Demografia, consumi e sostenibilità: siamo una società a misura d’uomo o una macchina al servizio del profitto? Gli spunti di riflessione del Prof. Brambilla, Presidente del Centro Studi e Ricerche, sulla necessità di una transizione razionale…
di Alberto Brambilla*
L’uomo, la natura e il cambiamento climatico: cosa sta succedendo e che spiegazioni ci possiamo dare?
È bene precisare da subito che non sappiamo (perché ci manca la conoscenza) quanto il cambiamento climatico dipenda da fattori naturali e quanto dall’uomo: quello che però è certo, come sostengono le Nazioni Unite e la maggioranza degli scienziati, che una parte consistente del problema dipende dall’uomo, dall’abnorme crescita demografica, dagli eccessivi e inutili consumi di massa, dalle tonnellate di anidride carbonica immesse in atmosfera, dalla distruzione dell’habitat naturale e delle biodiversità e dal consumo di 1,7 «Terre» ogni anno. Per questo, gli scienziati parlano di un nuovo periodo geologico, l’Antropocene.
Tuttavia, non sono utili né l’ecoansia né l’eccessiva superficialità. Le domande vere che tutti ci dovremmo porre invece sono: stiamo superando i limiti che il Pianeta ci concede? È possibile uno sviluppo della popolazione, della ricchezza e dei consumi infinito in un modo non infinito? Il calo demografico, descritto in termini preoccupanti come le culle vuote, l’inverno demografico, pochi figli, è un bene o un problema per le nostre società? Il mito della perenne crescita è compatibile con la preservazione della nostra casa comune, la Terra? La nostra attuale società, gli stili di vita, l’alimentazione e lo sfruttamento totale delle risorse naturali e animali, è razionale? E infine: siamo una società a misura d’uomo o una macchina dei consumi e del profitto? Vediamo cosa è successo in questi ultimi 78 anni considerato che nel 1950 la nostra aspettativa di vita era di soli 65 anni.
La crescita demografica
Nel 1804 toccavamo il primo miliardo di esseri umani. Ci sono voluti 123 anni per raggiungere i 2 miliardi nel 1927 e più o meno così eravamo nel 1945, alla fine della Seconda Guerra Mondiale (2,2 miliardi). Eravamo 3 miliardi nel 1960, 4 miliardi nel 1974, 5 miliardi nel 1987, 6 miliardi nel 1999, 7 miliardi nel 2011, 8 miliardi a novembre 2022, e oggi ancor di più. Nello stesso arco di tempo, il PIL mondiale passa da 0,27 migliaia di miliardi di dollari a 102 migliaia di miliardi. Nel maggio 2021 i laboratori del NOAA delle Hawaii hanno misurato che i livelli di anidride carbonica in atmosfera hanno toccato il record di 419,13 ppm (parti per milione), cioè il doppio dei livelli preindustriali e il valore più elevato degli ultimi 400.000 anni. La rilevazione evidenzia un aumento sempre più importante dal 1950 in poi: le emissioni di anidride carbonica dal 1927 a oggi sono cresciute di oltre 9 volte, passando da 3,9 miliardi di tonnellate immesse in atmosfera a 36,7. Come se sulla nostra testa fossero in volo ogni istante tra 722 e 902 milioni di Airbus 380. Il Sesto Rapporto dell’IPCC mostra come gli umani ad «alto rischio» a causa del cambiamento climatico siano 3,3-3,6 miliardi, principalmente situati nei Paesi in via di sviluppo (l’Africa rischia di perdere il 30% dei terreni coltivati a mais e il 50% dei terreni coltivati a legumi), con l’incognita di enormi migrazioni di massa. Rispetto ai livelli preindustriali la temperatura terrestre è aumentata di 1,1°C. Dal 1850 (anno di inizio delle misurazioni) tutti gli anni più caldi si collocano tra il 2000 e il 2022.
Dal 1970 a oggi abbiamo accumulato 4.869 giorni, ovvero 13 anni e 3 mesi, a debito. Nel 2022 l’umanità ha consumato il 74% in più delle risorse che gli ecosistemi del Pianeta sono in grado di rigenerare in un anno. ciò significa che ogni anno consumiamo 1,7 “Terre”. Eppure, che ci fosse uno stretto rapporto tra crescita demografica e clima era già stato previsto nel 1968 da alcuni scienziati, tra i quali Aurelio Peccei, fondatore del Club di Roma e autore del libro “I limiti dello sviluppo”. Gli studiosi avevano sviluppato modelli matematici previsionali per i successivi decenni rispetto ad alcuni macrofattori come: popolazione, produzione, cibo, inquinamento e risorse naturali, mostrando come «la crescita infinita in un Pianeta dalle risorse finite non è possibile».
L’impronta umana nel cambiamento climatico e quindi il passaggio dall’Olocene (periodo iniziato circa 80.000 anni fa) all’Antropocene dovrebbe essere ufficializzato dall’ICS (International Commission on Stratigraphy) nel corso del 2023. Dalla fine del secolo scorso, tuttavia, senza che la politica se ne accorgesse, il tasso di crescita della popolazione si è ridotto e continua a ridursi ma è come una macchina in folle che continua anche senza l’acceleratore a fare tanti chilometri. E, infatti, l’Università di Washington nei suoi modelli di crescita prevede che il picco della popolazione umana (lo Human Peak) verrà raggiunto nel 2064 con 9,7 miliardi per poi scendere progressivamente fino agli 8,8 miliardi nel 2100. Solo per sfamare questa enorme popolazione occorrono miliardi di animali (1,3 miliardi i soli bovini): ogni anno uccidiamo 50 miliardi di animali esclusi i pesci. Tra uomini e animali è come se sulla Terra fossimo in 33 miliardi respiranti a peso standard escludendo gli animali selvatici e quelli da compagnia. Per questo, nei prossimi anni, saremo chiamati a importanti scelte e cambiamenti: occorrerà imboccare una “terza via”, quella del capitalismo sociale e solidale, superando il binomio collettivismo-capitalismo, fondamentale per poter garantire la sopravvivenza collettiva, tanto umana quanto ambientale.
L’invito metaforico è “quando piove si apre l’ombrello”. La transizione demografica, e quindi l’invecchiamento della popolazione, sono fenomeni che ci accompagneranno almeno fino al 2045. Occorre, dunque, mettere in campo le azioni necessarie per ridurre il più possibile i rischi correlati a ciò, ripensando la società, la produzione, la distribuzione e i consumi. Nel 2045 noi italiani saremo circa 55 milioni: 4 milioni di abitanti in meno, di cui 2 milioni in età da lavoro. Le domande e le paure ricorrenti sono: ma se saremo in meno chi lavorerà? Chi ci pagherà la pensione e la sanità? Da più parti si lancia l’allarme: nascono troppo pochi bambini e le «culle sono vuote»; abbiamo l’assoluta necessità di tanti immigrati.
Sono paure e allarmi veri o i problemi ce li abbiamo già oggi, e non nel 2045? E come li stiamo affrontando? Abbiamo paura della “transizione razionale”?
*Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali
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