Politica: la forza di Meloni e di Fratelli d’Italia è la continuità ideale con il Fascismo. Se ancora non è Fascismo, già si respira un’aria pesante di autoritarismo…

Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia. Non marcia certo con gli stivaloni ma, potremmo dire che, con “scarpe vellutate” procede speditamente e cambia l’esistente tassello dopo tassello. L’antifascismo è superfluo se si esercita solo sugli aspetti più pittoreschi. Per capire di che pasta è fatta la destra non serve demonizzarla ma analizzarne i programmi. Non sorprendiamoci se la Premier ha oggi tanto consenso: ha riattivato le corde profonde, di una memoria persistente nel nostro Paese quella edulcorata del fascismo. Fratelli d’Italia, contrariamente ad Alleanza nazionale, rivendica con orgoglio il suo legame con il Msi e quindi, implicitamente, con il fascismo, essendo stato il Msi, al di là di ogni dubbio, il portabandiera della nostalgia per il passato regime. Questa è una delle ragioni del suo successo. Al di là della finestra di opportunità spalancatesi con la disastrosa strategia del Pd costretto ad andare da solo alle elezioni visto le ritrosie dei 5 Stelle. Ma la Meloni gode altresì dalla debolezza delle leadership dei due partiti alleati del centro-destra, che l’hanno portata a Palazzo Chigi, e la forza del suo partito risiede oggi, nella rivendicazione di una continuità ideale, sempre più esplicita, con il Fascismo. Una vicenda ventennale che ha impregnato di sé la storia politica nazionale, anche grazie alla rimozione e attenuazione della sua natura autoritaria-totalitaria dopo la guerra per ragioni di convenienza interna (la disponibilità di una forza di riserva da parte Dc) e internazionale (il compattamento anticomunista per cui pas d’ennemi à droite). Una riprova affascinante quanto originale della persistenza di un legame forte con il fascismo ci è offerta da uno studio condotto sulle 147 nuove città costruite durante il fascismo: “Fascistville: Mussolini’s new towns and the persistence of neo‐fascism” di Mario Carillo, pubblicato sul Journal of Economic Growth nel 2022. Questo lavoro spiega il Prof. Piero Ignazi: “dimostra con abbondanza di dati, rigorosa metodologia e raffinato apparato statistico che in quelle città, nel Dopoguerra, il voto al Msi è stato costantemente alto, in media del 20 per cento superiore rispetto alla percentuale nazionale. Non solo, l’effetto del sostegno al Msi si irradiava da quelle città, e si espandeva a macchia d’olio anche nelle zone circostanti, tanto che, fino a trenta-quaranta chilometri dalle nuove città, la percentuale al partito della fiamma rimaneva superiore alla media, e andava diminuendo tanto più ci si allontanava da quelle città”. E’ interessante osservare come questa relazione non riguarda solo gli anni Cinquanta ma rimane costante fino alla fine dell’esperienza missina, nel 1992. Il che significa, come riportato dai dati delle ricerche sul comportamento elettorale (ITANES), che si è attivata la trasmissione intergenerazionale delle fedeltà politiche. I figli rimangono ideologicamente in linea con i genitori. E non si tratta solo di una fedeltà automatica e meccanica. In realtà, gli atteggiamenti degli abitanti di quelle aree esprimono una dichiarata vicinanza e adesione al fascismo, la preferenza per un leader forte, un sentimento nazionalista, di ostilità agli immigrati e agli omosessuali. Questa brevissima sintesi di uno studio veramente rimarchevole per profondità e rigore sottolinea ancora il Prof Ignazi: “…conferma che i grandi eventi storico-politici reificati in luoghi simbolicamente pregnanti come le “Città di fondazione” del regime fascista, manifestano la loro resilienza nei decenni”. Ora, personalmente non credo che l’attuale governo abbia una strategia accuratamente delineata di erosione dei diritti, ma in non pochi suoi esponenti si manifestano spesso pulsioni autoritarie, violente. Le si può e le si deve denunciare forse senza gridare al fascismo, ma facendo riferimento alla Costituzione italiana e a quanto, come stato-membro dell’Unione europea, l’Italia si è impegnata a rispettare. Infatti, la strada dell’erosione delle democrazie liberali ha già visto alcuni zelanti precorritori. In Europa, ci hanno provato i governanti polacchi del centro-destra e, soprattutto, l’ungherese Viktor Orbán. I primi hanno lasciato qualche non indelebile traccia nella legislazione della Polonia, ma hanno perso le elezioni e non potranno proseguire. Il leader ungherese tiene alta la sua arroganza, procede a qualche ricatto in sede europea, definisce illiberale la sua “democrazia”, la puntella con repressioni, ma la sua carica è oramai diventata contendibile. Più in generale, assistiamo non a crisi della/e democrazia/e, ma a problemi, anche seri, di funzionamento che potrebbero condurre all’erosione degli assi portanti della democrazia, ma vediamo alcune risposte che ristabilirebbero il quadro democratico. Allora, piuttosto che gridare al ritorno del fascismo in Italia, grida che possono apparire segno di non apprezzabili esagerazioni polemiche, ma soprattutto di ignoranza storica, ritengo preferibile segnalare e stigmatizzare con precisione alcune brutte violazioni dei principi democratici e le loro tracimazioni sulla vita delle persone. Coloro che sono al governo, in primis la Presidente del Consiglio, se non possono essere obbligati a definirsi antifascisti, debbono rispettare la Costituzione che, oggettivamente, è antifascista. Al proposito, è imperativo esigere che il fascismo non sia mai messo sullo stesso piano dell’antifascismo. Non ci sta. Quanto all’antifascismo, è giusto celebrarlo, magari cercando di ricordarne i sacrifici e valorizzarne i meriti, attualizzandoli, e senza inutili e controproducenti esagerazioni di retorica. Sono anni, forse decenni, che l’antifascismo, nelle modalità con le quali viene fatto rivivere, è un argomento logoro che risulta indifferente alla maggioranza degli italiani. Al tempo stesso, la grande maggioranza degli italiani non sa cosa farsene delle sceneggiate fasciste, ma, evidentemente, condivide alcune, forse molte, politiche conservatrici, anche di destra dura (non necessariamente pura) e le mentalità che le sorreggono. Non credo che l’attuale governo abbia una strategia accuratamente delineata di erosione dei diritti, ma in non pochi suoi esponenti si manifestano spesso pulsioni autoritarie, violente. Le si può e le si deve denunciare senza gridare al fascismo, ma facendo riferimento alla Costituzione italiana e a quanto, come stato-membro dell’Unione europea, l’Italia si è impegnata a rispettare. Sull’attuale clima politico destrorso e sul contesto sociale non proprio favorevole alla libera competizione delle idee, non si può che intervenire puntualmente, continuativamente, pazientemente con le parole e con le opere, che significa anche senza sconti ai propri esponenti e sostenitori, in maniera assolutamente pedagogica. Le pietre debbono essere lanciate da chi è davvero senza peccato. Sulle violazioni dei diritti dei cittadini e delle cittadine bisogna essere intransigenti. Il richiamo non va fatto all’antifascismo, ma alla democrazia che il fascismo distrusse, l’antifascismo innestò nella Costituzione e i partiti hanno fatto crescere, per quanto non ancora abbastanza, nel secondo Dopoguerra, nella prima lunga fase della Repubblica. La libera espressione del pensiero e delle idee e la loro circolazione non debbono mai essere conculcate, ma neppure limitate, ad esempio, intimidendo i giornalisti. Un’opinione pubblica male informata e peggio manipolata non sarà disponibile a accettare, sorreggere e apprezzare il conflitto politico nelle modalità più ampie e più aperte possibile purché senza sopraffazione e senza violenza. I troppo zelanti censori del monologo di un importante scrittore italiano, Antonio Scurati, e gli offensivi commenti del senatore Maurizio Gasparri, già Msi, a Radio Anch’io (martedì ore 7:50), non vengono da Marte, ma interpretano i desiderata di qualcuno al governo e stanno cercando con qualche speranza di ingraziarseli. La presenza nei consultori di associazioni Pro-vita, di un feto che vita non è ancora, è stata decisa per rendere difficile e colpevolizzare la scelta delle donne che, esercitando un diritto loro riconosciuto dalla legge, intendono interrompere la gravidanza. Il controllo sul corpo e sulle scelte delle donne ha un indigeribile sapore autoritario. Respinta dal governo la critica europea a questo provvedimento, diventa ancora più comprensibile che cosa farebbe Giorgia Meloni se conquistasse voce in capitolo nella maggioranza che emergerà nel prossimo parlamento europeo. Non “tout se tient”, ma quel tanto che già vediamo non è accettabile…

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