Politica: il governo racconta un Paese che non c’è, lo colloca temporalmente nel passato per riscriverne la Storia… L’opposizione il Pd che fanno? Pd un partito da rifare…

La prendo un po’ alla lontana ma vedo comunque di farla breve. Ma poi, anche no! E’ sempre più necessario parlare di questo nostro Paese, che è sempre più raccontato in un modo che non corrisponde alla realtà. In estrema sintesi: c’è un Paese, o per meglio dire la sua parte migliore.  Siamo noi che esistono e hanno studiato (pensate anche i dinosauri e la loro scomparsa e poi anche le guerre puniche tra Roma e Cartagine) per poi  cercarsi un lavoro per vivere dignitosamente e metter su familia e, una volta faticosamente trovatolo, lavoriamo e ‘udite udite’ pagando le tasse! Noi, quelli che dentro le situazioni e i problemi di una condizione umana che è via via ritornata  ‘grama’ per molti di noi, ci siamo rimboccati le maniche e facendo del nostro meglio abbiamo sempre aiutato il Paese e coloro che fossero più in difficoltà. Lo facciamo discutendo… dicendo la nostra con le parole e non certo, come si suol dire, “alzando le mani”. Pretendendo di esercitare i nostri diritti oltre ai nostri doveri, comportandoci gentilmente nonostante la gentilezza sembri sempre più fuori moda e alla fine l’ascolto di quel che diciamo, si perde sormontato dalle grida di una politica di parte urlata e divisiva, che chiede solo per se più potere sì, i famosi “pieni poteri”.  Sì, noi siamo il Paese, quella parte che prova a crescere i figli che siano nostri o anche no, che prova a rispettare gli anziani, che siano i nostri genitori o anche no. Il paese siamo noi, che esistiamo nel nostro continuare a desiderare cose e persone che non hanno una sola forma, una sola cultura e continuiamo ad innamorarci delle tante eccezioni esistenti al mondo, lo facciamo continuamente… Il paese è fatto così e cresciuto così. Libero dentro una cornice costituzionale che di libertà, dopo aver provato in passato il giogo della dittatura fascista, ne ha dato e ne dà molta. La libertà di accettarci come siamo, di accogliere ed essere accolti, di dissentire, contraddire ed essere contraddetti. La libertà che viene garantita dal dissenso. Pensiamoci bene, il Paese che viene raccontato dal Governo Meloni e dai suoi sodali in realtà è un paese che non  esiste, è finto! Un paese raccontato al contrario di quel che è. Siamo un Paese dove è sempre più difficile  essere, non dico felici ma nemmeno contenti di quel che abbiamo saputo fare e senza più saper che fare. La felicità in una democrazia ha a che vedere con il senso e la possibilità di giustizia, coi diritti e i doveri, con l’immaginazione di un futuro e la prospettiva che il mondo a venire sia più vivibile e sostenibile per l’intera comunità. Invece, noi siamo sempre più infelici, scontenti. Non può esistere un paese dove sui manifesti elettorali sotto la scritta “più Italia” campeggia una famiglia sorridente formata da un uomo e una donna, un bambino e una bambina, e sotto la scritta “meno Europa” sta l’immagine di una donna incinta con la barba e i capelli lunghi. La donna, per altro, ha il viso di Cristo assorto. Se i manifesti elettorali devono comunicare i punti di un programma politico, non si capisce cosa stiano comunicando, se non un paese che non esiste. Tuttavia, quando le persone che hanno l’onore e l’onere di rappresentarci decidono di raccontare storie ‘splatters’ e persecutorie  e ritengono la paura una forma di governo più salda e comprensibile,  allora bisogna stare attenti e alzare la testa e dire a voce alta, che questi racconti non vanno tradotti in nuove leggi della Repubblica, che per risolvere i problemi esistenti basta applicare interamente quelle che ci sono, a partire dalla  Costituzione. Altrimenti costruiamo e viviamo un altro Paese dentro un altro tempo e una Storia che non c’è! La cosa è grave, perché non ce lo possiamo permettere, in quanto il tempo non è una variabile indipendente della politica e men che meno della Storia. Il tempo d’oggi ci viene imposto da una idea di politica, che senza dirlo, guarda solo all’indietro per negare la nostra Storia e la realtà del presente, oscurando ogni futuro di questo sempre meno Bel Paese. Sinceramente, qualche volta mi pare di esser io, quello: “fuori come un balcone!”. Infatti, continuo a pensare che non è possibile, che i vari casi psichiatrici che abitano la nostra politica, ormai da qualche decennio (ma anche in altre parti del Mondo) continuino a perversare sul palcoscenico, di una vita pubblica e istituzionale sempre più degradata sul piano etico e morale e peggio ancora nella totale indifferenza di molti.  Ci sono politici che si considerano ‘monarchi assoluti’ in questa società sempre più disarticolata economicamente nei mille rivoli di interessi corporativi e particolari, negando al Paese ogni possibilità all’esistenza di una società unita e solidale, che abbia l’obiettivo di lavorare per il bene comune. E pensare che tutto ciò è anche l’esatto contrario di quel Dio Patria e Famiglia che urlano le Destre nella loro propaganda elettorale. Ma purtroppo, questo contrario sembra valere spesso anche per noi che dovremmo essere Call’opposizione di tutto ciò. Una opposizione che fatica a rappresentarsi perchè divisa in più forze e movimenti. Con un Pd che non riesce a unificare se stesso e parlare una sola lingua per se e rispetto alle alleanze necessarie per costruire un’alternativa  a questo governo. Fatica a parlare di se e quindi fatica a parlare al Paese. In compenso lo fanno in tanti, direi tutti gli altri e guarda caso, sempre in modo pesantemente critico e caricaturale, con una acredine liquidatoria, che non aiuta a far comprendere cos’è e cosa rappresenta veramente questo partito nel panorama politico italiano. L’Italia è ridotta, dalla mancanza di una Politica che guardi all’intero Paese, in un votificio senza anima, nel quale ormai votano pochi, o meglio, votano sempre gli stessi e sono sempre meno. Un esempio: la vittoria alle regionali della Basilicata con il 56,6% che conferma Bardi, candidato del centrodestra, farebbe pensare ad un trionfo politico. Ricordiamoci però che ha votato solo il 49,8% dei circa 500.000 aventi diritto, cioè circa gli abitanti di un «quartiere» di Roma o Milano e allora viene da pensare quale valore politico possa avere questa affermazione dove, peraltro, la metà dei potenziali elettori ha disertato le urne?  Chiediamoci, ha ancora senso un consiglio regionale per una così esigua popolazione? Forse anche la politica, visti gli alti costi dovrebbe valutare qualche «ottimizzazione». Le elezioni per il consiglio regionale della Basilicata sono state certamente un successo per la destra (anche grazie alla forza delle liste ‘centriste’ di Calenda e Renzi). Sono state un piccolo test, che conferma il consenso di cui gode ancora la maggioranza del governo Meloni. Ma risulta difficile trarne un’indicazioni generali sulle future tornate elettorali, dalle europee a giugno figurarsi per le elezioni politiche nazionali nel 2027! Il vero problema però è lo stillicidio di chiamate alle urne e un sistema politico carico di appuntamenti che ogni volta vengono giudicati definitivi e quasi mai lo sono (vedi il successo di Pd e M5S in Sardegna). Non si capisce perché tutte queste elezioni non vengano accorpate in un’unica data per evitare una campagna elettorale permanente in cui leader e partiti sono distratti dai loro compiti fondamentali: governare il Paese o fare una buona opposizione. Viene perfino il sospetto che siccome non riescono a fare bene né l’una né l’altra cosa, preferiscano concentrarsi su comizi, apparizioni televisive e slogan. Ora siamo entrati nel vivo della campagna elettorale per il Parlamento europeo dove ognuno corre per sé e non esiste neppure il minimo vincolo di coalizione: tutti contro tutti per misurare il proprio peso e disinteressarsi completamente della posta in gioco per l’Europa. Poi ci sarà il Veneto, il voto in alcune grandi città, l’Emilia-Romagna se il suo Presidente verrà eletto al Parlamento Ue. Forse si andrà al voto anticipato anche in Liguria, visto la situazione createsi con l’arresto ai domiciliari di Giovanni Toti presidente della Regione. Insomma, il film non cambierà e ogni volta saremo impegnati a scrutare le percentuali per attribuire un valore assoluto alle scelte dei cittadini. E nei ritagli di tempo penseremo a economia, sanità, realizzazione del Pnrr e alle guerre che si stanno combattendo e vanno ampliandosi. Così continuando, aumenterà ancora l’astensionismo indebolendo (sic!) ulteriormente la nostra democrazia. Dopo di che, in questi giorni il pensiero ricorrente, o meglio il ricorrente interrogativo è il seguente:  ma nel Pd in quanti vogliono veramente ricostruire il partito ’rivoltandolo come un calzino’, perché sapete cari compagni e amici… è questa la condizione minima per salvarlo. A meno di ciò è solo una perdita di tempo. Da anni si invoca la rifondazione del Pd, adesso non è più rinviabile un discorso di verità sul c.d. ‘partito nuovo’, troppe volte invocato e anche promesso agli iscritti e agli elettori, ma di fatto mai realizzato. Se si continua a cavalcare l’idea che il partito organizzato, finanziato e partecipato serve solo a far contare di più gli eletti trascurando di fatto gl’iscritti e un reale allargamento della base elettorale del partito, riportando al voto pezzi dell’astensionismo disincantato e altri pezzi di società che non si sentono più rappresentate come il lavoro dipendente o pezzi di società ancora esclusi i giovani e le donne, ho l’impressione che la conseguenza per la Sinistra sia quella di smarrire definitivamente l’anima. Se ne parla a ogni cambio di segretario, e poi non succede nulla, fino ad oggi nessun segretario o segretaria è riuscito a farlo. Chiediamoci perché sia così difficile? È come se, del necessario cambiamento di contenuti e delle relative competenze legati al rinnovamento del gruppo dirigente, ci fosse stata una rimozione per tutti questi 17 anni di vita del Pd. Nel frattempo, si sono svuotate e chiuse molte sedi, si è pensato altresì che quelli che il partito lo volevano costruire e rinnovarlo dal basso fossero in realtà una zavorra. Così in troppe realtà lo si è lasciato nelle mani dei potenti del luogo, di chi in virtù di una carica elettiva ha concentrato ogni scelta, senza rispondere a nessuno se non a sé stesso e a una cerchia di sodali. Quanto scoperchiato recentemente dalle inchieste in Puglia, o a Torino, non è solo una storia di voti comprati e di trasformismo. Come ha detto Gianni Cuperlo è il segno di: «una rimozione etica e politica» che è venuto il momento di affrontare. Dobbiamo farlo perché il Pd oggi rischia di non esserci più… ma mai è stato così necessario che ci sia. Di fronte a questa destra e alla c.d. democrazia illiberale che avanza… di fronte all’escalation delle guerre in corso. Lavorando a tenere unito se stesso e a costruire le alleanze necessarie, per la costruzione di un’alternativa all’attuale compagine governativa… Vediamo Giuseppe Conte e i suoi 5 Stelle: «compilare pagelle sul Pd, mentre dovrebbe dire chiaramente cos’è questo loro movimento. Noi siamo, coi tanti nostri e loro limiti, nella Sinistra socialista europea contro tutte le dittature e autocrazie varie che popolano l’Europa e il Mondo… lui e i 5 Stelle dove stanno? “Decidano loro se sposare la causa giusta o restare in mezzo al guado. È sempre un errore puntare a demolire: lavoriamo insieme, il momento è grave!” Quindi ricostruire il Pd è la condizione necessaria per metterlo in sicurezza. Lo si deve per primo proprio agli iscritti, ai segretari di circolo che fanno miracoli per tenere i circoli aperti, agli elettori, che continuano a credere in questo partito. Penso che serva una nuova regola: tutti gli organismi dirigenti dovrebbero essere composti per metà da non eletti nelle istituzioni, riaprendo anche così il nostro modo di discutere a quelle parti di società che in questi anni sono rimaste ai margini o letteralmente escluse. E quindi, che fare? Prendere tutti coscienza che questo è il metodo Schlein, che ha aperto ai non iscritti e dichiarato guerra alle correnti. La segretaria ha avuto modo di dire più volte che lei: «…aveva parlato di non eletti. Perché selezionare il gruppo di testa solo in base a chi siede in Parlamento o nelle giunte regionali rappresenta un problema perché rinchiude il Pd nel perimetro delle sole istituzioni e lascia fuori la società. Quanto alle correnti non sono il problema se alimentassero idee e producessero pensiero, ammesso che ne siano capaci. Il punto è fissare delle regole che siano in grado di pesare il loro consenso reale. Altrimenti i capi di turno continueranno a rivendicare per sé un potere di nomine e candidature sulla base di accordi di vertice e rapporti di forza». Cosa proporsi allora? Entro l’autunno mettere al centro questo tema: la costruzione finalmente di un ‘nuovo’ Pd. Proponendo una legge sui partiti, su organizzazione e finanziamento, sull’attuazione dell’articolo 49 della Costituzione. E introdurre altresì, consultazioni periodiche degli iscritti, a iniziare dal capitolo della pace in un mondo sconvolto. Schlein fa bene in Puglia a chiedere a Emiliano di azzerare tutto. In questa vicenda ha usato parole nette e molto chiare. E va sostenuta nel contrasto al trasformismo, di cui tutti stiamo pagando il prezzo. Il punto è modificare l’impianto, il modo di concepire il consenso e il potere. Imbarcare pezzi della destra fingendo che siano stati illuminati sulla via di Damasco e, sponsorizzare amministratori locali dell’altra parte politica confidando nell’appoggio al governo regionale… è solo sollecitare il trasformismo e il Presidente Emiliano deve cambiare questa cultura. Intanto inizialmente ha detto: “Faccio ciò che mi dice Conte”. Ma vi pare normale? E il giorno dopo ha aggiunto: “Faccio come mi dice la segretaria del Pd”. Spero proprio che creda nella seconda. Conte ha dettato la linea al Pd, è uscito dalla giunta pugliese per “disinfestare la politica”. Il Pd è una palude che va bonificata? Non serve commentare cattiverie e sciocchezze. Detto ciò, però, all’ultimo congresso si è proposto di dar vita a comitati per l’alternativa come fu nella stagione dell’Ulivo, portare migliaia di persone a condividere le battaglie sul lavoro, sulla sanità e l’istruzione pubbliche, contro l’Autonomia di Calderoli che uccide l’unità del Paese. Dobbiamo farlo insieme ai 5 stelle, sollecitare Azione e sfidare Italia Viva, occorre lavorare su questo, e credo che sia ancora possibile. D’altronde come si può ritenere affidabile un alleato che ha come obiettivo la distruzione del Pd per guadagnare consenso? L’errore è pensare che la distruzione del potenziale alleato sia garanzia di maggiore forza per sé. Solo la costruzione di un’alternativa nel Paese ci farà vincere contro questa destra, non stiamo giocando a risiko: il governo sta mettendo a rischio la Costituzione. E se non spinge questo a lavorare insieme se qualcuno pensa di assoggettare gli altri, non ha capito la gravità del momento e la stagione della Storia in cui siamo, in Italia e in Europa. Lo scandalo barese e l’ignobile bis torinese trascina il Pd e Elly Schlein in un lago di palta, ma ancora non ci è chiaro lo sconquasso elettorale-giudiziario che produrrà sul voto europeo con il ricco contorno delle votazioni amministrative (29 grandi comuni di cui 6 capoluoghi) dei prossimi 8 e 9 giugno. Da anni si invoca la rifondazione del Pd, a ogni cambio di segretario, e poi non succede nulla. Per rifondare il Pd. Ricominciamo dal congresso dei delegati, che scelga la linea politica. Si continua a girare attorno al problema: il Pd è tale da favorire trasformismi e clientele? Bastano regole e commissari? Il campo largo si deve fare o no? Va bene la linea di politica estera? Su “Accordi e Disaccordi” sulla Nove, una settimana fa, Travaglio e Scanzi insistevano sul punto delle regole e del limite ai mandati col divieto di ingresso nel Pd per i transfughi. Ma il punto non è amministrativo o di commissari dall’alto. Il punto riguarda la natura del Pd e la linea politica. E cioè. Un partito fin qui diviso in tanti feudi, tra correnti e diverse appartenenze. Liquido e trasversale. Sempre sospeso tra capo plebiscitato e aree personali. Al vertice e in periferia. Alle ultime primarie addirittura spaccato in due. Tra voto popolare e voto di partito. Il che significa che il o la leader, non ha piena legittimazione e in virtù di uno statuto che prevede un Congresso interno e poi gazebo di voti cittadini. Per cui o c’è unanimità, oppure ne risulta una frattura, come nel caso della scelta della Schlein, che oggi resta limitata nelle sue scelte proprio da questo doppio meccanismo. E infatti le divisioni si vedono e i nodi di volta in volta non si sciolgono. Inutile e vano quindi, nel vivo degli scandali, l’appello a misure ferree dall’alto. Di interventi o risanatori miracolistici. Schlein non può contare infatti su un partito coeso e affidabile, con identità precisa e responsabilità comuni verso una forma partito con appartenenza condivisa, quanto a memoria e futuro ideale e programmatico. E pertanto vincono i divieti incrociati al vertice e alla base. E forzarli d’imperio può produrre solo strappi e ulteriori scissioni. In più, oltre alla mancanza di un gruppo dirigente frutto di una selezione congressuale, il Pd non ha momenti di verifica costanti della linea in Assemblee nazionali (l’Assemblea e elefantiaca nella sua composizione), direzioni (la direzione è anch’essa sovradimensionata), e mancano conferenze programmatiche; né vi sono congressi federali di provincia e regioni. Meno che mai è pervaso da vita di circoli o sezioni che dir si voglia. Ecco perché il Pd, resta sospeso e sempre in bilico su ogni circostanza. Privo di tenuta e coerenza. Nave con nocchiero forte o troppo debole, e in perenne gran tempesta? Che vive alla giornata e lascia la linea solo al Segretario e ai suoi fiduciari, così si finisce di cadere in trabocchetti e/o sbagli mortali – come il nome nel simbolo – quanti già pensano dentro il Pd che questo palese errore e lo stesso metodo usato, ponendolo all’ultimo minuto, dopo un accordo a due Schlein/Bonacini anche sulle liste e la loro composizione, debba servire comunque dopo le elezioni europee, non già ad aprire finalmente dopo anni di ritardo la discussione su di modello sbagliato di partito divenuto ormai non più praticabile… invece che delle sorti della Segretaria per cambiarla lasciando tutto così com’è. Se così fosse… il Pd non avrebbe più alcun domani. In conclusione… la Segretaria Elly Schlein deve poter andare avanti su una linea di reale cambiamento dopo le Europee, possa poter mutare lo statuto, con norme precise. Non più, perciò, come volle Veltroni al Lingotto, la conta di partito che seleziona i candidati, da sottoporre a primarie nei gazebo. Bensì precedere con un congresso unico riservato agli iscritti e preceduto da congressi locali che eleggono i delegati. La platea dei delegati eleggerà poi il Segretario/a e ciascun delegato in basso e in alto voterà per mozioni emendabili. Infine, si voteranno mozione e segretario. E anche per direzione e composizione della assemblea nazionale e della Direzione (rinunciando alle dimensioni pachidermiche avute in tutti questi anni, all’insegna di un pluralismo dichiarato più che praticato, a discapito di ogni possibile e reale rappresentanza politica della società italiana… i partiti devono rappresentare la parte di società che gli corrisponde idealmente e identitariamente, non tutto indefinitamente il Paese, per quello ci sono le istituzioni con i loro pesi e contrappesi come dice la carta costituzionale). Basta confusioni e atteggiamenti liquidatori della democrazia rappresentativa in nome di una falsa democrazia plebiscitaria autocratica. In seguito, nel congresso ci sarà la mozione finale approvata, con la carta dei valori di base sulla natura del partito, e poi ancora una reale vita di partito scandita da periodiche valutazioni della linea con relativi aggiustamenti. Per quel che riguarda l’identità, la domanda a cui rispondere in questa fase veramente costituente che deve ricostituire il partito democratico – anche aperta ad altri gruppi e associazioni- deve essere grosso modo la seguente: partito riformista dei ceti subalterni e del lavoro e quindi anche di cittadinanza? Oppure partito dei diritti civili progressista e interclassista? Partito di sinistra riformista alleato al centro e critico del capitalismo? Oppure partito di centrosinistra liberale inclusivo? Questi i nodi dirimenti da scogliere. Il Pd andrà rifondato a partire da una delle alternative qui proposte. Se vuole uscire dalla paralisi e aspirare ad avere un peso nazionale. Altrimenti resterà sempre un’opera incompiuta, sballottata da correnti e trasformismi. Quanto alle primarie, esse dovranno sopravvivere su singole questioni controverse, di coscienza o generali. E naturalmente resteranno per la scelta delle cariche monocratiche: premier, sindaci, presidenti di regione e anche liste eventualmente. E tuttavia senza una imbastitura corale e strutturata democraticamente, il Pd non riuscirà mai a darsi una identità precisa né una politica univoca, e rimarrà prigioniero di equivoci, trasformismi e fenomeni degenerativi. Come fin qui è stato…

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