e trasformata all’insegna della “rivoluzione conservatrice” neoliberista. Continua il problema dell’incapacità delle classi dirigenti borghesi ad affrontare i cambiamenti riformatori necessari. Molta acqua, da allora, è passata sotto i ponti della politica italiana. Un profilo riformista Matteo Renzi lo rivendicò al Partito democratico di cui era leader e al governo che presiedeva. In quella stessa fase Renzi guidò il Partito democratico all’approdo nel Partito Socialista Europeo, approdo che sino a quel momento sia Prodi, sia Rutelli, sia Veltroni avevano respinto. “In tutta sincerità quello di Renzi più che un riformismo coerente a me è parso una sorta di “cambismo” – scrive Martelli – “un cambiare comunque e a ogni costo senza un chiaro indirizzo, mescolando cose buone con altre meno buone” . Vedasi, da ultimo, la defenestrazione del governo Conte 2. Questo “cambismo” si è aggiunto a quello di una sinistra divisa profondamente, per la quale, il “riformismo” è diventato nel corso dell’ultimo trentennio sinonimo di trasformismo e subalternità. La pandemia da Covid-19 ha dato una scossa a tutto questo, al mondo della globalizzazione neo liberista, all’Italia e all’Europa riportando in primo piano la necessità di valori e concreti obiettivi socioeconomici che sembravano sommersi e dimenticati: solidarietà, eguaglianza, bene pubblico e comune, ambiente e sostenibilità come condizione per un diverso sviluppo economico e sociale, ruolo della mano pubblica nel gestire il cambiamento economico. Il Covid 19 ha dato una scossa anche alla sinistra e a forze moderate in Europa (vedi la Cdu-Csu della Merkel e della Von der Leyen), ha segnato la sconfitta di un mascalzone come Trump in America. L’unica cosa che a sinistra non si può riesumare automaticamente nel suo significato originario sembra essere la parola “riformista”. Spesso chi la brandisce di solito nasconde cattive intenzioni: moderate, conservatrici e perfino reazionarie… il trasformismo cronico della nostra società politica ci ha già fatto assistere attoniti ai contorcimenti di chi dopo essere stato socialista o addirittura comunista nei suoi primi quarant’anni, oggi sposa senza riserve il più sfrenato liberismo rivelandosi così coerente solo nella pretesa di aver sempre ragione… Di sicuro questo non è il caso di Emma Bonino e di Carlo Calenda, il cui partito si richiama esplicitamente al Partito d’Azione erede del Partito Repubblicano e del socialismo liberale di Carlo Rosselli, e nemmeno di Marco Bentivogli e di altri coinvolti in questa discussione sul “riformismo”. Ora, il nuovo segretario del Partito democratico, Enrico Letta, ha definito il nuovo Partito democratico come un partito «progressista nei valori, riformista nel metodo, radicale nei comportamenti». La definizione è piaciuta a molti che pensano al ritorno nel Partito democratico di Bersani, di Renzi e di Calenda …salvo poi risentirsi quando Letta ha comunque confermato pur rivendicando le diversità «l’avventura dell’alleanza con i Cinque Stelle». Ora, lo dico semplicemente e convintamente che: la questione delle alleanze si deve porre in modo diverso. Va posta dopo e non prima della scelta di idee guida, contenuti, obiettivi e programmi. È solo arando questo terreno, discutendo cosa fare che si possono unire veramente i riformisti… Or bene, occorre una discussione approfondita tra tutti i riformisti attivi e volenterosi, ovunque si collochino, dal Partito democratico a + Europa, Azione, Sinistra Italiana e Articolo 1, Forza Italia i Verdi… qualche perplessità riguarda Italia Viva, il suo leader e i sui continui richiami a esperienze fallite quali il Blearismo e/o in difficoltà il Macronismo… e alle loro politiche sociali ed economiche che dal Centro politico guardano a destra sia sul piano economico che dell’assetto istituzionale… Oggi, più che mai, dentro questa situazione di pandemia che tarda a finire e che procede ad ondate… occorre incalzare il governo Draghi dandogli una prospettiva riformatrice che di sicuro non sarà completato nei dieci mesi che ci separano dall’elezione del Presidente della Repubblica… Sapendo che particolarmente impegnativo sarà costruire un contributo a definire una riforma della Costituzione in termini progressisti e riformatori resa improcrastinabile dal taglio dei parlamentari… c’è la necessità altresì di una legge elettorale che garantisca la rappresentanza e la governabilità, come di una legge di riforma dei partiti secondo statuti democratici in attuazione della Costituzione. E’ urgente una convergente azione parlamentare e una campagna di opinione condivisa per concretamente rigenerare la nostra democrazia parlamentare repubblicana. Questo sarebbero il miglior viatico a “unire i riformisti”, respingendo trasformismo e subalternità, a tutto ciò la sinistra farebbe bene a rispondere…

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