Politica: il balletto delle liste mostra chiaramente la spaccatura fra politica e società…

Lo scontro che sta avvenendo nel Pd, sulle candidature per le prossime elezioni europee, sta rivelando qualcosa di più profondo che non riguarda solo il partito democratico. Ed è la scissione esistente tra la politica e la società, ovvero, tra partiti e base elettorale. Non c’è solo l’astensionismo a misurarla, ma anche l’incomunicabilità, la sordità reciproca che prende ormai la strada di fenomeni imprevedibili (rettori di università contestati, direttori di giornale contestati), lontani anche dal populismo vecchio stile che si accaniva soprattutto sulla casta dei politici. Lo psicodramma sulle liste per le elezioni europee del Pd è appena all’inizio. Al di là del balletto dei nomi dei candidati da lanciare e da bruciare, e della fisica e della metafisica delle posizioni dei nomi nella lista. siamo al secondo tempo del congresso, vinto tredici mesi fa da Elly Schlein, ma mai davvero concluso… Alla segretaria si rimproverano molte cose, ma soprattutto non se ne perdona una: aver vinto senza aver contratto troppi patti con il reticolo di capicorrente, presidenti di regione, sindaci, parlamentari nazionali, parlamentari europei, consiglieri regionali e comunali che ha guidato il partito nell’ultimo decennio: un partito molto carico di classe dirigente e sempre più impoverito di elettori! «Ci aggiorniamo dopo Pasqua». Menomale che c’è Pasqua, e poi Pasquetta. È stata una settimana di passione, quella in cui Gesù muore sulla croce muore …ma poi risorge. La Pasqua mette un tempo di meditazione, indispensabile al Nazareno per far posare il ‘polverone’ esploso nel momento esatto in cui si è ufficialmente aperta la partita delle liste per le europee. Sapevamo tutti che sarebbe successo. La scelta di rallentare le decisioni, di sopire e tacere le obiezioni spuntate qua e là, di puntare a battere i contrari per sfinimento, rispondere a chi chiedeva lumi «intanto i candidati corrano», era assumersi un rischio. Il rischio di fare scontenti tutti, amici e nemici, gli uni per essere tagliati fuori dalle scelte, gli altri per essere tagliati fuori dalla zona elezione. Ma era un rischio calcolato? Anche Giorgia Meloni ancora non ha ufficializzato la sua candidatura, ma i suoi vi lavorano “come se” (corresse) e la considerano capolista ovunque. Quindi la presenza della premier introduce un principio d’ordine nelle liste di Fratelli d’Italia. Da quest’altra parte le stesse poche certezze sulla candidatura di Schlein hanno prodotto un risultato di aumentare: polemiche, incertezze, entropia massima. Gli iscritti erano un anno fa quasi completamente schierati con Stefano Bonaccini, dato per sicuro vincente. Sono trascorsi 13 mesi dall’elezione della prima segretaria donna… grande novità, ma oggi ancora si fatica ad accettare le sue decisioni ed è messa sotto tiro, anche da esponenti che un anno fa l’hanno sostenuta, magari con l’obiettivo di ritagliarsi un posto al sole dopo la sconfitta… e cosa inspiegabile è che il neo-correntone delle donne, è quello che più urla, per mantenere incarichi e posizioni di rilievo dentro il partito e nelle istituzioni… Comunque ciò, è la dimostrazione che la partita candidature va oltre i vecchi schieramenti congressuali e supera anche le elezioni europee. Quei dirigenti, nel loro insieme, rappresentano l’ossatura del Pd, a Roma e nei territori, raggruppano un pezzo importante di elettorato, quello che è rimasto nonostante tutto, ma da soli non bastano, fanno parte del problema, il crollo di consensi e di ruolo politico subiti dal Pd negli ultimi dieci anni, più che essere la soluzione. Anzi, qualcuno potrebbe sostenere, più radicalmente, che sono loro il problema. Al tempo stesso, la nuova leadership di Schlein non è ancora riuscita a costruire la soluzione per riportare a votare gli elettori del Pd che sono ex-voto del Pd, che si sono sentiti respinti dal partito, e anche i mondi che verso il Pd hanno avuto grande diffidenza. Lo scontro sulle candidature, però, sta rivelando qualcosa di più profondo, che non riguarda solo il Pd, anche se in questa crisi il Pd è coinvolto in maniera particolare. La più importante delle scommesse della segreteria Schlein è la riduzione del fossato con i pezzi di società persi negli ultimi dieci anni. La reazione del vecchio gruppo dirigente, però, è scoraggiante. Le candidature degli esterni sono sottoposte a esami del sangue e prove di fuoco, come mai è avvenuto ai suoi tempi nella Dc, dove convivevano Augusto Del Noce e Pietro Scoppola, o nel Pci, che nelle sue liste presentava Giorgio Napolitano e Raniero La Valle, e soprattutto nel Pd delle origini. Nel Pd di Walter Veltroni, inseriti tra i nomi dell’Assemblea costituente e perfino della commissione valori, c’erano Paola Binetti dell’Opus Dei e l’ateo militante Pierluigi Odifreddi, oggi invece chi è stato erede e beneficiario di quella stagione fatica ad accettare perfino Marco Tarquinio che è un cattolico determinato nelle sue posizioni, ma mite, dialogante e autenticamente popolare, o Cecilia Strada. A dimostrazione che il cambiamento sollecitato per riconnettere il Pd al suo popolo, ampliando inoltre il dialogo ad altri ambiti della società, sono “…solo parole”, canta una nota canzone. Nella realtà il guppo dirigente continua a salvaguardare solo le posizioni acquisite; faticando persino a comprendere che i nomi lanciati nella contesa del prossimo 9 giugno possono essere, nella migliore delle ipotesi, solo un abbozzo, un inizio, di un processo obbligato di rinnovamento del partito. È questo dovrebbe essere valutato come un’impasse necessario alla riflessione politica, invece chi ha timori personali mette tutto in modo personalistico, anziché tutto politico. Mostrando chiaramente la profonda spaccatura esistente ormai fra politica e società… A questa scissione i partiti di destra danno una risposta verticale: sono partiti del Capo e della famiglia del capo, che al massimo può essere sostituito una volta ogni dieci anni con un regicidio, vedi i passaggi da Fini a Meloni o da Bossi a Salvini, con qualche tappa intermedia. Forza Italia, il primo partito della Seconda Prima Repubblica che stiamo ancora vivendo, fa il pieno dei portatori di voti, ma non si pone l’obiettivo di ricucire con la società, gli basta recuperare i notabili. Lo stesso prova a fare l’operazione Renzi-Della Vedova. Restano fuori il Movimento 5 Stelle, che fin dalle origini teorizza di non avere bisogno di un rapporto con la società civile, proponendosi come un pezzo di società esclusa senza altre mediazioni. Resta il Pd, il partito più travolto dalla perdita di rappresentanza. Dicevamo che il Pd, nato per unire culture diverse, tradisse la sua natura se si chiudeva in sé stesso, se si blindava nei suoi equilibri interni. Ma oggi, in tempi alquanto difficili di radicalizzazione, il rischio è più grosso. Non aprirsi come chiede gran parte del gruppo dirigente e anche degli iscritti “duri e puri” significa continuare a consegnarsi da soli non solo alla sconfitta elettorale, ma all’irrilevanza politica… Forse bisognerebbe che si capisse che oggi il punto è un altro: Schlein cerca di allargare in ogni modo l’elettorato del Pd. Però a questo punta lo schema del «panino»: donna civica, dirigente di partito, Schlein come terza in lista… non va giù praticamente a nessuno, lo schema non regge in tutte e cinque le circoscrizioni: infatti avrebbe offerto a Stefano Bonaccini di guidare la lista del Nord est, ma se salta al Nord est, perché il panino non dovrebbe saltare altrove? Schlein, si racconta chi con lei ha parlato, sarebbe pronta a rinunciare anche al suo terzo posto, “cedendolo” per esempio al Sud a Picierno. Ma per ora il tetris non torna, e la matassa si imbroglia anziché sbrogliarsi… aumentano i malumori per la sua incertezza. Mentre crescono ulteriormente altre polemiche: atlantisti contro Tarquinio, dubbi sulla candidatura di Salis. Ma soprattutto aumenta la rabbia degli uscenti. Per esempio, far circolare anzitempo il nome del cattolico e pacifista Marco Tarquinio (ex direttore Avvenire), contrario all’invio di armi in Ucraina, ha scatenato la contraerea dei filoatlantici. Lorenzo Guerini ha avvertito: «La nostra linea sull’Ucraina è stata ed è chiara. Cosa vogliamo, aprire una discussione in campagna elettorale su un punto su cui siamo uniti?». Lia Quartapelle ha aggiunto il tema dei diritti civili. C’è chi ricorda la posizione sofferta del giornalista sull’aborto. La sinistra invece lo ha difeso, da Andrea Orlando a Goffredo Bettini a Nicola Zingaretti, e a sua volta ha attaccato i riformisti che chiedono un dialogo più stretto con i cattolici e poi bocciano l’ex direttore di Avvenire e amico del presidente della Cei Matteo Zuppi. Tarquinio per il momento dice, di non aver ancora deciso: «Ci sto pensando». Se l’intenzione di Schlein è di candidarlo, lasciarlo impallinare sui giornali alla fine lo rafforzerà, o rafforzerà invece l’idea di un candidato estraneo alla lista che lo elegge? Diverso è il caso di un’altra giornalista, Lucia Annunziata, annunciata capolista nel Sud, in ticket con il sindaco di Bari Antonio Decaro. Annunziata ancora non ha pubblicamente accettato la candidatura, ma la segretaria aveva il suo ok prima di renderla pubblica. Qui i malumori si appuntano sull’incerta collocazione di Schlein in quella lista: se terza, dopo la coppia, rischia di attirare le preferenze destinate per legge alle altre donne (ai signori conviene portare la capolista o la segretaria). E su questo attacca Pina Picierno, vicepresidente del parlamento, più alta in grado a Bruxelles (dopo il commissario Paolo Gentiloni, che non si è voluto candidare): ha parlato di una discussione iniziata «in modo un po’ scomposto», «arrivata prima sui giornali e poi negli studi tv», «non siamo all’Isola dei famosi», «Il Pd si è tenuto in piedi in questi anni grazie alla forza di tutti i nostri militanti, ritengo sia giusto ascoltare quello che pensano». Arriviamo all’ultimo colpo di scena, il segreto svelato da Repubblica giovedì scorso: l’intenzione di candidare Ilaria Salis, la nostra connazionale detenuta a Budapest. La notizia è trapelata nel momento peggiore, mentre l’insegnante affrontava l’aula e riceveva il diniego degli arresti domiciliari. Su questo caso è difficile trovare chi accetta di dire la sua apertamente, la solidarietà con la famiglia Salis consiglia il silenzio. Anche da parte di quelli che ci sperano: «Al momento è un’indiscrezione giornalistica», ha detto Laura Boldrini su La7. Boldrini era a Budapest giovedì, con altri parlamentari. Tutti assicurano che la famiglia Salis, in quel giorno di rabbia e delusione, a tutto pensava tranne che alle europee del Pd. Ma far circolare la possibilità della corsa di Ilaria, senza smentire o confermare, ovvero senza mettere il peso di una scelta rivendicata, alimenta altri dubbi, altre incertezze. Venerdì 29 si è riunita la delegazione dem di Bruxelles, e l’impressione di chi ha partecipato al dibattito è che tutti quelli che non sono della corrente Schlein si sentano un po’ reietti. Nessun comunicato ufficiale, per non alimentare le polemiche: ma comunque da lì è stata trasmesso al Nazareno il no al “panino”, meglio «un mix tra candidature civiche e dirigenti di partito sia nuovi che uscenti». Ma perché c’è un punto a cui si gira intorno: il giudizio sul Pd che c’è. La segretaria vuole comporre «una squadra» che assomigli di più al suo Pd, ma senza affrontare la questione apertamente. E così da Bruxelles filtra la richiesta di «tutelare chi ha un ruolo apicale, come viene fatto dagli altri partiti in Europa» (riferimento a Picierno e Irene Tinagli, presidente della commissione economia) e di «valorizzare il lavoro svolto dagli uscenti perché una mancata difesa suonerebbe come una bocciatura». C’è stato anche chi ha espresso l’intenzione di non ricandidarsi «se in posizione troppo sfavorevole». D’altro canto, è probabile che il capodelegazione Brando Benifei sia schierato secondo nel Nord Ovest, dietro Cecilia Strada. Resta che cercare furiosamente capolista civiche (accade ancora in queste ore) sembra la certificazione che nel Pd non ci sono personalità all’altezza, anzi donne all’altezza. Per paradosso, è l’opposto di quello che fece Matteo Renzi nel 2014: cinque capolista, tutte renziane e di partito (tranne Caterina Chinnici, rieletta nel ‘19 con il Pd, ora è in Forza Italia), il Pd finì con il famoso, oggi irraggiungibile, 40 per cento. Per ora resta «tutto aperto», viene assicurato sia dal lato Nazareno che dal lato riformista. Bisogna aspettare l’uovo di Pasqua per scoprire l’ultima sorpresa di Schlein: se tratterà e riunirà tutto il partito, oppure tirerà dritta, sicura – come è, lo riferisce chi ci ha parlato in queste ore – che il “suo” Pd alle europee scavallerà il 20 per cento. E chi ha perso lo scorso congresso, riperderà…

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