Ma pensate un po’. Nel Paese in cui ci si divide tra chi in famiglia ha almeno un falso invalido e chi mente senza vergogna, nel Paese in cui gli unici a non parcheggiare in doppia fila sono quelli che non hanno la patente, nel Paese in cui i genitori fanno i compiti ai figli perché fare bella figura è più importante che insegnar loro a cavarsela da soli, in questa terra: “…di santi, poeti e navigatori“, o meglio: “popolo di poeti di artisti di eroi di santi di pensatori di scienziati di navigatori di trasmigratori” si stanno arrubando quattro miliardi di bonus edilizio. Davvero imprevedibile? No, tutt’altro! Sui bonus fiscali legati all’edilizia, le regole anti-frodi erano carenti. Lo dice chiaramente il Presidente del Consiglio Mario Draghi durante l’ultima conferenza stampa. La stima è che nel mercato della della cessione dei crediti da bonus ci siano truffe per oltre 4 miliardi di euro. «Stiamo drogando l’edilizia», ha detto il Ministro dello sviluppo economico Giancarlo Giorgetti nel fine settimana. Provocando così l’ennesima levata di scudi del Movimento Cinque Stelle… che rifiuta ogni critica alle proprie insensatezze, continuando a negare l’evidenza dei fatti che lo spingono verso un suo tramonto politico. Una cosa è certa, il populismo pur in agonia, qui da noi non morirà col tramonto dei cinque stelle. Il populismo come un virus ha infettato la nostra democrazia che si può salvare ormai solo, se alcuni “prestigiatori e fattucchieri” riconoscendone i loro limiti verranno sconfitti elettoralmente e lasceranno la politica… Dovrebbero rendersi conto o meglio dovremmo farlo noi elettori, che la storia del Movimento Cinque Stelle non ha avuto nessuna grandezza, è stata più semplicemente abnorme nella sua principale espressione antipolitica… abnorme e ridicolo l’affidamento dato al grillismo da uno su tre di noi alle elezioni politiche del ’18. E altrettanto privo di grandezza sembra esserne anche il finale. Abnorme e ridicolo in Beppe Grillo autonominatosi ‘condom’ del Movimento, lui che ne è stato contenuto e contenitore, e in fondo il condom nel suo settore è un garante, e nella sequela di dettagli di una notte al Parco dei Principi di Roma a cercare la salvezza nei commi di uno statuto già definito del Seicento, mica male per chi era arrivato promettendo le utopie galattiche di Gaia. Un giorno qualcuno dovrà affrontare l’impresa di ricostruirla questa storia, dal canotto del vaffanculo di Bologna al preservativo dell’altrieri, e bisognerà capire che di nuovo vivremo l’autobiografia di una nazione. E su quella il punto non è ancora stato messo. Grillo e il grillismo se ne vanno fra le risate dovute a un comico, alla sua opera umoristica più spettacolare, ma sarebbe da folli sperare che con lui se ne vada il populismo. Alle Politiche del ’18 la somma dei voti di Movimento, Lega e Fratelli d’Italia dava il 54,4 per cento e secondo i sondaggi i tre partiti oggi ne assommano il 51/53 per cento. Non è cambiato niente. Più della metà degli elettori continuano a essere populisti e ad affidarsi al populismo, sebbene qui il termine possa sembrare usato in modo scorretto. Il Movimento è stato pienamente populista, cioè un partito nato per il riscatto del popolo integerrimo dalle turlupinature e dalle soperchierie delle élite. La Lega e soprattutto Fratelli d’Italia hanno evidenti quote di populismo, ma non prevalenti sul sovranismo, che invece è soprattutto peronista e demagogico. Ma non c’è partito italiano oggi immune al populismo e alla demagogia: la gara del consenso si gioca lì, c’è poco da fare. Se non si è populisti e demagogici si è fuori dal gioco. Pure il Partito democratico e il suo leader Enrico Letta – probabilmente rimanendo i meno populisti sul mercato, a parte +Europa e le varie derivazioni del Partito radicale – hanno avuto cedimenti disastrosamente populisti, un esempio per tutti l’idea di estendere il diritto di voto ai sedicenni o la tassa di successione da devolvere ai diciottenni. La democrazia – lo avevano previsto in tanti, a cominciare da Alexis de Tocqueville – smette di funzionare quando diventa una gara al rilancio: i partiti promettono troppo e gli elettori pretendono troppo, in un ordine che rispecchia il dilemma dell’uovo e della gallina. La democrazia nasce infatti con una suprema, coraggiosissima dichiarazione di imperfezione umana davanti alla pretesa perfezione delle monarchie assolute, indiscutibili perché legittimate da Dio, ed è messa sotto attacco dalle dittature che fondano la loro perfezione su un atto rivoluzionario per condurre all’ordine nuovo e risolutivo. Ma quando la democrazia diventa non una fragile conquista bensì un dato di fatto, e lì che si comincia a chiederle di essere perfetta: deve trovarmi un lavoro, se non ho un lavoro deve darmi di che vivere e vivere bene, deve curarmi, deve darmi una casa, deve risolvere ogni mio problema, deve in definitiva consegnarmi la felicità che mi spetta di diritto. Se qualcuno mi dice che ci si può provare, si può migliorare, ma sarà una strada lunga e faticosa, piena di insuccessi, mi sta prendendo per il naso. Soltanto chi mi dice che non soltanto si può fare, ma si deve, e lo si farà domattina perché lo si doveva già fare ieri, e se non lo si è fatto è per inganno e turpitudine, bene, io quello lo voto. Eccola la fine della democrazia, diventata nei presupposti potente come la monarchia assoluta di stampo divino o come la rivoluzione preordinata dalla Storia. L’enormità della questione oggi è come uscirne. Come si cura l’infezione populista della democrazia? Come la si riporta alla sua dimensione di governo degli uomini per gli uomini, quindi per sua natura limitato e fallace? Non lo so. Tutto quanto mi viene da dire è suggerito dall’articolo uno della nostra Costituzione: “la sovranità appartiene al popolo“. Ma non finisce lì, come pretendono populisti e demagoghi. Continua: “che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione“. Dunque, nella rappresentanza e nella competenza. Quindi il meglio che può fare la democrazia e sbarazzarsi di questi “prestigiatori e fattucchieri” e affidarsi alle imperfezioni e ai limiti consapevoli della rappresentanza e della competenza. La rappresentanza è imperfetta e la competenza è limitata, ma di meglio è impossibile fare. E forse qui qualcosa sta succedendo. Sarebbe importante che Draghi rimanesse dopo il 2023? Magari come federatore del Centro. Scendendo definitivamente in politica. “Lo escludo!” ha detto con forza. Aggiungendo un’ironica battuta. “Eventualmente a fine legislatura se volessi continuare a lavorare …un nuovo lavoro me lo cercherò per conto mio“. Non c’è dubbio che Draghi in questa fine legislatura dovrà fare i conti come scrive Paolo Mieli oggi sul Corriere con le scarse ambizioni dei Partiti della destra e della sinistra. Per i Partiti: «Sembra che l’unica cosa che conta sia eliminare il rischio della sconfitta. Il sogno di tutti si concretizza nell’auspicio di nessun vincitore, nessun perdente». Il crollo dei partiti storici della prima Repubblica, travolti dalla crisi delle ideologie novecentesche e dal peso della corruzione, ha lasciato un deserto nella vita democratica. Tutte le forze politiche hanno vissuto sempre all’ombra del leader di turno. Il risultato è davanti ai nostri occhi. I leader vivono stagioni effimere, con ascese vertiginose e cadute altrettanto rapide. E quasi mai riescono ad assolvere a uno dei compiti fondamentali: assicurare un governo stabile ed efficace al Paese e non solo dimostrare di essere bravi nel raccogliere consenso. Una rifondazione delle forze politiche è indispensabile, diversamente questa deriva non si fermerà. Radicamento nel territorio, partecipazione e regole democratiche, selezione attenta delle classi dirigenti, finanziamenti trasparenti sono i punti essenziali. A questo punto, credo che la questione ancora più importante del che rimanga Draghi anche dopo il 2023 è che rimanga quello che sta rappresentando e facendo per sistemare le questioni in campo: dopo gli ulteriori disastri di questo ultimo decennio… prendendo noi elettori coscienza che anche il Governo Draghi e il così detto “draghismo” è stato e sarà imperfetto e limitato, ma è a tutt’oggi e forse per molto tempo ancora il massimo di quanto è nelle nostre disponibilità. O si riparte da lì in modo serio e responsabile o all’orizzonte possiamo esserne certi: è già pronto un altro Grillo che probabilmente sarà peggiore del primo…
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