Politica: governo un solo colore… Nero. Alla destra al momento non ci sono alternative. Meloni punta sulla Ue senza curarsi degli avversari. “Elly Schlein non ha alcuna responsabilità per i risultati delle elezioni comunali” lo dicono in coro Boccia, Franceschini e lo stesso Bonaccini. Certo però che la “vocazione dubitativa” della Schlein non può continuare all’infinito, deve trovare rapidamente un chiaro posizionamento politico per il suo Pd…

Né il Pd di Schlein né i derelitti Cinquestelle dopo il voto ai ballottaggi di domenica e lunedì scorso possono impensierire più di tanto la premier. L’unico elemento di rottura potrebbe arrivare dall’interno della maggioranza ma difficilmente Salvini farà casino… almeno prima delle votazioni Europee tra un anno. Il centrodestra ormai si sente legittimato ad allargare il suo potere in ogni direzione. Non è certo l’esito di una tornata elettorale ad alimentare questo istinto di occupazione e a segnare la direzione della politica italiana. Tantomeno le amministrative in cui pesano le liste civiche, il radicamento dei partiti e il meccanismo dell’elezione diretta dei sindaci. Tuttavia, il voto di domenica e lunedì conferma che il centrodestra unito rimane sulla cresta di un’onda che si è alzata il 25 settembre del 2022 e non sembra destinata a calare fino alle Europee della prossima primavera. Sono tanti i mesi che ci separano da questo appuntamento elettorale da cui dipende la definizione del nuovo potere europeo. Può succedere che il governo commetta errori pesanti, si incarti sul Pnrr, non mantenga le promesse su tasse, pensioni, immigrazione. Ma è difficile immaginare un suicidio della maggioranza, e soprattutto che dalle macerie delle opposizioni possa nascere una seria preoccupazione per Giorgia Meloni. La premier dovrà preoccuparsi soltanto dei suoi avversari interni, del protagonismo di Matteo Salvini, delle serie divergenze su come rimodulare i progetti del Recovery Fund, dei contrasti tra il Mef e la struttura centralizzata a Palazzo Chigi. Non sono Elly Schlein, e ancora meno Giuseppe Conte, a impensierirla. Elezione dopo elezione, semmai, sta venendo meno la possibilità concreta di un’alternativa di governo e che si consolidi una sorta di monocolore stile Dc ma neo meloniano, con tante sfumature al suo interno che si accenderanno con la campagna elettorale per le europee giocata con il sistema proporzionale. Con una fondamentale differenza tra il polo di centrodestra e quello inesistente del campo opposto. Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia correranno ognuno con la propria bandiera, ma sanno già che alla fine sommeranno i loro eurodeputati per spezzare l’asse Popolari e Socialisti e comandare a Palazzo Berlaymont a Bruxelles. Rimane ancora l’incertezza se anche i leghisti saranno della partita, ma è chiaro che Salvini sta lavorando per esserci a pieno titolo. Dovrà gettare a mare gli estremisti di Alternative für Deutschland, dovrà far digerire Marine Le Pen. Cosa, quest’ultima, tutt’altro che facile, anzi sarà quasi impossibile non solo per i Popolari, anche per quelli più a destra come Manfred Weber, e per gli stessi Conservatori polacchi, alleati di Meloni, per le posizioni filoputiane e antiucraine della leader francese. Ma questo è un tema ancora prematuro. Il punto è che il centrodestra ha comunque un progetto per l’Europa e un governo in Italia. E il vento che tira nel Continente soffia sulle vele di questo polo, dalla Svezia alla Finlandia, alla Grecia, alla Spagna. La sinistra in tutti i Paesi arranca e in Italia il Partito democratico stenta a decollare sotto la guida di Schlein. I sondaggi la danno sempre poco sopra il venti per cento… Non è possibile sapere se potrà confermare il consenso o crescere ulteriormente. Il problema è che attorno ha il deserto dei tartari. I Cinquestelle le remano contro perché sanno che i voti il Partito democratico li prende, quando li prende, in quel movimento. Insomma, non si vede nessun potenziale schieramento che possa insidiare l’attuale maggioranza e garantire in prospettiva l’alternanza di governo. È la morte del bipolarismo come finora lo abbiamo conosciuto nel bene e nel male. La conseguenza di questa tendenza è l’indebolimento della democrazia e l’autosufficienza politica della maggioranza che allarga a dismisura il suo potere nello Stato e in tutte le sue appendici. Fino a mettere in discussione gli organi di controllo e di garanzia. «Il ritorno a un governo politico – afferma il costituzionalista Giuseppe Azzariti in un’intervista alla Stampa – viene inteso come il diritto a svincolarsi da ogni tipo di controllo». Sarebbe la cosa più grave e senza ritorno in assenza di un’alternanza di governo. La vittoria della destra alle amministrative è stata netta, una brutta batosta per il Pd, ma per l’ex segretario Dario Franceschini, il vento può ancora cambiare: «Alle Europee le opposizioni prenderanno più voti dei partiti di governo». «Nessuno ha la bacchetta magica, nemmeno Schlein». L’ex segretario del Partito democratico, Dario Franceschini, prova a difendere Elly Schlein dalle accuse che le sono arrivate da più parti dopo i pessimi risultati del partito – e dei candidati di centrosinistra – alle elezioni amministrative. In questa tornata il messaggio politico arrivato dalle urne è stato netto e indiscutibile: una vittoria della destra chiara, evidente. Ma nella sua intervista a Repubblica, con Stefano Cappellini, Franceschini (Bonaccini fa altrettanto) dice che non bisogna sorprendersi dell’esito del voto: «Tanti fattori concomitanti spiegano il risultato. Il primo è un’onda di destra che riguarda tutta l’Europa. Il secondo elemento è fisiologico, ci sono pacchi di studi a dimostrare che in tutti Paesi del mondo, quando si vota nel primo anno di governo, c’è un effetto trascinamento. Infine, c’è il terzo elemento, tutto italiano, e cioè una maggioranza unita e una minoranza divisa». Di un possibile effetto Schlein, o qualunque cosa che potesse evitare questa batosta al Partito democratico, nemmeno l’ombra. Ma non è un buon motivo per attaccare la segretaria eletta lo scorso febbraio: «Mi rattrista un po’ che le lezioni del passato non bastino mai. Tutti i leader del Pd, hanno subito dal primo giorno una azione di logoramento. Allora dico: fermiamoci. Il risultato di queste amministrative non può diventare un alibi per iniziare un attacco alla Schlein. Lasciamola lavorare libera, non bisogna ingabbiarla». Il rischio, insomma, è che un risultato negativo di cui Schlein non ha alcuna responsabilità venga usato per indebolirla in tutti i modi possibili. Se non è giusto attaccare – o criticare – Schlein per i risultati delle amministrative, è quanto meno lecito attendersi un cambio di rotta guardando in prospettiva futura. Tra un anno ci saranno le elezioni Europee e al momento guardando gli schieramenti è possibile distinguere delle differenze piuttosto nitide: una coalizione, quella della maggioranza di governo, che si comporta come tale, pur con tutti i suoi normali dissidi interni, e un’altra, all’opposizione, che semplicemente non è una coalizione, anzi. E la prima conseguenza la si vedrà nella stabilità del governo Meloni: «Ci piaccia o no, il governo andrà avanti fino in fondo, dobbiamo ragionare su un tempo lungo, abbiamo quattro anni a disposizione», dice Franceschini. In questo tempo lungo, dice l’ex segretario dem, bisogna lavorare su due fronti: «Primo fronte, Pd. Secondo fronte, coalizione. Schlein ha già fatto bene al partito, con le primarie ha cominciato a recuperare consensi dall’astensionismo e dai tanti delusi di sinistra. Le va lasciato completare questo lavoro fondamentale. Quanto alla coalizione, alle europee si vota con il proporzionale, ci sta che i singoli partiti lavorino sulla visibilità, lo vedremo anche a destra». Quando si tornerà al voto per le Europee, il governo Meloni avrà quasi due anni di vita. Un tempo sufficiente per iniziare a vedere un principio di cambiamento, dice Franceschini: la sua scommessa è che «la somma dei partiti di opposizione sarà superiore alla somma partiti di governo, e il risultato creerà un clima nel paese. Gli elettori diranno con chiarezza alle opposizioni: se state insieme potete vincere, divisi non ci potete neanche provare». Tuttavia, l’imminente voto europeo sulle armi all’Ucraina che rischia di dividere gli europarlamentari dimostra che, dal giorno del suo insediamento, la segretaria non ha ancora dato una vera linea al partito. C’è subito una grana nel day after di Elly Schlein e si chiama nientemeno Ucraina – armi all’Ucraina –, cioè un tema estremamente sensibile nella linea generale e nella visione della leader del Partito democratico. Si tratta del voto che il Parlamento europeo esprimerà domani sulla velocizzazione dei tempi per ulteriori finanziamenti per gli armamenti a favore della resistenza ucraina. Schlein ieri sarebbe dovuta andare a Bruxelles proprio per trovare una posizione comune degli europarlamentari del Partito democratico sul piano Asap, l’acronimo di Act to Support Ammunition Production (Legge per sostenere la produzione di munizioni), ma anche di As soon as possible (Al più presto) sul quale un mese fa il gruppo del Partito democratico si era parzialmente diviso. I dem sono contrari all’utilizzo dei fondi del Pnrr per incrementare le spese pro-Kyjiv, ma il governo italiano ha già chiarito che quei fondi non verranno utilizzati. La questione vera è che il Movimento 5 stelle è contrarissimo a questo provvedimento (come a tutte le misure antirusse) e che, come detto, nell’eurogruppo Pd vi sono deputati come Pietro Bartolo e Massimiliano Smeriglio fermi sulle posizioni di quel pacifismo contrario alle armi e che dunque sconfina nel neutralismo. Schlein recentemente ha detto che non vi possono essere «ambiguità» a sostegno della Resistenza e istintivamente storce il naso davanti a provvedimenti che incentivano gli aiuti militari. Può darsi che in un primo momento l’idea della segretaria fosse quella di presentare emendamenti al piano che, una volta respinti, avrebbero potuto giustificare un voto di astensione ma è chiaro che questo avrebbe isolato il Partito democratico non solo nel Parlamento europeo ma anche nel gruppo socialista. Né può essere dato per scontato, anzi, che un voto di astensione avrebbe avuto il placet della maggioranza dei dem europei. Agli europarlamentari democratici, comunque, la leader ieri ha fatto capire che alla fine il Pd voterà a favore del provvedimento e dunque non dovrebbe succedere nulla di eclatante: meglio non aprire un altro fronte, ci manca solo un incidente sull’Ucraina per fare dello psicodramma di queste ore un dramma vero. Schlein, che pure è iscritta da poco tempo, si sta rendendo conto che il Partito democratico è perennemente una polveriera capace di deflagrare anche solo per una sconfitta in amministrative parzialissime e anche se non siamo a questo è evidente che la botta sta lasciando strascichi evidenti. Mai era successo di perdere praticamente ovunque (salvo Vicenza) perché tradizionalmente, anche nei momenti più difficili, alle amministrative qualcosa il Partito democratico riusciva a portarlo a casa. Stavolta invece è stata una catastrofe. Ora, a soli novanta giorni dalle primarie, non ci può essere nessuna persona con un po’ di sale in zucca che ritenga che Elly debba già scendere dal carro, e tuttavia i movimenti interni sembrano andare in un’unica direzione: non tanto nella richiesta di un cambio di linea – se non altro perché il problema è che una linea chiara non c’è e dunque è tecnicamente complicato chiedere di cambiarla – quanto che la leader deve rendersi conto che un partito non si dirige in un modo che a molti risulta al tempo stesso evanescente (qual è la proposta politica del Partito democratico?) e presenzialista («Decide tutto lei», dicono un po’ tutti). La richiesta di maggiore coinvolgimento e più pluralismo è avanzata sia dalla minoranza, che pure non brinda per i guai della segretaria al cui carro in fondo si è attaccata, ma anche da esponenti che al Congresso l’avevano sostenuta. Le critiche vengono più o meno da tutte le personalità più note (Francesco Boccia escluso). Ci si attendono ora da lei dei segnali precisi su un più chiaro posizionamento politico del partito e su un allargamento del “giro” che prende le decisioni. Diciamolo più chiaramente: la sensazione è che Elly Schlein e il gruppo dirigente più sperimentato non si prendano proprio “a pelle”. Nessuno la sta capendo, nessuno riesce a scorgere le sue intenzioni. Si rischia una situazione pirandelliana, una finzione permanente con una leader vissuta più con sospetto che con fiducia. La settimana prossima ci dovrebbe essere la Direzione del partito e qualcosa di tutto questo forse verrà fuori. Al Nazareno non siamo alla resa dei conti. Per ora, almeno.

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