Politica: Ho visto il film: “Io, noi e Gaber”. Meloni e il Premierato. La Democrazia è in pericolo. Suoniamo l’allarme!!!

Il film “Io, noi e Gaber”, è un viaggio nel mondo di Giorgio Gaber. Un Mondo ormai datato, in cui perdersi e dove ritrovare i ricordi di un’Italia di cui Gaber sapeva comunque sempre cogliere e raccontare, soprattutto le trasformazioni e le tante contraddizioni… Oggi, il Paese è cambiato profondamente, c’è chi dice in peggio… sicuramente si fa più fatica a percepirne il senso di comunità, emergono soprattutto le differenze culturali con le loro varie arretratezze, si fanno acute le diseguaglianze economiche e sociali. La politica è sempre più divisiva… c’è chi dice che il paese è sempre più instabile e si è fatto ingovernabile… Abbiamo per la prima volta una donna a Capo di un governo. Giorgia Meloni con il suo partito Fratelli d’Italia, da poco più di un anno è a capo di un Esecutivo di coalizione con Lega e Forza Italia e, affronta la situazione sicuramente con  molto  ‘piglio’ che ne mostra il carattere forte… c’è chi dice che questo suo carattere sia: “supponente, prepotente, arrogante e persino offensivo”. Sicuramente mostra di essere alquanto determinata nel suo ruolo di Premier e di volerlo utilizzare altresì per primeggiare oltre che in  Patria, anche tra i Primi del Mondo. Coloro che si trovano ai vertici dei governi dei grandi Paesi e che stanno sempre più in guerra che non in pace determinando profondi cambiamenti geopolitici che mutano gli equilibri politici tra Potenze mondiali, in questo primo secolo del terzo millenio. L’agenda Meloni, oggi,  fissa una precisa centralità del governo del nostro paese e per il suo ruolo da Premier sul palcoscenico  del Globo terracqueo. L’elemento esiziale del necessario cambiamento che il Paese deve fare per darsi una definitiva stabilità e  governabilità politica è quindi una ulteriore riforma della sua Costituzione. Nel dibattito politico italiano questo tema ha assunto proprio in queste ultime settimane una accellerazione e sempre maggior rilievo, rispetto a tutto il resto (ed è molto) della discussione in corso nei luoghi della nostra politica, sulle tante emergenze e i tanti problemi che l’Italia e soprattutto gli italiani devono quotidianamente affrontare. La riforma costituzionale. La proposta della Premier Meloni dell’elezione diretta del Presidente del Consiglio, invece di quella dell’elezione diretta del Presidente della Repubblica, che veniva indicata nel suo programma elettorale, ci costringe ad interrogarci sul perché di questo cambiamento così netto di obiettivo?! Una volta diventata Premier del governo la Meloni con un doppio salto carpiato, e ci si conceda anche con una certa doppiezza che, in questo periodo va caratterizzando sempre più il suo agire nonchè l’azione del suo governo. È un cambio di rotta totale che mette nel mirino, quale bersaglio grosso della sua riforma costituzionale la stessa essenza della democrazia italiana. Il bisturi di Meloni taglia nettamente in due lo Stato liberale… Va detto senza alcuna remora: che la riforma costituzionale voluta dalla Premier, tenta di compiere una vera e propria operazione chirurgica: sottraendo allo stato liberale quel surplus rappresentato dalla democrazia non tanto come semplice forma di legittimazione del potere, ma come forma acquisita e sostanziale di pluralismo e di vita. Quando Meloni sfida l’intero Paese chiedendoci se vogliamo decidere noi o lasciare che decidano i partiti, dobbiamo cominciare ad ‘urlare’ per far comprendere a tutti che è proprio senza i partiti che, nella realtà non potremo più essere noi a decidere. La democrazia è una scoperta recente. Le istituzioni politiche moderne hanno guardano da subito con ammirazione molto più a Roma che ad Atene. È solo dopo la Seconda guerra mondiale, grazie all’evidenza per cui la sovranità degli stati abusava dell’energia dei Nazionalismi per legittimare persino la barbarie, che la democrazia diventa non solo una forma di governo tra le altre, ma addirittura un ‘ideale’ capace di garantirci dal rischio più grande, che non è quello della debolezza del sovrano, ma quello della sua tracotanza. Nel pluralismo delle sue forme, è a questo modello di democrazia che ci rivolgiamo oggi, con la nostalgia delle cose preziose e perdute. Non potrà però essere la nostalgia a salvarci, ma la speranza. Non ci salveremo sentendo la democrazia come una cosa perduta, ma come una cosa che ancora deve avvenire. Così, nel dramma della storia, la democrazia si aggiunge all’evoluzione dello Stato e, in particolare, alla forma dello stato liberale, con cui non coincide di certo in toto, ma fissa con chiarezza l’obbiettivo. Smettiamola di guardare il dito… guardiamo la Luna. Dicevamo che, la democrazia è una scoperta recente quanto necessaria, perché ciò che lo stato liberale declina in negativo, la democrazia osa pronunciarlo in positivo. Non si tratta solo di difenderci dall’abuso di potere, ma anche di spezzare il potere e condividerlo attraverso la partecipazione politica, l’impegno pubblico, le reti di cittadinanza e di solidarietà. Perché ricordare queste cose ovvie di fronte alla riforma costituzionale proposta dal governo Meloni? Le critiche nei suoi confronti sono tutte tecnicamente ineccepibili, ma non bastano. A esse conviene affiancare tutte le competenze ancora appassionate dell’ideale democratico, perché la politica non è soltanto la semplice applicazione della tecnica costituzionale, è ciò che successivamente si sedimenta e diventa forma di vita plurale, nonché, modello di pensiero e orizzonte di aspettative. Ed è per questo che bisogna ricordare, con la stessa ferocia che brilla negli occhi di colui al quale stanno togliendo l’ultima briciola di pane, che la democrazia può essere disossata e ridotta a un guscio vuoto. A me così appare se guardo a questa proposta di riforma costituzionale, in assoluto la più ‘torbida’ di qualsiasi altra (l’aggettivo è della costituzionalista Alessandra Algostino). Su una cosa Giorgia Meloni ha ragione, ed è definire questa come «la madre di tutte le riforme». Il suo bisturi è orientato benissimo e vuole approfittare di decenni in cui abbiamo sostituito la pazienza del parlamentarismo con la tentazione dell’”unto del signore”. L’uomo (e oggi, la donna) solo al comando! Come facciamo però a condurre l’ennesima opera di resistenza, se per anni anche noi cittadini democratici abbiamo contribuito a questa inesorabile erosione dell’ideale democratico, che non si riduceva alla libertà di votare il nostro carnefice ma alla possibilità di partecipare realmente alle scelte attraverso l’esercizio della delega, la partecipazione collettiva agli enti intermedi e ai partiti, la famosa connessione inesausta tra politica e società civile? Se mi guardo indietro, quelle macerie della democrazia che Meloni vuole trasformare in un deserto sono state lasciate, in buona parte, anche da noi. A sinistra oltre alle divisioni, le uniche forme di partecipazione politica che abbiamo saputo coltivare sono le urla (la burla) populiste all’insegna di un movimentismo “à la carte” da un lato; mentre d’altro venivano privilegiate le primarie e le elezioni locali, dove il potere di un Sindaco o di un Presidente di regione strizzava l’occhio all’idea che la democrazia non fosse nient’altro che la scelta di uno solo da parte di molti. Pd, una militanza da rifondare. Gli iscritti non sono il partito. Renzi e il suo ‘renzismo’, ne sono l’esempio più fulgido. Un partito diventato “votificio” altrettanto. Pensiamoci. Non parliamo d’altro che di capi, ne siamo ancora letteralmente ossessionati. Chi sono i grandi leader degli ultimi vent’anni, a sinistra? Non ne trovo uno la cui legittimazione non sia stata il tentativo di un’incoronazione carismatica. Da Renzi a Bonaccini a tutti i sindaci d’Italia. Ci siamo abituati all’idea che non ci sia altra strada per vincere le elezioni che scegliersi un vero Capo. Craxismo, Berlusconismo e Renzismo… tutte facce di un’unica moneta. Per poi fermarci lì. Forse – e sono uno che non ha mai risparmiato critiche – seppur con l’intenzione sempre di aiutare a costruire ed a unire – bisogna riconoscere alla Schlein – che la sua grande difficoltà è anche il suo grande merito: il fatto che non si accontenti dell’incoronazione delle primarie, ma cerchi di legittimare il proprio potere spostando la sostanza politica delle cose, verso i bisogni reali della gente, delle persone di carne ed ossa. Se la democrazia è il vero bersaglio della riforma Meloni, finora non l’abbiamo difesa abbastanza. Quel bisturi abbiamo fatto finta di non vederlo, e continuiamo a preoccuparci di altro. Ma proprio per questo e per non urlare ancora una volta al lupo, bisogna che chiariamo i termini del conflitto che ci attende. E per farlo non dobbiamo dimenticare quel ritardo genealogico della democrazia. Se essa è una scoperta tardiva, si fa presto a tornare a uno stato con sembianze liberali ma svuotato della sostanza democratica o in cui la democrazia sia di nuovo niente più che una tecnica del governo. Arriva un punto – e la riforma Meloni mi sembra precisamente punti a questo traguardo – in cui si toccano e si confondono tra loro democrazia illiberale e stato neoliberale. Che cos’è lo stato neoliberale? È quel progetto politico teso a ristabilire le condizioni necessarie all’accumulazione illimitata del capitale e a ripristinare il potere delle élite economiche. In nome di un Capitalismo senza regole… E non è una novità che la sua attuazione dipenda dallo svuotamento dei valori positivi della democrazia per lasciarne solo una forma minima. Tutto rimane invariato: non c’è nessun vero colpo di stato in vista. Ma il bisturi incide lo stato liberale e lo svuota con precisione di quella fastidiosa cisti democratica: quel nocciolo duro che permetteva non solo di aver garantite le libertà negative, ma anche di poter modificare in senso positivo la nostra forma di vita; di poter decidere davvero e insieme, di trasformare gli equilibri sociali, di far modo che i senza parte potessero finalmente recitare una parte. Una parte, non più semplicemente un voto. C’era un Parlamento, c’erano dei partiti. Quando la Meloni ci sfida chiedendoci se vogliamo decidere noi o lasciare che decidano i partiti, dobbiamo riuscire a dire con chiarezza che senza i partiti non potremo più essere noi a decidere. Perché il tempo e l’incertezza delle discussioni tra partiti sono il tempo concesso alla partecipazione di tutte e di tutti. Non è tempo perduto, è tempo guadagnato. Il tempo guadagnato della democrazia. L’alternativa che ci sta proponendo la Meloni non è tra noi e i partiti, ma tra uno solo e noi. Non c’è nessun vero colpo di stato all’orizzonte, solo un colpo contro la democrazia e il suo significato profondo, …ho visto il film: “io, noi Gaber”, ricordate Gaber? Bene, GIORGIO GABER CI CANTA L’ESSENZA DELLA DEMOCRAZIA DALLE ORIGINI A OGGI:

“La libertà non è star sopra un albero
Non è neanche il volo di un moscone
La libertà non è uno spazio libero
Libertà è partecipazione”.

 

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