Politica: il Pd e il congresso impossibile…

Nel cantiere del centrosinistra: “è evidente che il Movimento 5 Stelle sta portando avanti un’Opa ostile nei confronti del Pd, ma tra i dem c’è ancora chi sogna l’alleanza coi grillini”. La Sinistra è scesa in piazza per la pace e per chiedere il cessate il fuoco in Ucraina. Nel frattempo, si è lacerata ulteriormente. Cosa potrà accadere? In piazza abbiamo visto due sinistre. Una baldanzosa, che gongola perché i sondaggi la danno in ripresa. E un’altra imbronciata e rugosa per via delle forti divisioni interne. È evidente che il Movimento 5 Stelle sta portando avanti un’Opa ostile nei confronti del Pd in più c’è l’operazione che Azione e Italia Viva stanno conducendo verso Forza Italia e contro il Pd. Vedasi la candidatura della Moratti alla presidenza della regione Lombardia. Con il tentativo di imporla nel campo del centrosinistra. Il problema più grosso è evidente che a riguardo l’abbiano i dem. Che non possano sostenere la Moratti che fino all’altro ieri era la vicepresidente della Regione Lombardia e con una carriera politica di lungo corso fatta nel Centrodestra. Inoltre, i dem sono impegnati, in un lungo congresso dall’esito alquanto incerto. Un Congresso “impossibile”. Dalla facile previsione: “chiunque vinca il congresso non riuscirà a risolvere i problemi profondi che affliggono il Pd”. Bonaccini, per quanto apprezzabile per l’impostazione amministrativa che sta applicando in Emilia-Romagna, se dovesse alla fine decidere di candidarsi alla Segreteria (in realtà l’ha già fatto), è prevedibile che farà molta fatica per tenere unito tutto il partito e condurlo verso un rinnovamento sostanziale che possa portare ad un “nuovo” Pd rispetto all’esistente. Tanto più che, nonostante tutto, c’è ancora nel Pd chi riconduce il tutto alla nostalgia di una ormai impossibile alleanza con il Movimento 5 Stelle. I problemi della sconfitta del Pd alle ultime elezioni politiche sono senz’altro più complessi e sfaccettati. Tanto che ognuno di noi (iscritti, militanti, simpatizzanti della sinistra, nonché opinione pubblica più in generale) può scegliersi il  motivo che ritiene più decisivo per le sorti del Pd. L’eccessivo governismo, l’essere solo il partito delle Ztl, il partito che sé scordato delle periferie, la priorità data ai diritti civili e non più a quelli sociali, il lavoro che cambia e che non c’è, il crescere delle diseguaglianze e della povertà, le paure di un ceto medio che va sempre più impoverendosi. Credo però, che il Pd non stia affrontando la questione vera ed eclatante che sta al suo interno dal giorno successivo alle elezioni. Ma, va detto chiaramente non solo delle ultime elezioni, ma anche quelle del 2018 e prima ancora quelle del 2013. Sta succedendo, la cosa più semplice che si possa immaginare. E va da sé che se non se ne parla chiaramente si diventa di fatto complici della situazione, sì tutti quanti complici… anche la ‘famosa’ base del partito… Quello che sta succedendo si può sintetizzare così: ‘NIENTE’. Non sta succedendo di fatto niente. Ora, non è solo il Pd ad aver perso le elezioni ma sembra invece che sia così. Nei suoi confronti sia all’interno che all’esterno del Partito, c’è un accanimento e un maramaldeggiare totale, tutti lo aggrediscono da dentro e anche fuori; in più all’esterno lo prendono anche in giro come se fosse davvero il solo ad averle perse. Bisogna chiedersi il perché? Un’ipotesi: forse perché c’è un segretario uscente ma che ancora non è uscito e lo farà solo a congresso avvenuto? Enrico Letta, chiamato poco più di un anno fa a gran voce a tenere in piedi la “baracca” dopo che Zingaretti vergognandosi del suo partito, lasciava l’incarico di Segretario, dedicandosi solo alla sua confort-zone (Presidenza della regione Lazio). Letta alla fine, è rimasto prigioniero di un gruppo dirigente che “si interroga, si interroga e si interroga” di sconfitta in sconfitta, ma non si dimette mai. Ad ogni sconfitta cambia solo il Segretario. Così alla fine non c’è alcun vero rinnovamento, il tono diventa sempre più dimesso nel partito e all’esterno, sui giornali e nei media, imperversano sempre gli stessi “capi corrente”, con i loro rancori, i loro specchietti retrovisori, ciascuno con la propria copia del Principe di Machiavelli in mano, che come diceva già tempo fa Vitaliano Brancati (Pachino, 24 luglio 1907 – Torino, 25 settembre 1954) uno scrittore, sceneggiatore, drammaturgo e saggista italiano: “è il libro di tutti i perdenti.” Se, si vuole rinnovare o addirittura rifondare il Pd, si tratta di liberare il “Nazareno” da un gruppo dirigente che alla fine assieme alle elezioni nell’ultimo decennio “ha perso anche la reputazione”, come scrive Gianni Cuperlo. E personalmente condivido la schiettezza e la franchezza di questo suo dire… Il 25 settembre il Pd ha preso uno schiaffo forte, ma se andiamo indietro, la sconfitta parte dal 2011 quando Bersani, per non dispiacere a Napolitano, non pretese le elezioni che poteva vincere bene perché Berlusconi era nei guai tra spread, processi e olgettine, i 5s erano ancora nascenti. Face maggioranza con Monti. Invece, nel 2013 ha “vinto male”, nel 2018 invece il Pd ha “perso bene”, sino al disastro di oggi. Dobbiamo complimentarci mio caro Pd. Negli ultimi dieci anni il partito ha vissuto quattro scissioni e il forfait dei suoi segretari. Il problema però non è tanto il leader ma la poca chiarezza della linea politica. Assieme a una forma partito ormai superata. Il Partito Democratico si è posto come punto di riferimento del centrosinistra italiano. Poi, nei suoi 15 anni di vita, la sua centralità è andata svanendo e i segni della crisi sono diventati chiari. Ha avuto quattro segretari eletti con le primarie e nessuno di loro ha terminato il mandato. Anche Enrico Letta, eletto non alle primarie ma in assemblea, ora ha dovuto rinunciare a ricandidarsi. È un caso? Non credo. In così breve tempo il Pd ha avuto non solo le quattro dimissioni di segretari eletti plebiscitariamente con le primarie e in più la rinuncia di Letta, ma anche quattro scissioni, di cui quelle di Bersani e Renzi sono state molto pesanti e sanguinose. Ma chissà perché non sono mai state veramente analizzate e discusse nel merito e con chiarezza… Tutto questo ci dice che la radice profonda della crisi del Pd va ricercata non tanto nella persona dei suoi Segretari, fatta eccezione per Renzi, che è stato ed ancora rimane per alcuni aspetti ”il male assoluto” con in più oggi il plus di Calenda… due veri e propri opportunisti nonché “terroristi politici”. Comunque, sia andata il Pd avrebbe dovuto saperlo che non si fa politica senza far capire con nettezza quale parte della società si vuole rappresentare e come si intende farlo. E un partito di Sinistra ha sicuramente come priorità oltre il completamento del cammino dell’Europa e l’attenzione alla divisione dei poteri costituzionali (ricordiamo tuttavia la confusione generata tra Stato e Regioni dalla riforma del titolo V della Costituzione), nonché  attenzione allo stato di diritto. Ma sa bene che prima vengono, i poveri, i senza diritti, i giovani e le donne.  Quindi più sanità pubblica, giustizia e sicurezza, scuola e sviluppo economico. Non è poco. Soprattutto oggi, in tempi di governo della destra, di crisi economica, di guerra e di grandi rischi internazionali, tutto è più difficile. In quando, alla Sinistra sono richieste posizioni e collocazioni politiche e geopolitiche chiare e nette. Al dunque, occorre che la Sinistra rifletta sulla crisi del capitalismo e sul ruolo vecchio e possibilmente nuovo che l’Occidente deve avere nel XXI secolo. Il Pd è sicuramente in colpevole ritardo su tutto ciò  soprattutto rispetto alle diseguaglianze prodotte dal sistema capitalistico. C’è bisogno che la Sinistra italiana, o meglio il Pd che la rappresenta (anche se ormai non tutta) con maggior credibilità, entri nella discussione in corso a livello globale sulla crisi del capitalismo e dei suoi mali: globalizzazione nella sua peggior accezione, diseguaglianze ormai intollerabili, finanziarizzazione economica spinta all’estremo. Ci si deve chiedere se rispetto a tutto ciò il Pd rappresenta ancora la Sinistra? Io propendo per il Sì, ma soprattutto deve continuare a farlo. Anzi, per molti aspetti deve ricominciare a farlo. Deve inserirsi al più presto e a pieno titolo nel processo riformatore in corso in buona parte del mondo, dove si cercano di identificare e correggere gli eccessi del capitalismo e le sue storture. Non è ancora stato fatto e il ritardo è colpevole e anche autodistruttivo. Nel partito, il pensiero di autori come Joseph Stiglitz, Thomas Piketty, del critico della globalizzazione Dani Rodrik professore di Harvard, non sono conosciuti e non sono studiati men che meno discussi approfonditamente e interiorizzati per trasformarli in un programma politico. Quindi al Pd non serve sciogliersi né cambiare nome. Non ce né bisogno. Ma, non può di fatto stare fermo a guardare cosa succede e aspettare per vedere come andrà a finire il congresso. Per ora a giudicare dalla media degli interventi precongressuali… altro che “costituente”. Ancora non ci siamo. Proprio perché restano fuori i grandi temi dell’economia: è come se il partito, nato prima della crisi del 2008 e del semi-crack italiano del 2011, del Covid, della guerra, sia stato attraversato da tutti questi avvenimenti epocali senza scomporsi, quasi senza accorgersene. La famosa unione delle due culture (ciò che restava della DC e del PCI) ha funzionato sotto il profilo politico e dei diritti civili cosa non sicura all’inizio. Ma poi tutto si è fermato lì. Sembra che il Pd non si sia accorto che è finito il Novecento. Qualche segnale di vitalità in questa lunga stagione precongressuale si intravede? Certo che sì. Però bisogna andare a cercarlo fra le figure minori del partito, sui territori in periferia. Non nelle grandi Città, non al Nazzareno, salvo qualche rara eccezione. Gianni Cuperlo, ma anche Andrea Orlando (purtroppo due non leader) infatti, è parso non scontato il loro riflettere sul capitalismo e i suoi mali, così come invece viene considerato nel Pd, all’insegna dell’esistenza di ancora tante scorie neoliberiste. Questioni come il salario minimo, il lavoro e le tutele contrattuali. La parità di salario tra Uomini e Donne. L’orario di lavoro e quelli della Società civile, non vengono discusse, solo enunciate. E come non rimanere contrariati, lo dico senza peli sulla lingua, da Stefano Bonaccini: un dirigente che si candida di fatto a Segretario senza abbozzare un intervento di merito e di pensiero politico, per esempio in occasione dell’ultima Direzione del Partito… Anzi prende e se ne va a metà riunione! Il fatto che sia il Presidente dell’Emilia-Romagna non mi sembra un argomento sufficientemente forte per puntare a fare il Segretario del Partito… alla fine non c’è nessun ragionamento sulle idee, ma solo la conferma di un modello di partito che guarda al sindaco d’Italia… o se preferite ai sindaci di Firenze, Renzi prima e Nardella oggi, lasciamo perdere autocandidati come Paola de Michelis e Matteo Ricci, che mi vien da piangere… A proposito di Emilia-Romagna, Elly Schlein… mi Piace. Ho buttato un occhio al suo libro “La nostra parte” ne condivido le tesi sulla giustizia sociale e ambientale. Temo però, che sia troppo “schiacciata” sul solo tema dei diritti civili. I quali peraltro non sono affatto contrapposti ai temi sociali, al contrario, non andrebbero mai disgiunti. Concludo, sull’economia, mi sembra di capire che la parola chiave resti: Capitalismo e più precisamente il suo processo di ‘finanziarizzazione’, indotta dal neoliberismo, che ciò riassuma in sé tutti i mali. E’ così! Si è perso di vista l’aspetto “reale” dell’economia. Le grandi corporation trovano più conveniente investire i loro profitti in titoli derivati o altri strumenti puramente finanziari per garantirsi una rendita, anziché reinvestirli in innovazione tecnologica delle aziende, nel capitale umano, nella formazione dei dipendenti, nella loro retribuzione. E spesso non pagano nemmeno le tasse: nel 2020 Amazon ha aumentato le vendite nell’Ue del 40% ma ha azzerato il carico fiscale, anzi è andata in credito d’imposta contabilizzando una perdita sulla filiale lussemburghese. E chissà perché quando nel Partito democratico si pongono questi temi, si guardano tra loro, come fossero marziani? D’altronde quando hai avuto per Segretario: uno che ha una sua fondazione, Open, che dal 2012 al 2018 finanziava parte delle attività dell’ex segretario del Partito Democratico e che a sua volta era finanziata da un fondo finanziario d’investimenti (Matteo Renzi si gioca la carta della finanza con l’amico Serra, gestore del Fondo d’investimento Algebris quotato alla borsa di Londra). Così il Segretario aveva la possibilità di finanziare un suo “partito” dentro al partito e contemporaneamente in prospettiva costruirsi una carriera da lobbista magari per parlare del “rinascimento arabo” pagato da Mohammad bin Salman Al Sa’ud, Principe ereditario dell’Arabia Saudita. E quando il Pd, ti dice adesso anche basta, ti fai un partitino personale, dove nessuno si permette di contraddirti, un partitino che all’occorrenza usi per coalizzarti  con un altro partitino, di uno arrivato nel Pd quando c’era Zingaretti dopo aver fatto il Ministro nei governi Renzi e Gentiloni, è stato eletto nella lista Pd in Europa, per subito dopo uscire dal partito perché lui i 5stelle non li sopporta e addirittura non sopporta neppure che ci si possa parlare… e che quindi fonda a sua volta un partitino, che per andare al voto diventato nel frattempo anticipato, per la caduta del governo Draghi, senza dover raccogliere le firme necessarie a presentare la sua lista, prima fa un accordo elettorale fasullo con il Pd. Che disdice 24 ore dopo, perché oltre ai 5stelle, non sopporta Frantoiani, Bonelli e la Bonino, perché scopre all’improvviso che l’unico che sopporta e non senza qualche fatica è sé stesso e udite udite Italia Viva di Matteo Renzi (ma come? E’ una balla). Proprio così. Come può succedere qualcosa di diverso da quello che è successo? La colpa è di Letta? Ma lui ha fatto quel che il gruppo dirigente pressoché all’unanimità gli ha detto di fare da quando lo ha voluto Segretario richiamandolo dall’esilio parigino, dopo la defenestrazione (rottamazione) di Renzi… Vado a chiudere: altro grande dimenticato è il problema delle diseguaglianze. Proprio così. Il differenziale retributivo fa manager e dipendenti è aumentato vertiginosamente senza alcuna giustificazione economica. Si approfondiscono così le diseguaglianze, già accentuate dalle carenze nelle politiche pubbliche, nell’istruzione, nei servizi sanitari, nei servizi sociali a partire dell’abitazione, oltre che da un sistema fiscale ingiusto e incoerente. Tutto questo com’è possibile che il Pd non lo metta al centro di un solido programma politico con cui riconquistare milioni di elettori delusi. Così si perdono più voti fra i meno abbienti che avvertono il peso delle diseguaglianze, o nel ceto medio che accusa il Pd di scarsa cultura politica! Gli operai votano Meloni come in America hanno votato Trump perché si sentono abbandonati. Chi ha maggior consapevolezza è sfiduciato. Il Pd paga un peccato originale: è nato nel 2007, all’apice della narrazione ottimistica sulla globalizzazione neoliberale, che di lì a poco si è infranta sugli scogli delle crisi a catena. Per di più, allora era il partito che governava quasi tutto in Italia, il che lo ha reso privo di una visione “forte” su cosa dover cambiare. C’era chi lo guardava solo per interesse: non stupisce che agli occhi di molti sia diventato un partito tutto compromessi politici e spartizioni del potere. Oggi ci si chiede: quant’è lontano il Pd dal riconquistare una posizione di prima fila nel dibattito politico interno e internazionale? Moltissimo! Il Pd deve capire quello che è successo nel mondo in questi ultimi anni e da lì tornare a svolgere un ruolo chiaro per la società. Ribadendo chiaramente una visione di società che abbia una prospettiva di governo socialdemocratico. Alla domanda: che tipo di partito? Una risposta chiara: è costruire un vero partito che raccolga tutti i progressisti del nostro paese. Un partito socialdemocratico, quello che era stato soffocato dal bipartitismo imperfetto del dopoguerra e della Prima Repubblica, dalla Dc e dal Pci con il Psi. Bisognava, infatti, aspettare Craxi e la fine degli anni ’70 prima che la sudditanza ideologico-politica dei socialisti rispetto ai comunisti venisse superata. Per una di quelle svolte ironiche di cui la storia offre numerosi esempi, Mani Pulite spazzò poi via il vincitore della contesa ideologica tra Comunismo e Socialdemocrazia… E arrivò Berlusconi e il centrodestra. Quali sono i caratteri di fondo di un partito socialdemocratico? Li evidenzia bene Michele Salvati in un recente articolo su Repubblica: “Perché i Dem non devono temere la socialdemocrazia”. Scrive Salvati: “E’ l’unica visione del mondo che concilia crescita e tentativo di ridurre iniquità. Queste due esigenze non devono dare origine a partiti diversi ma convivere nello stesso partito”. Infatti la socialdemocrazia promuove l’accettazione e l’estensione dei principi di uno stato liberal-democratico, incluso quello della libertà di impresa e di mercato; ma con il gradualismo e il riformismo, derivanti dalla consapevolezza che un’economia di mercato deve vivere e prosperare senza continue crisi e con assetti sociali più egualitari e equi di quelli vecchi e nuovi oggi esistenti. Bisogna spingere continuamente in questa direzione: e per questa spinta, ci vuole un partito che se ne fa interprete senza alcun dubbio, per contemperare sia l’esigenza di tenere in vita, ed anzi stimolare, una crescita economica sostenuta quanto le circostanze del capitalismo internazionale consentano, sia l’obiettivo di migliorare continuamente le condizioni di pari opportunità — economiche, sociali, culturali — dei ceti più svantaggiati della popolazione. La crisi delle socialdemocrazie nel Mondo è dovuta all’aver abdicato in nome della globalizzazione al neoliberismo finanziario, che ha interrotto in tutto l’Occidente un processo sociale di una crescita e di una distribuzione più equa e solidale della ricchezza prodotta, permettendo così l’ampliamento delle diseguaglianze e della povertà in un quadro geopolitico che era in parte già mutato e che andava sempre più cambiando con grande velocità. In sostanza per farla semplice, il Pd (ma non solo lui) deve comprendere che oggi i cittadini (il popolo… i popoli) sono sempre meno interessati a dibattiti politologici, ma vogliono sempre più capire cosa un Partito vuole e può fare per risolvere i loro problemi di vita quotidiana: a partire dalla crisi climatica e energetica che colpisce il Mondo e accentua le diseguaglianze vecchie e nuove facendo aumentare anche l’area della povertà, anche nell’ Occidente, bloccando conferme e ampliamento dei diritti sociali e civili, che come già detto non vanno mai disgiunti. A parole i leader della sinistra ad ogni tornante ripetono di voler recuperare i ceti popolari. Occorre che il Pd comprenda che Non ha un’altra scelta. Aggredire sul serio le disuguaglianze. Difendere il lavoro. Battersi per scuola e sanità pubbliche. Immedesimarsi nei problemi di chi è alle prese col caro bollette. Essere terribilmente concreti. Ma per farlo davvero come prima cosa non deve cadere nella trappola della destra. La destra sta già tentando di mettere l’opposizione dove gli fa più comodo, dove pensa di poter avere un vantaggio elettorale. La Lega ottenne il 34 per cento dei consensi alle Europee dopo che per mesi tutta l’attenzione mediatica era stata portata su barconi e scontri con le Ong. Il Pd deve sicuramente battersi contro scelte che calpestano i diritti umani, ma non deve cadere nella trappola di chi vuole nascondere la grande questione dei problemi materiali della maggioranza degli italiani”. Attaccando le Ong la destra nasconde i problemi reali degli italiani che invece devono essere il cuore della opposizione. Serve una svolta. E bisogna sapere che il percorso congressuale costituente non ha un esito scontato. Che oggi, i ceti di riferimento del Pd non sono più quelli popolari. Il Pd è nato in un tempo espansivo della globalizzazione, ora siamo in un mondo diverso. Serve un approccio nuovo. Un partito nuovo. Che torni a difendere con forza gli interessi di una fascia maggioritaria di italiani nella fatica di ogni giorno. È il primo dovere di opposizione: “la questione sociale!”. Quindi il problema del Pd non è solo avere nuove idee è anche quello di darsi un nuovo gruppo dirigente all’altezza dei tempi…

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