Politica: è possibile un (nuovo) socialismo per il ventunesimo secolo? Qual è l’idea di progresso ai nostri giorni ed esiste una sinistra globale? Il fiato corto della discussione congressuale del Pd dà l’impressione che proprio non ci siamo. Un problema in più la corruzione…

Parte quinta

Comincio col dire chiaramente e semplicemente che il problema del PD è di liberare il “Nazareno” da un gruppo dirigente che alla fine assieme alle elezioni in questo ultimo decennio ha perso anche la sua reputazione, come ha scritto e detto recentemente Gianni Cuperlo. Trovo molto condivisibile la schiettezza di questo giudizio. Ora Cuperlo, rompendo gli indugi s’è candidato a Segretario. Se penso alla mia personale esperienza di militante della Sinistra (ma è comune a quella di molti) che per età non è certo di primo pelo: a suo tempo ho sentito tutto il fascino di Berlinguer, senza avere la tessera del Partito ne votandolo, perché sì di sinistra, ma non comunista! La mia militanza era allora per la sinistra del PSI (Lombardi, Ruffolo, Signorile). Dopo Berlinguer, già cominciava la confusione. E negli anni, sono stato confusamente prima: occhettiano, poi dalemiano e sempre senza mai votare PCI e con simpatie per il mondo estraparlamentare. La mia attività politica è stata spesa esclusivamente nel Sindacato Cisl (allora condotto da Pierre Carniti) di cui sono stato dirigente a tempo pieno a Livello Regionale e Nazionale. Finita la lunga esperienza sindacale e andato in pensione dopo ben 48 anni complessivi di lavoro ho preso la tessera del Pd: e sono quindi stato veltroniano e poi bersaniano, mai stato invece renziano,  quando è arrivato lui o provato un forte disagio e dopo la vicenda Letta (stai sereno Enrico) anche un certo disgusto e non ho più rinnovato la tessera del Pd ne votato. Mi capita di pensare, che al di là delle etichette momentanee che possiamo metterci o ci mettono addosso altri, è una vita che mi sento minoranza, non solo e tanto nel Pd, ma più complessivamente nel Paese e sicuramente nella Sinistra più in generale. Tuttavia, alla fine, sono ancora qui e per quel che mi riesce, mi batto tra “utopia e disincanto”, per un Paese, un Continente e un Mondo migliori. Come  scrive Claudio Magris: “credere fiduciosamente nel progresso è divenuto ridicolo , ma altrettanto ottusa è l’idealizzazione nostalgica del passato. […] Il mondo non può essere redento una volta per tutte e ogni generazione deve spingere come Sisifo, il suo masso, per evitare che esso le rotoli addosso schiacciandolo. Questa consapevolezza è l’ingresso dell’umanità nella maturità spirituale”. Magris sostiene che c’è bisogno dell’utopia unita al disincanto, per vivere meglio il passaggio da un millennio all’altro: “Utopia significa non arrendersi alle cose così come sono, ma lottare per le cose così come dovrebbero essere. […] L’utopia da senso alla vita, perché esige che la vita abbia un senso, il disincanto rafforza un elemento fondamentale dell’utopia: la speranza”. Il 25 settembre i Pd ha preso uno schiaffo forte, ma se si guarda all’indietro, la sconfitta parte nel 2011 quando Bersani, per non dispiacere a Napolitano, non pretese le elezioni, che potevano essere “vinte bene”, perché Berlusconi era nei guai tra spread, processi e Olgettine,  mentre i 5stelle erano ancora nascenti. Così nel 2013 si è “vinto male”, per poi nel 2018 “perdere bene”, sino ad arrivare al disastro di tre mesi fa. Forse dovremmo proprio complimentarci con noi stessi!! Negli ultimi anni il Partito democratico ha vissuto ben 6 tra addii e  scissioni  (nell’ordine: Francesco Rutelli, Mario Adinolfi,  Pippo Civati e  anche l’addio di Fassina e D’Attorre. Poi le scissioni di Bersani, Renzi e l’ultimo uscito Calenda.  Il problema però non è tanto e solo i vari leader, ma la poca chiarezza della linea politica. Assieme a una forma partito, nata male e ormai superata a partire dal rito delle primarie. Il Partito Democratico si è posto come punto di riferimento del centro sinistra italiano. Poi, nei suoi 15 anni di vita, la sua centralità è andata svanendo e i segni della crisi sono diventati chiari. In questi quindici anni il Pd ha avuto ben 9 segretari. Di questi, ben quattro segretari eletti con le primarie, non hanno terminato il loro mandato. Anche Enrico Letta, eletto non alle primarie, ma in Assemblea, ha rinunciato a ricandidarsi. È un caso? Non credo. In così breve tempo il Pd ha avuto non solo le quattro dimissioni di segretari eletti plebiscitariamente con le primarie e in più la rinuncia di Letta, ma anche vere scissioni, di cui quelle di Bersani e Renzi sono state pesanti e anche sanguinose. Ma chissà perché nel partito non si sono mai veramente discusse nel merito e con chiarezza. Tutto questo ci dice che la radice profonda della crisi del Pd va ricercata non tanto e non solo nella persona dei suoi segretari, fatta eccezione per uno: Renzi, che è stato per molti aspetti il “male assoluto” del Pd  nel suo desiderio, mai negato, guardando al Centro di essere lui l’erede politico di  Berlusconi e ancora oggi, guardando ancora a quell’obbiettivo rappresenta un guaio per la politica nostrana. In più oggi, a lui si aggiunge Calenda. Sicuramente due “opportunisti” politici. Comunque, il Partito democratico avrebbe dovuto saperlo che non si fa politica senza far capire con nettezza quale parte della società si vuole rappresentare e come si intende farlo. E per un partito di Sinistra che ha come priorità di lavorare per il completamento del cammino europeo, avendo attenzione alla divisione dei poteri e per lo stato di diritto,  non può però farlo scordandosi che prima vengono, i poveri, i senza diritti, i lavoratori dipendenti, le false partite iva, le donne i giovani. Che occorre più sanità pubblica, sicurezza pubblica, scuola pubblica e Università. Che lo sviluppo economico deve avere attenzione all’ambiente e alle fonti di energia, ma anche alla distribuzione equa della ricchezza… tutto ciò era e resta fondamentale per un partito di Sinistra. E non è poco. Meno che mai oggi, in tempi di governo della destra, di crisi economica, di guerra e di grandi rischi internazionali, dove tutto è sicuramente più difficile. Alla fine, dopo il 25 settembre (non chiedetemi il perché)  ho ripreso la tessera del Pd. Oggi, alla Sinistra: sono richieste posizioni chiare e comprensibili. Occorre che la Sinistra ricominci a riflettere come già detto in questo lungo post a più puntate: sulla crisi del Capitalismo. Il Pd su ciò è sicuramente in colpevole ritardo rispetto alle diseguaglianze prodotte dal sistema capitalistico. C’è bisogno che il Pd, o meglio la Sinistra più in generale (il Pd ormai non la rappresenta più tutta quanta, avendo negli anni perso credibilità) entri velocemente nella discussione in corso a livello più globale sulla crisi del capitalismo e sui suoi mali: una globalizzazione nella sua peggior accezione, il crescere delle diseguaglianze ormai divenute intollerabili, la finanziarizzazione dell’economia spinta all’estremo. Rispetto a tutto ciò il Partito, oggi, dovrebbe chiedersi onestamente se rappresenta ancora la Sinistra? Soprattutto se deve continuare a farlo in maniera più radicale. Anzi, per molti aspetti deve sicuramente ricominciare a farlo. Deve inserirsi al più presto e a pieno titolo nel processo riformatore in corso in buona parte del mondo, dove si cercano di identificare e correggere gli eccessi del capitalismo e le sue storture cui si è ampiamente accennato. Non è stato ancora fatto e il ritardo è colpevole e anche autodistruttivo. Come già detto nel partito, il pensiero di autori come Joseph Stiglitz, Thomas Piketty, del critico della globalizzazione Dani Rodrik professore di Harvard, non è conosciuto, non è quindi studiato e discusso approfonditamente non è quindi interiorizzato e meno che meno trasformato in parti di un programma politico. Il Pd non va liquidato, né gli va cambiato il nome (bene se si vuole aggiungere “Lavoro”). Non è di questo che ha bisogno.  Oggi, soprattutto, non può stare fermo a guardare come finirà il Congresso e deve fare opposizione al governo di destra. Inoltre, se non discute e semplifica l’organizzazione del partito e i livelli decisionali e per ora a giudicare dalla media degli interventi precongressuali… ancora non ci siamo. Continueranno a restare fuori dalla discussione nel partito e sul partito:  i grandi temi dell’economia. E’ come se il partito, nato prima della crisi del 2008, del semi-crack italiano del 2011, del Covid, della guerra, sia stato attraversato da tutti questi avvenimenti epocali senza scomporsi, quasi senza accorgersene. La famosa unione delle due culture quella post-comunista (mai definita ne chiamata come dovrebbe essere: socialista) e quella post-democristiana (senza mai dire chiaramente ispirata alla dottrina sociale della chiesa, con la sua attenzione agli ultimi del Paese e del Mondo) ha funzionato poco sia sotto il profilo politico che del riconoscimento dei diritti civili. Certo non era affatto sicuro all’inizio che “l’amalgama” fosse possibile. Tutto quanto si è fermato lì, tutto è finito ibernato, nella salvaguardia della somma dei due gruppi dirigenti… Tuttavia, qualche segnale di vitalità in questa lunga stagione precongressuale si intravede. Però bisogna andare a cercarlo fra le figure minori del partito, sui territori in periferia. Non solo nelle grandi Città e anche non al Nazzareno fatta salva qualche rara eccezione. Gianni Cuperlo, anche Andrea Orlando e Provenzano finalmente non appaiono più scontati sul Capitalismo, finalmente si interrogano pongono quesiti, avanzano critiche. Purtroppo, l’idea del Capitalismo senza alternative, di un neoliberismo spinto è oggi ancora presente nel partito (ciò mostra ancora l’esistenza di “scorie” del renzismo e del suo spiccio liberismo economico… Questioni come il salario minimo, il lavoro e le tutele contrattuali. La parità di salario tra Uomini e Donne. L’orario di lavoro e quello della Società, sono ancora solo enunciazioni fatte ma ancora con qualche timidezza… da ogni critica al capitalismo è bandita la parola “socialismo” anzi se riferita al riformismo è considerata un’eresia… si parla di riformismo liberale, lo dico esplicitamente: che un progetto riformatore o è ispirato dal socialismo democratico o non è. Non conosco alcun riformismo liberista che tutto traduce nel mercato e nella finanza, in liberismo puro, che è tutta un’altra cosa dal riformismo. Orbene, Stefano Bonaccini: un dirigente che si candida praticamente dal 26 di settembre, il giorno dopo la sconfitta, senza ancora abbozzare un intervento di merito e di pensiero politico, per esempio in occasione della Direzione Nazionale dei primi di Ottobre, che convocava il Congresso… anzi prende e se ne va a metà riunione, provoca delle perplessità. Il fatto che sia il Presidente dell’Emilia-Romagna non sembra un fatto sufficientemente forte per puntare alla Segreteria del Partito… così come lo stesso ragionamento su alcuni Sindaci d’Italia… meno che meno quello sui sindaci di Firenze, Renzi a suo tempo e oggi, Nardella, altrettanto  Matteo Ricci e De Caro, che alla fine si sono allineati nel sostegno a Bonaccini… della De Micheli, francamente, non so pensare e dire. A proposito di Emilia-Romagna, Elly Schlein, che dire? mi Piace. Ho letto anche il suo libro “La nostra parte” è condiviso le tesi sulla giustizia sociale e ambientale. E’ già opzionata da una corrente forte, quella di Franceschini; comunque, appare ancora troppo “schiacciata” sul tema dei diritti civili. I quali peraltro non sono affatto contrapposti ai temi sociali: al contrario, non andrebbero mai disgiunti… perché alla fine non avanzano né gli uni né gli altri. Concludendo veramente, sull’economia, mi sembra di capire che la parola chiave resti ancora: “finanziarizzazione”, parola che riassume in sé tutti i mali del neoliberismo. Ed è così! Si è perso di vista l’aspetto “reale” dell’economia. Le grandi corporation ma anche le meno grandi imprese, trovano più conveniente investire i profitti in titoli derivati o altri strumenti puramente finanziari per garantirsi una rendita, anziché reinvestirli nella produzione di beni e servizi, nel capitale umano, nella formazione dei dipendenti, nella loro retribuzione. E spesso non pagano nemmeno le tasse. A proposito di fisco, va comunque detto che il lavoro autonomo riesce a evadere i due terzi dell’Irpef. Ma il governo guarda altrove, Giorgia Meloni vuole concentrare i controlli su grandi società e grandi frodi Iva. Le tasse da recuperare tra professionisti e commercianti sono molto più elevate. Altro che continuare con forme spurie di condono e continuare a parlare di Flat tax… l’evasione fiscale nella situazione italiana è addirittura eversiva! Chissà perché quando nel partito o meglio in alcuni ambiti del partito, si pongono questi temi, si viene guardati come dei ‘marziani’. D’altronde quando hai avuto Segretario uno che aveva e forse ha ancora, una Fondazione finanziata da amici che sono i gestori di questo o quel fondo finanziario quotato alla borsa di Londra… così hai la possibilità di pagare un tuo partito dentro al partito… e contemporaneamente costruirti una carriera da lobbista magari per parlare del “rinascimento arabo” sempre profumatamente pagato… facendoti poi all’occorrenza un partito personale dove nessuno possa contraddirti. Che poi presti questo partitino per far coalizione, ad un altro personaggio, che viene anche lui dal Pd, dopo che si è fatto eleggere nelle sue liste in Europa, poi è uscito dal partito, perché lui i 5stelle non li sopporta e non sopporta neppure che ci si parli… fonda anche lui un partitino suo, ma per andare al voto diventato nel frattempo anticipato, senza dover raccogliere le firme necessarie a presentare la sua lista, prima fa un accordo elettorale con Letta con tanto di fotografia di bacio di Giuda, accordo che disdice  24 ore dopo, perché oltre ai 5stelle non sopporta Frantoiani e Bonelli e nemmeno più la Bonino… scopre all’improvviso, che l’unico che sopporta non senza qualche fatica è se stesso e sembrerebbe (ma è una grossissima balla) Italia Viva e Matteo Renzi… ditemi voi: come può accadere qualcosa di diverso da tutto quello che è accaduto?! Altro che grande dimenticanza il problema delle diseguaglianze, per Renzi & C. è una scelta politica, una scelta di campo precisa… ricordiamo gli 80 euro dati al “ceto medio” è stato un segnale preciso, rispetto a chi si voleva rappresentare. dicendo di fatto a tutti gli altri, che potevano andarsene altrove, e così, altrettanto il job act… con l’eliminazione del simbolo dell’art.18 dello Statuto dei Lavoratori. Sono scelte precise che dicono chiaramente vogliamo quelli delle Ztl, il mondo del lavoro dipendente e gli ultimi vadano pure altrove e/o non votino più. La riforma costituzionale (con all’interno una riforma semipresidenziale alla francese, senza nemmeno dirlo) con in più il Rosatellum. E poi la riduzione dei parlamentari, senza una nuova legge elettorale, facendo votare tutto ciò con la fiducia al governo dal Partito, ha fatto perdere la reputazione a questo gruppo dirigente. I pentimenti tardivi (una volta che Renzi se ne è andato), servano a poco. È così proprio così. Aiutano, ad approfondire le diseguaglianze, già accentuate dalle carenze nelle politiche pubbliche, nell’istruzione, nei servizi sanitari, nei servizi sociali a partire dell’abitazione, oltre che da un sistema fiscale ingiusto e incoerente. Su tutto questo quando il Partito pensa di dover fare pubblica ammenda?! Senza ciò, com’è possibile che il Pd recuperi credibilità, e rimetta al centro di un solido programma politico obiettivi precisi con cui tentare di riconquistare milioni di elettori delusi. Si sono persi più voti fra i meno abbienti che avvertono il peso delle diseguaglianze, o nel ceto medio che accusa il Pd di scarsa cultura politica? E ci si propone di votare la Moratti perché si è spostata alla sinistra della destra …succede sempre più spesso ma si chiama “trasformismo”. Ovunque. Gli operai votano Meloni come in America hanno votato Trump perché si sentono abbandonati. Chi ha maggior consapevolezza di sé, sicuramente è sfiduciato. Il Pd paga un peccato originale: è nato nel 2007, all’apice della narrazione ottimistica sulla globalizzazione neoliberale, che di lì a poco si è infranta sugli scogli delle crisi economiche a catena. Per di più, allora era il partito che governava quasi tutto in Italia, il che lo ha reso privo di una visione “forte” su cosa cambiava e come in rapporto a ciò bisognava anche cambiare il partito. C’era chi lo guardava solo per interesse: non stupisce che agli occhi di molti ex sia diventato un partito tutto compromessi politici e spartizioni del potere. Oggi devono chiedersi: quant’è è lontano il Pd dal riconquistare una posizione di prima fila nel dibattito politico italiano e internazionale? Moltissimo!!! Il Pd deve capire quello che è successo nel mondo in questi anni e da lì tornare a svolgere un ruolo chiaro per la società: i cittadini non sono interessati a continui dibattiti politologici sulla sorte e il ruolo dei partiti nella democrazia rappresentativa attaccata dal populismo e dal sovranismo, ma sono invece, sempre più attenti a capire cosa i partiti possono fare per risolvere i loro problemi di vita quotidiana, sul come contrastare le ricorrenti crisi economiche, oltre a quella climatica e ambientale e naturalmente temono l’aumentare delle diseguaglianze, nonché la compressione e la negazione dei diritti civili. Tutto questo per dire che il problema del Pd non è solo di nuove idee è anche quello di un gruppo dirigente che va rinnovato a partire dal riaccendere al suo interno una nuova passione politica, rinnovandolo anche con un un po’ di facce nuove, anziché garantire l’eleggibilità in collegi sicuri ai sempreverdi Casini, Franceschi & C. Infine c’è un problema in più: la corruzione e la reazione ad essa. Il Qatar-gate. La prima reazione è stata di choc, poi subito di indignazione e di rabbia. Choc perché non ci si poteva credere. Indignazione perché i fatti sono gravissimi e, al di là dei reati di cui si occuperà la magistratura, c’è una ferita sanguinosa, che non si può in alcun modo minimizzare. Rabbia perché queste condotte vergognose hanno provocato tanti danni: un danno agli italiani, per la loro immagine, un danno al mondo socialista e progressista, perché è all’interno di questo mondo che, sia pure con diverse appartenenze, i soggetti in questione stavano, e un danno, il peggiore forse, alla dignità e onorabilità di un’istituzione come il Parlamento Europeo. Ora, dopo la condanna senza sconti e senza alcuna sfumatura, il PD deve reagire con molta durezza e con mosse concrete. Le parole, anche le più sincere, non bastano più. Qui si è in presenza di vergognosi traditori dei propri ideali e il PD è perciò “parte lesa”, ma il partito deve essere “spietato” anche con il suo mondo. Da un lato è giusto rimarcare che il gruppo e la sua  delegazione non sono stati condizionati né compromessi. Infatti, se questa azione di corruzione tendeva ad addolcire le posizioni della delegazione sul Qatar, l’obiettivo non è andato in porto, anzi la delegazione PD ha votato tutti gli emendamenti che accusavano il Qatar per le morti dei lavoratori non tutelati e per molti altri punti. Tutto vero, non si sono fatti né condizionare né influenzare, né tantomeno corrompere. Ma, dall’altro lato, devono avere il coraggio di capire, pur se si tratta di casi limitati, come sia stato possibile che nella famiglia progressista sia avvenuto un tale sovvertimento dell’onestà personale e politica, dei valori di base, delle idee, e della dignità che il vincolo del pubblico incarico comporta. È vero che le responsabilità sono personali, ma che ciò sia avvenuto in “casa” con un ex deputato del gruppo e una vicepresidente del parlamento del gruppo S&D è grave e chiama tutti in causa. Capire non vuol dire minimizzare, anzi! Vuol dire che occorre ancor più irrobustire la  formazione personale e politica e selezionare più accuratamente la classe dirigente …non deve essere così anche per voi?

(fine)

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