Politica: il mondo alla deriva: cresce la paura globale per povertà e violenza. È il tempo delle passioni tristi. Ma ottimismo e pessimismo sono ancora una questione di classe…

A livello globale sono in crescita, le preoccupazioni per l’aumento della violenza testimoniata dai venti di guerra che soffiano su un possibile all’allargamento dei fronti di guerra da quelli tra Russia e Ucraina a quelli più recenti ma drammaticamente sanguinosi del riesplodere del conflitto tra Israele e Palestina. Inoltre, le cronache quotidiane ci angosciamo per il crescere dei femminicidi e del diffondersi di criminalità organizzata. Nel nostro paese l’apprensione su tutto ciò è praticamente raddoppiata. Le dinamiche dei fattori di tensione globale e quelle italiane hanno subito alcune trasformazioni nel corso dell’ultimo anno. Il tema dei morsi dell’inflazione resta, a livello globale, al primo posto delle preoccupazioni con il 38 per cento. Un dato di nuovo in crescita rispetto al periodo estivo di quest’anno (+1 per cento), ma in rallentamento rispetto al 42 per cento di un anno fa. Mentre, il quadro italiano è in controtendenza e pur segnalando un rallentamento del peso inflattivo: il dato italiano oscilla sempre intorno al 33 per cento come nell’autunno 2022. Questi sono alcuni dati che emergono dall’indagine mensile What worries the world? che realizza Ipsos global su 29 paesi, su un campione di 20.570 abitanti per paese. Al terzo posto, nella classifica mondiale dei fattori che preoccupano le persone, c’è l’aumento delle disuguaglianze e della povertà (31 per cento). A livello europeo svettano su questo tema l’Olanda (42 per cento), l’Ungheria (40 per cento), la Germania (37 per cento), seguita dall’Italia (29 per cento) e dalla Gran Bretagna (28 per cento). Spagna (27), Belgio (26) e Francia (25) chiudono questa graduatoria. Differente è il quadro relativo alla paura di perdere il lavoro. Qui a svettare sono sempre l’Italia e la Spagna (38 per cento) che si collocano al terzo posto nella classifica globale, superate solo dal Sudafrica (64 per cento) e dall’India (39 per cento). Negli altri paesi europei il dato è molto più limitato e coinvolge al massimo un sesto della popolazione, come in Belgio (16 per cento), mentre in Gran Bretagna è al 13 per cento, in Germania al 10 cento e in Francia al 9. Leggermente in crescita, a livello globale, è l’attenzione al tema della corruzione (26 per cento). Rispetto allo scorso anno si nota un aumento di due punti. I paesi europei che guidano questa graduatoria sono l’Ungheria (46 per cento) e la Polonia (30 per cento). Seguono Spagna e Belgio (rispettivamente al 20 e 19 per cento). L’Italia e la Germania, con il loro 10 per cento di preoccupazione, arrivano dopo Gran Bretagna (16 per cento) e Olanda (13 per cento) e sono superate solo da Francia e Svezia, che fanno registrare rispettivamente il 7 e il 5 per cento di preoccupazione. Crescono a livello globale le preoccupazioni per i cambiamenti climatici. Si è passati dal 16 per cento del novembre dello scorso anno al 19 di quest’anno. In cima alla classifica dei livelli di tensione per i mutamenti del clima troviamo Olanda e Italia (29 e 28 per cento), seguite dalla Germania e dalla Gran Bretagna (27 per cento), dalla Spagna (26 per cento) e dalla Francia (24 per cento). Più bassi sono i tassi di apprensione in Belgio (20 per cento), in Svezia (18 per cento) e in Polonia (17 per cento). Chiude l’Ungheria con il suo 11 per cento. In calo, in alcuni Paesi, invece, le apprensioni per la guerra e i conflitti militari. Si è scesi dal 10 per cento dello scorso anno al 7 per cento di settembre 2023. Maggiormente preoccupati per i conflitti in corso sono i tedeschi e gli svedesi (15 e 12 per cento), seguiti dagli Olandesi, Inglesi, Francesi e Italiani sono tutti con tassi del 10 per cento e i discostamenti riguardano qualche frazione di punto. Infine, la preoccupazione per il Covid. Nonostante l’imperversare delle molteplici varianti i livelli di tensione su questa malattia sono molto bassi e sono scesi globalmente dal 10 per cento dello scorso anno al 4 per cento di settembre 2023. Nel nostro paese c’è una leggera crescita, rispetto a prima dell’estate, del numero di persone che avvertono il Covid come una minaccia elevata: passano dal 12 per cento al 15. Il quadro globale mostra una società planetaria attraversata da faglie di tensione simili, con accentuazioni differenti da paese a paese. Globalmente le grandi problematiche sono: il possibile allargamento dei conflitti in corso, l’inflazione, la costante crescita delle disuguaglianze sociali e l’aumento della povertà, la crescita della violenza nella società e l’aumento del senso di insicurezza delle persone, il permanere di livelli di corruzione e di evasione, nonché la crisi del lavoro e la paura della disoccupazione. L’affresco della società globale non è quello di un capitalismo dinamico, generatore di benessere, ma quello di una società arcigna che sta consumando le proprie risorse, il proprio capitale umano e sta accentuando divisioni, violenza, paure, insicurezze e tensioni. Un capitalismo malato che premia le classi abbienti e i furbetti, spremendo sempre di più il resto della società… Tant’è che nel nostro paese vediamo che per il 51 per cento dell’Italia il paese sta andando nella direzione sbagliata. Ma il confronto tra pessimisti e ottimisti è anche e ancora una questione di classe. Solo il 21 per cento si dice ottimista per il futuro e si tratta soprattutto del ceto medio e dei ceti dirigenti… Lo sguardo sulla ripresa post vacanze estive è lambito da molteplici segni di preoccupazione e apprensione. Il paese avverte che il clima economico e quello sociale sono in una fase di costante, anche se non dirompente, deterioramento. A fine luglio, l’opinione pubblica si suddivideva tra quanti, la maggioranza, riteneva che il paese stesse andando nella direzione sbagliata (51 per cento) e quanti, invece, ritengono che il paese sia incamminato sulla via economica giusta (28 per cento). Il 54 per cento avverte una sensazione di crisi e per i prossimi mesi il 31 per cento prevede un ulteriore peggioramento e il 26 per cento un miglioramento. Complessivamente, di fronte all’inverno, il paese si suddivide in tre distinte branche. Il 21 per cento si sente ottimista e prevede una situazione di crescita. Il 36 per cento prevede una fase stagnazione e il 30 per cento si colloca sul fronte dei pessimisti e pensa che si stia aprendo un periodo di recessione. La maggioranza del paese, il 66 per cento, è avvolto in una nebulosa dalle passioni tristi, in cui si sovrappongono il caro vita e le difficoltà esistenziali conseguenti; la paura di perdere il proprio lavoro e la difficoltà a fare progetti di medio o lungo periodo; la sensazione che la coperta dell’economia familiare sia sempre più corta e la percezione di un futuro precarizzato. Il confronto tra pessimisti e ottimisti è anche una contrapposizione di classe. A fronte del 21 per cento di ottimisti rilevato nella media nazionale, nel ceto medio il dato sale al 32 per cento (nel ceto dirigente sfiora addirittura il 40 per cento), mentre i pessimisti crollano, in questo segmento sociale, al 17 per cento. Dinamica inversa nelle classi popolari. Quel 30 per cento di media di pessimisti vola in questo segmento al 48 per cento, mentre gli ottimisti si riducono al 9 per cento. Lo sguardo dell’opinione pubblica al futuro prossimo è marcato da alcune esigenze ben definite che ruotano in gran parte intorno a due macro-temi: il lavoro e il reddito per le famiglie. Per il 75 per cento degli italiani il primo problema, il più grave e urgente dell’Italia, è quello dell’occupazione e dell’economia. Segue, per il 47 per cento, il tema del welfare e, per il 26 per cento, da attenzionare sono ambiente e immigrazione. 71275847In crescita anche le preoccupazioni per la sicurezza che passano dall’8 per cento di dicembre 2022 al 19 per cento di luglio 2023. Nell’agenda economica al primo posto c’è la crescente domanda di aumento degli stipendi (49 per cento). Un dato che sale al 57 per cento nei ceti popolari, al 52 tra gli operai e al 57 tra le casalinghe… Dietro questa richiesta c’è anche la consapevolezza che molte imprese, in questi anni, hanno macinato profitti e che ai lavoratori di tutto questo sono arrivate solo le briciole. Non a caso al secondo posto, nella scala dell’agenda setting economica del paese, c’è l’esigenza di ridurre il divario tra ricchi e poveri (35,2 per cento di media e 52 per cento nei ceti popolari). A ruota segue la richiesta di introdurre il salario minimo (35,1 per cento). Il tema interessa in primo luogo la generazione Z (42), chi vive nelle periferie urbane (38), i lavoratori dipendenti (40) e i disoccupati (43). Sempre nell’ambito lavorativo si colloca il quarto tema d’agenda e riguarda la richiesta di vietare i contratti precari per dare stabilità esistenziale ai giovani e alle persone (32 per cento). Al quinto posto troviamo la richiesta di aiutare le famiglie ad affrontare lo scatto inflattivo incrementando gli sgravi fiscali per i figli (29 per cento) e al sesto posto (sempre al 29 per cento) c’è la richiesta di detassare le imprese che assumono a tempo indeterminato. Nell’agenda economica degli italiani c’è anche il sempre verde taglio della casta e dei suoi privilegi (27 per cento), nonché l’esigenza di investire sulla formazione e la conoscenza, specie per i giovani (24 per cento). Uno scenario che si presenta complesso. L’agenda del paese mostra l’esigenza di intervenire in modo deciso e non solo con dei palliativi sul fronte del lavoro (reddito, stabilità, de-precarizzazione) e dell’economia delle famiglie, nella consapevolezza che è necessario recuperare parte del divario che si è accumulato negli anni tra la minoranza dei benestanti e la maggioranza delle persone che è rimasta al palo o regredita. La necessità è quella di una reale strategia di crescita complessiva del paese, nella consapevolezza che con famiglie piegate dall’inflazione e con l’aumento delle povertà e della precarizzazione lavorativa non si fa né crescita del paese, né ripresa economica… Di fronte a tutto ciò il Governo Meloni con tutte le sue promesse elettorali… balbetta e latita complessivamente… Le elezioni europee del giugno 2024 saranno lo spartiacque o se preferite la cartina di tornasole per misurare la tenuta del consenso della Premier e dei suoi alleati… e anche se le opposizioni saranno in grado di presentarsi come una reale alternativa di governo…

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