Politica: i danni del camuffamento ideologico… la tragedia di una democrazia incapace di riconoscere i fascisti anche quando se li trova davanti…

Il principale problema della politica di oggi è non riuscire a smascherare i nemici della democrazia. Lo spettacolo increscioso che con poche eccezioni hanno offerto giornali e televisioni sulla crisi russo-ucraina nelle ultime settimane non va sottovalutato. È giusto oggi ricordare tutte le incredibili dichiarazioni di Matteo Salvini e di Luigi Di Maio, le parole e gli atti di Giuseppe Conte ai tempi del governo gialloverde (e anche giallorosso), ma se ci fermiamo qui rischiamo di scambiare l’effetto per la causa, la manifestazione superficiale della malattia per la sua origine. Il problema di fondo, che abbiamo davanti ormai da alcuni anni, è l’incapacità di tanti politici, giornalisti e intellettuali, specialmente, di riconoscere il fascismo persino quando se lo trovano davanti. O anche accanto. Intendiamoci. Non c’è nulla di strano nel fatto che fino a due giorni fa, cioè fino al giorno prima dell’invasione, con tutti i mezzi corazzati russi già schierati al confine, Marco Travaglio criticasse giornali e telegiornali colpevoli di rilanciare «l’ennesima fake news americana dell’invasione russa dell’Ucraina». Non c’è nulla di strano nel fatto che il giorno dopo il suo giornale titoli su «Draghi agli ordini di Biden», esaltando la posizione di Conte (uno squillante: «Negoziare») e ridicolizzando quella del Segretario del Partito democratico in termini che nemmeno i troll del Cremlino («Letta: sanzioni a gogo»). Putin, dunque, ha invaso anche la politica italiana, vediamo di ricordarcelo alle prossime elezioni. Infatti, la maggioranza degli eletti di questa legislatura ha chiesto e ottenuto voti per uscire dall’Euro, per demolire l’Europa e per attuare i piani geopolitici del Cremlino. I rapporti di Cinquestelle e Lega con Mosca, e con Trump, le stesse balle su Sputnik… tanto per ricordarci con chi abbiamo a che fare in un momento delicato come questo, qui in Italia, non in Russia. La maggioranza degli eletti in questa legislatura, ripeto: in questa legislatura ancora in corso, ha chiesto e ottenuto i voti degli elettori per uscire dall’Euro, per destabilizzare le istituzioni europee e per un’alleanza strategica con Vladimir Putin, signore di tutte le Russie e anche di molti partiti italiani. Alcuni di questi partiti, in particolare quello di maggioranza relativa fondato da un comico e da un teorico del superamento della democrazia parlamentare, si sono spinti fino a chiedere formalmente di uscire dalla Nato, oltre che dall’Europa, e a farsi dettare punto per punto la politica estera dal Cremlino, dopo ripetuti viaggi in Russia e annunci di visite apologetiche nella Crimea sotto assedio dei carri armati di Putin. Ad esempio il Sottosegretario Manlio Di Stefano (ormai da due governi), oltre che per i viaggi a Mosca con Alessandro Di Battista per applaudire l’invasione russa della Crimea, va ricordato anche per una tragicomica visita in Kazakistan in stile Borat, per la passione con cui si è battuto a favore dello smantellamento delle sanzioni a Putin e l’indebolimento della Nato, ma anche per lo struggimento che prova ogni volta che si avvicina a un regime dittatoriale, dalla Siria di Assad al Kazakistan di Nazarbaev, tutti grandi amici di Putin, fino a una leggendaria celebrazione dei «profondi legami di solidarietà e amicizia» che legherebbero l’Italia alla Bielorussia (paese che deve aver scambiato per chissà quale altro, come del resto aveva confuso il Libano con la Libia e poi spiegato che l’Italia non ha mai avuto un passato coloniale né ha mai bombardato una nazione straniera, da vice ideale alla Farnesina di Luigi Di Maio, il ministro degli Esteri che incontrava fascisti in giro per l’Europa e sosteneva con particolare passione quelli in gilet giallo che assaltavano i ministeri di Macron, salvo poi chiedere scusa alla «millenaria democrazia francese». Insomma, sono questi qui, utili idioti di Mosca, e senza necessariamente aprire il capitolo Di Battista per non essere costretti ad allargare l’infatuazione grillina per i dittatori anche ai regimi sudamericani. Restiamo alla Russia e agli interessi geopolitici della banda criminale del Cremlino. L’altro partito centrale di questa legislatura è la Lega di Matteo Salvini, antesignana della politica antitaliana contro l’Europa e da sempre supinamente sdraiata sulla Piazza Rossa e sui divanetti dell’Hotel Metropol di Mosca, fino al punto da aver firmato solennemente un accordo politico con Russia Unita, il partito più unico che raro di Vladimir Putin. Lasciamo perdere per un momento la produzione industriale russa di fake news e l’ingegnerizzazione della menzogna da parte degli apparati del Cremlino a favore dei due partiti populisti italiani, perché il punto centrale di questa storia è che la nascita del governo Cinquestelle-Lega è stata una specie di annessione pacifica dell’Italia al campo antioccidentale degli agenti del caos, sublimata nei grandi ricevimenti romani in onore di Putin. Senza dimenticare che erano comunque rimasti fuori dal governo, certo non per contrarietà a questi temi, i neo, ex, post-fascisti di Fratelli d’Italia. E, certo, anche i berlusconiani sodali di Putin, anche se va riconosciuto che a Pratica di Mare, ai suoi tempi, Berlusconi si era agitato per portare Putin alla Nato, non per portare la Nato a Putin. Sventati i pieni poteri al Papeete (una tragedia epocale evitata per un soffio: immaginate l’effetto di un governo sovranista e anti europeo nel pieno di una crisi pandemica da cui ci ha tirato fuori l’Europa), il Conte due si è presentato al mondo consentendo al ministro della Giustizia di Donald Trump, altro sodale del Cremlino e dei Putin Boys italiani, di interrogare i vertici dei nostri apparati di sicurezza per cercare le prove di un fantomatico complotto ucraino per delegittimare l’allora presidente americano. Naturalmente era un’invenzione del Cremlino per buttare in baraonda lo scandalo del Russiagate in America, ovvero le manovre russe per favorire l’elezione di Trump alla Casa Bianca. Se tutto ciò non bastasse. Poi c’è la questione incredibile del vaccino Sputnik, per il quale la Russia non ha mai chiesto l’autorizzazione alle agenzie del farmaco internazionali, ma su cui i leghisti e non solo loro hanno fatto campagna vendita come se fossero agenti marketing di Mosca, accompagnata dall’amplificazione di ogni tipo di dubbio sull’efficacia e dì fake news sulla pericolosità dei vaccini occidentali regolarmente approvati e somministrati… L’empia ubriachezza del nostro dibattito pubblico sulla crisi di questi giorni è insomma il risultato di diversi guai che ci portiamo dietro da tempo. Ci sono infatti i propagandisti e i disinformatori di professione che da anni affollano la nostra scena pubblica, che si presentino come analisti di relazioni internazionali o come leader politici. E ci sono anche politici e intellettuali di una certa età che sono semplicemente vittime della propria pigrizia intellettuale e dei propri riflessi condizionati, e così ieri reagivano alle foto dei tank russi mostrate dagli americani come fossero le inesistenti armi di distruzione di massa di Saddam Hussein, per la stessa ragione per cui l’anno scorso trattavano la crisi del governo Conte come fosse il colpo di stato in Cile. Tragicamente incapaci di capire, nel mondo di oggi, chi sia Allende e chi sia Pinochet, almeno finché l’entrata in scena di carri armati e bombardamenti non si è incaricata di ricordarlo a tutti noi. Come se non fosse sufficiente il fatto che a sostegno di Putin stanno tutte le principali formazioni di estrema destra del mondo, ad onta di tutte le sue citazioni di Lenin. Questa incapacità di vedere dove sia il fascismo e da dove arrivi il pericolo, per la democrazia, per l’Europa e per l’occidente, è forse il principale problema della politica di oggi. In Spagna, qualche giorno fa, el País si interrogava sul risultato di un sondaggio sulla formazione neofranchista Vox, secondo cui «gli elettori di questo partito non si collocano all’estrema destra, che è dove li colloca la maggioranza della popolazione». L’ambiguità della collocazione è parte fondamentale, credo, della forza e della strategia dei nuovi populisti. Una galassia di formazioni che lo storico Steven Forti ha proposto di definire «estrema destra 2.0», caratterizzate da un intreccio di hate speech e fake news, temi classicamente di destra come l’identitarismo e l’islamofobia, ma anche rivendibili come «di sinistra», a cominciare dall’antiglobalismo. Naturalmente, il tentativo di adattare a posizioni di estrema destra un lessico e una posa da sinistra rivoluzionaria in lotta contro il sistema non è in sé una novità. Lo stile dei post di Alessandro Di Battista (anche gli ultimi, incredibili, sulla Russia che non avrebbe avuto nessuna intenzione di invadere l’Ucraina) può apparire di sinistra solo a chi non abbia nessuna memoria dello stile e dei riferimenti di tanti neofascisti degli anni Settanta, ma anche delle correnti “rivoluzionarie” o “di sinistra” che hanno sempre attraversato il fascismo, sin dal 1919. C’è tuttavia qualcosa di più nel grande rimescolamento (e camuffamento) ideologico in corso, e nel suo insidioso intreccio con l’uso spregiudicato delle nuove tecnologie, come emerge anche dal libro di uno studioso argentino, Pablo Stefanoni: «La ribellione è diventata di destra?» (Siglo XXI). Sottotitolo: «Come l’anti-progressismo e il politicamente scorretto stanno costruendo un nuovo senso comune (e perché la sinistra dovrebbe prenderli sul serio)». Negli anni Settanta si sarebbe parlato forse del tentativo di costruire una nuova egemonia. Solo che oggi l’egemonia non passa tanto dai discorsi sulle masse, la lotta di classe e gli studi gramsciani, quanto dalla capacità di muoversi agilmente tra Instagram e Netflix, fake news e gattini, Gestapo e gazpacho. E se quest’ultima vi pare solo una battuta di cattivo gusto, evidentemente, è perché non avete sentito la parlamentare trumpiana Marjorie Taylor Greene inveire contro la «gazpacho police» di Nancy Pelosi, nel consueto tentativo di sovvertire ogni logica del discorso politico insieme con le istituzioni democratiche, confondendo la polizia politica di Hitler con la zuppa fredda della cucina spagnola (sono i repubblicani che il 6 gennaio 2021 hanno assaltato il parlamento, come tutti i fascisti di ogni tempo e luogo, non certo i democratici di Nancy Pelosi). Nella Francia che si avvia alle presidenziali con ben due candidati ascrivibili a questa nuova destra radicale – Marine Le Pen e Eric Zemmour – un altro giovane studioso, Raphaël LLorca, ha appena pubblicato un libro dal titolo significativo: «Le nuove maschere dell’estrema destra» (éditions de l’aube – Fondation Jean-Jaurès). È una chiave interessante. Llorca invita infatti a considerare la duplicità del concetto di maschera. Per afferrarlo, scrive, «non bisogna guardare solo a quel che nasconde, ma anche a quello che mostra». Di fronte all’orrore della guerra e della violenza, le tante ambigue dichiarazioni di questi giorni dovrebbero rendere questo esercizio almeno un po’ più facile. E far capire a tutti quanti che per riarticolare un discorso veramente democratico e progressista coerente, capace di smascherare tutti i nemici della democrazia, è ormai per l’Italia e per l’Europa, letteralmente, questione di vita o di morte…

E’ sempre tempo di Coaching!

Se hai domande o riflessioni da fare ti invito a lasciare un commento a questo post: sarò felice di risponderti oppure prendi appuntamento per una  sessione di coaching gratuito

 

0

Aggiungi un commento