Politica: la Schlein ha il nemico in casa. L’attacco dei c.d. “riformisti” portato principalmente dalle donne: “dalle amiche mi guardi Iddio, che dai nemici mi guardo io …”

Jobs Act, Schlein firma il referendum della Cgil e i c.d. riformisti rialzano la voce. La segretaria dem: “Non potrei fare diversamente ma altri nel partito non lo faranno”. Alfieri, area Bonaccini dice: “Guardiamo al futuro non al passato”. C’è un’intesa col governatore dell’Emilia-Romagna per evitare divisioni. Critiche da Italia viva e Azione. Renzi: “noi per il lavoro, voi per i sussidi”. Alla fine, Elly Schlein è uscita allo scoperto: «Firmerò per il referendum della Cgil». Per intenderci, la segretaria del Pd mette la sua firma in calce al referendum di Maurizio Landini contro il Jobs Act. La riforma del lavoro del Pd, voluta nel 2016 dall’allora leader dem Matteo Renzi. Un gesto inevitabile per Schlein che lasciò il partito proprio in polemica col Jobs Act. Una mossa chiaramente discussa e concordata anche con Stefano Bonaccini, col quale è salita qualche sera fa sul palco di Ferrara per spingere il candidato dem Fabio Anselmo, a riprova che di vere spaccature non ce ne sono. «La segretaria non impegna il partito a firmare. Lei agisce coerentemente con la sua storia. Altri di noi pensano si debba guardare al futuro, piuttosto che al passato». Spiega così, i termini del patto Alessandro Alfieri, braccio destro di Bonaccini nella segreteria unitaria di Schlein. Così, la leader dem tiene la barra del partito, lasciando di fatto a ognuno libertà di coscienza sul Jobs Act. E chiedendo a Bonaccini, di usare le sue capacità politiche per tenere le redini della minoranza di Energia Popolare, in fermento anche nei confronti del Presidente Pd, perché diversi dirigenti, i così autodefinitisi “riformisti”, hanno avvertito che non firmaranno il referendum Cgil… e di considerare questa raccolta di firme uno sfregio proprio nei loro confronti che il job act proposero e approvarono. Forse si scordono che la CGIL già allora era contraria, così come contrari erano molti molti iscritti del Pd. Che successivamente non rinnovarano più la tessera. Loro, se ne fregarono totalmente.   Quello di questi giorni è stato un compromesso complicato ma necessario. Era impossibile, infatti, per Schlein astenersi dai banchetti del sindacato. Impossibile perché la segretaria impostò tutta la sua campagna congressuale contro il Jobs Act. E, perché nel 2015 era in piazza con la Cgil contro la riforma. E poi anche perché il M5S non aspetta altro che superare il Pd da sinistra e il leader pentastellato Giuseppe Conte si era già mosso, recandosi per primo, il giorno dei Lavoratori, a firmare ai banchetti Cgil. Per lui del resto era facile, visto che il M5S è sempre stato contro il Jobs Act. Più complicato per il Pd, che otto anni fa approvò a maggioranza ma convintamente la riforma. Così, a costo d’essere accusata di inseguire Conte, Schlein rompe gli indugi: «Ho già detto che molti del Pd firmeranno così come altri non lo faranno. Io mi metto tra coloro che lo faranno. Non potrei far diversamente visto che è un punto qualificante della mozione con cui ho vinto le primarie l’anno scorso», ha ribadito la Segretaria alla festa dell’Unità a Vecchiazzano (Forlì), davanti ai banchetti della Cgil. Ciò non toglie, aggiunge, che «adesso il Pd è impegnato nella campagna delle Europee, sulle amministrative, e su un’altra raccolta firme per noi molto rilevante che è quella per il salario minimo». Con Bonaccini nessun problema, assicurano dal Nazareno. Tuttavia, l’area politica guidata dal governatore, non sembra sorridere contenta. Infatti, Lorenzo Guerini capo della minoranza renziana rimasta nel partito, che al congresso è confluita nell’area del Presidente Bonaccini, alcuni giorni fa aveva avvertito che se lui fosse stato al posto della Segretaria non avrebbe firmato. E subito dopo l’annuncio di Schlein, Piero De Luca, coordinatore della mozione Bonaccini, parla di un Pd che «guarda nello specchietto retrovisore». Punge anche Marianna Madia ai tempi di Renzi responsabile del Lavoro nella segreteria del Pd e poi Ministra per la semplificazione e l’amministrazione pubblica nel governo Renzi: «Il sostegno di Elly Schlein a Landini nuoce ai nostri candidati per la Ue». Ma come, le liste sono state approvate all’unanimità dalla Direzione proposte unitariamente dalla Segretaria dopo ampio e pubblica discussione? Ma Marianna Madia insiste: «Se proprio voleva fare questa forzatura poteva farlo prima di Conte. Rimango contraria e molti come me». E Simona Malpezzi altrettanto: «Non firmerò e penso sia sbagliato firmare». La leader dem si è presa la sua responsabilità e tiene la barra del partito… lasciando di fatto a ognuno libertà coscienza sul Jobs Act. Ovviamente durissime le reazioni dei Centristi, che invitano i riformisti ad abbandonare un Pd che secondo loro guarda sempre più a sinistra. «Così il Pd si appiattisce sulle battaglie ideologiche di Landini. Un gravissimo errore», scrive Carlo Calenda di Azione. Ma il primo a commentare la mossa di Schlein contro il Jobs Act è stato proprio Matteo Renzi. L’attuale leader di Italia viva sintetizza così: «La segretaria del Pd firma per abolire una legge voluta e votata dal Pd. Finalmente si fa chiarezza. Loro stanno dalla parte dei sussidi, noi dalla parte del lavoro. Amici riformisti: ma come fate a restare ancora nel Pd?». Chiaro l’invito ai componenti della sua ex maggioranza con lui ancora politicamente sodali, rimasti comunque all’interno del partito democratico dopo la sua uscita a seguirlo uscendone oggi, perpetrando così la sua scissione e continuando così a creare difficoltà al Pd e alla sua Segreteria Schlein proprio alla vigilia delle elezioni europee. Renzi ha lasciato “un nemico in casa” nel Pd, proprio con l’intento di impedirne costantemente una gestione unitaria e una possibile unità politica per guidare con altre forze della sinistra radicale come Alleanza Verdi e Sinistra italiana, nonché coi 5 Stelle l’opposizione a questo governo di destra. Col quale sempre più va ammicchiando.   Ma la Schlein sembrerebbe avere anche altri “nemici in casa” …o meglio molte nemiche. Una brutta storia quando le donne del Pd prendono di mira altre donne. E questa volta è la Segretaria Pd: “rivolta delle donne contro le liste di Schlein”. Una brutta storia quando prevalgono le correnti e appartenenze e quando l’affermazione del ruolo femminile non diventa una battaglia di contenuti trasversale e condivisa. Una brutta storia quando l’acredine politica passa sopra a quello che deve essere un indiscriminato e assoluto appoggio alle cause femminili. Perché che gli altri partiti abbiano intrapreso questa legislatura meglio del partito democratico sul fronte delle pari opportunità è innegabile. Ma al di là delle faide interne, della lotta per la leadership, la questione esiste. Che ciò che resta del Pd renziano, che aveva varato il primo governo composto per metà da donne e avviato l’era delle presidenti alla guida dei maggiori colossi pubblici cada ora proprio sulla questione di genere sembra un paradosso. Soprattutto quando a guidare il partito, oggi e per la prima volta in assoluto  è una donna. Ma soprattutto non è certo lei la responsabile degli assetti ‘disfunzionali’ esistenti nel Pd su molte questioni; sicuramente non su quella della rappresentanza femminile.  Schlein è la prima donna segretaria del Pd e da quando è arrivata ha mostrato di essere sicuramente molto interessata alla questione femminile… che è questione diversa, del potere di interdizione di alcune delle donne presenti da tempo nel partito. Infatti, con Schlein, in segreteria, la situazione vede sicuramente la presenza di più donne, sono ben 10 su 21 posti disponibili. L’accusa fatta a Elly è quella di essersi dimostrata poco inclusiva rispetto alle tante donne e alle loro “diverse anime” politiche presenti nel partito. Mettendo, per la maggior parte, donne con lei sodali con le sue posizioni politiche.  Probabilmente le “altre” donne (Madia, Malpezzi, Serracchiani, Moretti, Morani ecc.) tutte ex renziane oggi confluite in

Energia Popolare l’area di Bonaccini, pensavano fosse “stupida”!? Lasciando a chi il congresso l’ha perso la maggioranza del partito! E  poi c’è la questione Europee. La linea iniziale della segretaria di volersi candidare al terzo posto in tutte le circoscrizioni, e non come Capolista, e di volere come Capilista solo nomi civici (con una logica di ampliamento e inclusività della rappresentanza del Pd), le ha spaventate perchè chiudeva gioco forza lo spazio a tante candidate. Ma una volta che da molte e molti del partito, sono state «manifestate la perplessità sulla possibilità di avere tutte candidature civiche come capolista, magari affiancate dalla candidatura della Segretaria e/o di personalizzare polarizzando con il suo nome nel simbolo lo scontro elettorale europeo nei confronti della destra», perché secondo le lamentazioni: «questo non avrebbe valorizzatola l’intera classe dirigente Pd penalizzando soprattutto le candidature femminili, la Segretaria proprio ascoltando tutti, ha saputo trovare l’equilibrio possibile tra le varie componenti del partito (anche rispetto alle questioni di genere) e comporre le liste delle varie circoscrizioni avendo l’approvazione totale della Direzione. Anzi a ben guardare le candidature presenti nelle liste, la “Sinistra” (ve ne sono ben tre nel Pd, quelle di: Orlando, Cuperlo e Bersani) ne esce ridimensionata». Oggi la protesta delle donne è quindi causata principalmente dal risentimento personale di alcune di loro o per essere rimaste fuori dalle liste elettorali o di sapere che in futuro (elezioni politiche) per loro giungerà la fine del mandato parlamentare.  Non c’è più spazio per tutti e tutte. Ma è quanto meno ingeneroso paragonare il Pd della Schlei addirittura a realtà politiche come la Lega, che sono quanto di più lontano possa esistere oggi in Parlamento non soltanto dalla difesa dei diritti delle donne, ma anche dai principi democratici”. E’ un amaro paradosso che deve far riflettere. Che esista ancora una “questione femminile” e che la presenza di donne continui a essere oggetto di contrattazione è sicuramente vero! Ma che questa assuma dentro una situazione di difficoltà generale nella rappresentanza politica,  diventandone  la priorità assoluta da porre al dibattito nel Pd,  è francamente assurdo. Di fronte alle gravi questioni che attanagliano la condizione umana di milioni di cittadini e  l’intero Paese sul piano della difesa e della tenuta della nostra democrazia parlammentare, attraverso la difesa strenua e l’applicazione della Costituzione. Ciò e sicuramente strumentale ed eccessivo… le donne del Pd così facendo sono le prime ad espimersi secondo un modello di gestione del potere tipicamente di tipo “patriarcale” dimostrando di voler continuare uno sport molto in voga nel Pd… “il tiro al piccione” sul Segretario che è oggi una Segretaria…

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