Può darsi che di qui a mercoledì, quando interverrà in Parlamento, il presidente del Consiglio si sia persuaso a continuare in un modo o nell’altro, ma stante ai comportamenti 5stelle e alla strumentalità di Salvini e Berlusconi non sembra verosimile seppur auspicabile, se non per lui per l’Italia… Mario Draghi ha dato le dimissioni anche se di fatto resterà ancora presidente del Consiglio almeno fino a mercoledì, quando riferirà in Parlamento sulla sua decisione, ma è evidente il lavorio già in corso per suscitare, se non nel paese, almeno in Parlamento, manifestazioni di cordoglio tali da convincerlo a rimanere. Enrico Letta e Matteo Renzi, per una volta sorprendentemente d’accordo, lo hanno detto subito in modo esplicito; sebbene, non sorprendentemente, con diversa intenzione: il primo immaginando una ripartenza con la stessa maggioranza, compresi quindi i grillini, il secondo senza. Questo il tweet di Renzi: «Draghi ha fatto bene, rispettando le Istituzioni: non si fa finta di nulla dopo il voto di oggi. I grillini hanno fatto male al Paese anche stavolta. Noi lavoriamo per un Draghi-Bis da qui ai prossimi mesi per finire il lavoro su Pnrr, legge di Bilancio e situazione ucraina». Seguire questa linea darebbe dunque al Movimento 5 stelle quello che voleva, una comodissima rendita di (op)posizione, ma metterebbe in una posizione ben più scomoda il governo e soprattutto il Partito democratico, che resterebbe di fatto ostaggio di una maggioranza dominata dal centrodestra, che a sua volta non si vede perché dovrebbe sobbarcarsene il peso, avendo spianata davanti a sé una campagna elettorale praticamente già vinta. Questo invece il tweet di Letta: «Ora ci sono #cinquegiorni per lavorare affinché il Parlamento confermi la #fiducia al Governo #Draghi e l’Italia esca il più rapidamente possibile dal drammatico #avvitamento nel quale sta entrando in queste ore» (hashtag dell’autore). Seguire questa linea sarebbe possibile, però, solo alla condizione di uno spettacolare autodafé del Movimento 5 stelle in Parlamento, simmetrico e contrario all’asprezza usata dagli stessi grillini nel dibattito parlamentare di ieri (cui Draghi in Consiglio dei ministri ha fatto esplicito riferimento). Al termine di una legislatura che ha visto Giuseppe Conte e i Cinquestelle dirsi europeisti e antieuropeisti, sovranisti e anti-sovranisti, antiamericani e ultra-atlantisti, non c’è loro voltafaccia, per quanto clamoroso, che possa essere escluso dal novero delle possibilità. Resta da capire se però anche un pubblico atto di contrizione da parte di Conte e del suo movimento sarebbero sufficienti. Al punto in cui siamo arrivati, è ragionevole pensare che il centrodestra troverebbe assai più conveniente condannare gli avversari del fu «campo largo» a raccogliere quanto da loro seminato, inchiodando i grillini alla responsabilità di avere fatto saltare tutto e rifiutandosi di riattaccare i cocci. E tutto considerato, non si capisce nemmeno perché il Pd dovrebbe affannarsi, con il rischio di ritrovarsi nella stessa situazione a settembre, in condizioni cioè ancora peggiori, imprigionato per mesi in un governo egemonizzato dal centrodestra, con la finanziaria da votare e i grillini a riprendersi i voti nelle piazze. Ma soprattutto non si capisce perché a questo gioco dovrebbe prestarsi Draghi, che esce con linearità e serietà da una situazione grottesca, da una crisi non si sa se più tragica o più ridicola, e quasi certamente preterintenzionale. Probabilmente il Movimento 5 stelle era convinto di poter ottenere quello che voleva senza pagare pegno, facendo l’opposizione a spese del governo, senza che nessuno se ne desse per inteso, forse perché ciascun dal proprio cuor l’altrui misura. Ma Draghi non è Conte. Se un partito della sua maggioranza non vota la fiducia al suo governo, non telefona al Lello Ciampolillo di turno, ma a Sergio Mattarella. L’immagine, raccontata praticamente da tutti i retroscena, di un Conte attaccato al telefono che implora Draghi di concedergli qualcosa che possa sbandierare come vittoria davanti ai suoi parlamentari, parlamentari che Conte stesso ha aizzato facendo la voce grossa davanti alle telecamere, resterà nei secoli come esempio massimo di antipolitica (tallonato dai suoi ministri, che sono stati capaci di non votare la fiducia al governo di cui facevano parte, senza neanche fingere di dimettersi). Può darsi che Draghi alla fine si lasci persuadere a continuare in un modo o nell’altro, ma al momento non sembra verosimile… La maggioranza che ha dato oggi un simile spettacolo sull’inceneritore di Roma, cosa farà domani, quando si tratterà della finanziaria? In questo contesto, nazionale e internazionale, economico e politico, è purtroppo facilmente prevedibile che l’Italia avrà ancora bisogno di figure in grado – per capacità, prestigio, autorevolezza – di arrestare la spirale autodistruttiva del nostro sistema politico… Mercoledì prossimo al Senato è quindi auspicabile che dinanzi alla dettagliata disamina di Draghi, che obbligatoriamente traccerà una impietosa radiografia di ciò che non è più concepibile e del tanto che ancora si dovrebbe fare, una radiografia che metterà l’intero Parlamento con le spalle al muro al cospetto dell’Italia e dei cittadini, le ceneri del pentimento e della presa di coscienza saranno principalmente quelle dei grillini. Ma non solo i 5 Stelle. Nelle parole che il premier scandirà aleggeranno anche concreti riferimenti a quanti potrebbero essere ancora tentati, per interessi elettorali, di forzare l’equilibrio già precario dei conti pubblici e ad “invocare”, col metodo ormai invalso dei penultimatum mediatici, provvedimenti Mercoledì prossimo al Senato, dinanzi alla dettagliata disamina di Draghi, che traccerà una impietosa radiografia di ciò che non è più concepibile e del tanto che ancora si dovrebbe fare, una radiografia che metterà l’intero Parlamento con le spalle al muro al cospetto dell’Italia e dei cittadini, le ceneri del pentimento e della presa di coscienza saranno principalmente quelle dei grillini. Ma non solo i 5 Stelle. Nelle parole che il premier scandirà aleggeranno anche concreti riferimenti a quanti potrebbero essere ancora tentati, per interessi elettorali, di forzare l’equilibrio già precario dei conti pubblici e ad “invocare”, col metodo ormai invalso dei penultimatum mediatici, provvedimenti demagogici irrealizzabili come chiede la Lega di Salvini sostenuto da Berlusconi. E anche la Cara Meloni, dovrebbe comprendere che le urne in tempo di guerra sono un rischio troppo grande. Per Draghi la rotta della salvezza e dello sviluppo del Paese rimane quella dell’attuazione delle riforme e della modernizzazione. “Whatever it takes”, un ‘costi quel che costi’ per mettere in sicurezza l’Italia. Un presidente del Consiglio super partes che a questo punto non potrà ignorare, col rischio di fare affondare il Paese, la pressoché unanime richiesta di proseguire a guidare il governo della Repubblica, con la credibilità e prestigio che ha concretamente dimostrato di riscuotere da Washington, a Bruxelles, a Londra, a Parigi, Berlino e in tutte le capitali occidentali. Un Premier civil servant di un Paese paradossalmente alla ricerca di un compiuto senso dello Stato. Preservare Draghi che è una delle ultime e delle migliori risorse di cui ancora disponiamo è assolutamente necessario nell’interesse del Paese…
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