Politica: dovremmo imparare a vedere il mondo com’è, non come vorremmo che fosse. Oggi viviamo in un mondo à la carte…

Com’è veramente il mondo oggi, …com’è soprattutto nelle sue linee prospettiche di geopolitica, ce lo racconta Timothy Garton Ash* in un articolo scritto per La Repubblica solo l’altro ieri: «I leader delle due superpotenze mondiali, Usa e Cina, si incontrano a San Francisco e molti osservatori tornano alle grandi semplificazioni del bipolarismo. Una nuova guerra fredda! Occidente contro il Resto del mondo! Democrazia contro Autocrazia! Bisogna corteggiare il Sud del Mondo! Ma il grande storico svizzero Jacob Burckhardt ci ha sempre invitato a diffidare dei ‘terribles simplificateurs’, i terribili semplificatori. Il principio della saggezza è comprendere che oggi viviamo in un mondo parcellizzato tra molteplici grandi e medie potenze che non si dividono semplicemente in due schieramenti. I risultati di un ambizioso sondaggio a livello globale recentemente pubblicato ci aiutano a capire questo nuovo disordine mondiale. Condotto per l’European Council on Foreign Relations e per un progetto di ricerca dell’Università di Oxford sul tema “L’Europa nel mondo che cambia” di cui sono codirettore, il sondaggio ha riguardato per la seconda volta i cosiddetti Paesi Citrus, ossia Cina, India, Turchia, Russia e Stati Uniti. In autunno a questi abbiamo affiancato altri cinque importanti Paesi non europei – Arabia Saudita, Indonesia, Sudafrica, Brasile e Corea del Sud – oltre a coprire undici paesi europei. Ecco alcuni risultati che vi toglieranno il sonno. Più della metà degli intervistati in Cina, Arabia Saudita e Turchia hanno affermato che gli Stati Uniti sono in guerra con la Russia. Una netta maggioranza dei soggetti in quei paesi – così come in India e Indonesia – è convinta che la Russia vincerà la guerra in Ucraina entro i prossimi cinque anni. Più della metà dei rispondenti in Cina, Arabia Saudita e Russia reputa probabile lo sgretolamento dell’Unione Europea nei prossimi venti anni, opinione condivisa dal 45% degli intervistati in Turchia (candidato riconosciuto all’adesione a questa Unione in presunta disintegrazione) e, il che sorprende non poco, addirittura da un terzo dei rispondenti europei. È interessante notare che esiste un collegamento tra l’opinione che l’UE vada incontro a un probabile sgretolamento e l’ipotesi che la Russia vinca la guerra in Ucraina. Considerando tutto questo si capisce in che misura sia in gioco la credibilità sia dell’Europa che degli Stati Uniti in Ucraina. Il nostro sondaggio è stato completato prima dell’inizio di un’altra guerra, quella tra Israele e Hamas, che aggrava ulteriormente il nuovo disordine mondiale, ma comprendeva un quesito circa la probabilità che Stati Uniti e Cina entrino in un confronto militare diretto su Taiwan nei prossimi cinque anni. Il 52% degli intervistati in Cina e il 39% negli Stati Uniti ha avallato l’ipotesi. Sono profezie che rischiano di auto avverarsi. Sempre per togliervi il sonno, il 62% dei rispondenti in Arabia Saudita, il 56% in Corea del Sud, il 48% in Turchia e il 41% in Sudafrica si sono detti favorevoli all’accesso dei loro Paesi alle armi nucleari, che attualmente non possiedono. Ma dal sondaggio emergono anche buone notizie per l’Occidente. Europa e Stati Uniti vincono a mani basse il concorso di bellezza sul soft power. Alla domanda dove vorrebbero vivere se non nel proprio paese, una chiara maggioranza degli intervistati in Brasile, Arabia Saudita, Sudafrica, Corea del Sud e Turchia ha indicato l’Europa o gli Stati Uniti. Solo in Sudafrica la percentuale di intervistati che ha scelto la Cina supera il 10% – e quasi nessuno aspira a vivere in Russia. Ma le attrattive dell’Occidente vanno oltre. Con l’eccezione della Russia, le persone nella maggior parte dei paesi in oggetto preferiscono “gli Stati Uniti e i suoi partner” alla “Cina e i suoi partner”, sia sotto il profilo dei diritti umani che per la regolamentazione di internet. Affermano anche che la Russia non fa parte dell’Europa “quanto ai suoi valori politici attuali”, indicando chiaramente che associano l’Europa a una serie di valori politici. Sono nettamente delusi dall’hard power europeo, ma impressionati da quello statunitense. In ambito commerciale, la Cina è il partner prediletto, ma quasi tutti questi paesi preferiscono gli Stati Uniti alla Cina quando si tratta di “cooperazione in materia di sicurezza”. Poi abbiamo posto un quesito più impegnativo: se il vostro paese fosse costretto a scegliere tra i due, preferireste far parte dei paesi del blocco americano o di quello cinese? Gli Stati Uniti vincono su tutta la linea. Poste di fronte all’alternativa, le persone in Brasile, India, Arabia Saudita, Sudafrica, Corea del Sud e Turchia sceglierebbero un blocco guidato dagli americani. In Indonesia, la scelta è meno netta, ma sotto questo aspetto, e molti altri, l’unica chiara eccezione è la Russia. Quindi, il Resto del mondo preferisce l’Occidente? Beh, forse se costretto a scegliere. Ma la realtà che emerge dai nostri due cicli di sondaggi, associati a altri riscontri, è che la maggior parte di questi paesi pensa di poter scegliere di non scegliere. Possono avere relazioni economiche più strette con la Cina, cooperazione in materia di sicurezza con gli Stati Uniti e allo stesso tempo godere di tutte le gioie che il soft power europeo ha da offrire. Il mondo con le sue varie potenze concorrenti offre loro la possibilità di mescolare e abbinare. Il mondo multipolare, sotto questa forma, non consente il multilateralismo, e neppure il non allineamento secondo l’accezione della Guerra Fredda, ma piuttosto il multiallineamento, per dirla con il leader indiano Narendra Modi. Da grande potenza tra grandi potenze, si perseguono i propri interessi nazionali ovunque essi conducano, allineandosi con diversi partner su diverse questioni. Io e i miei coautori, Ivan Krastev e Mark Leonard, lo definiamo un mondo à la carte, contrapponendolo ai vecchi menu fissi della Guerra Fredda, a cui il presidente Joe Biden si rifà con la sua formula binaria di democrazia opposta all’autocrazia. Molte persone hanno apprezzato Diplomacy, il gioco da tavolo in cui i partecipanti, ciascuno associato a una delle grandi potenze europee dei primi anni del XX secolo, stringono alleanze sacre e perpetue – per poi cambiare slealmente schieramento, lasciando l’alleato nelle peste (quante amicizie si sono rovinate così!) Ma all’inizio del XXI secolo il Diplomacy della vita reale copre il mondo intero ed è ormai un gioco quadridimensionale. Puoi essere allineato con gli Stati Uniti nell’ambito della sicurezza mentre fai comunella con la Russia per l’energia e con la Cina per il commercio. Non sono solo le principali potenze extraeuropee a giocare questo gioco. Lo fa anche la Serbia di Aleksandar Vu?i?, e l’ungherese Viktor Orbán è il più cinico dei giocatori. Questo non significa che l’Occidente debba abbandonare i suoi valori. Dovremmo piuttosto imparare a vedere il mondo com’è, non come vorremmo che fosse. Evitare tutte le formule binarie semplicistiche e sviluppare invece strategie mirate per particolari grandi e medie potenze, come India, Sudafrica o Turchia. Non si vince se non si capiscono le nuove regole del gioco.»

*È un saggista e giornalista inglese, insegnante presso le università di Oxford e Stanford, e utori di numerosi libri, tra i quali: Le rovine dell’impero, Il dossier (ultima edizione Garzanti 2017), Free World. America, Europa e il futuro dell’Occidente (Mondadori 2006) e Libertà di parola. Dieci principi per un mondo connesso (Garzanti 2017). Scrive regolarmente sulla «New York Review of Books» e sul «Guardian» e in Italia su «la Repubblica». Ha ricevuto numerosi premi, tra cui il Somerset Maugham Award, il George Orwell Prize e il Premio Internazionale Carlomagno.

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