Il colloquio tra la premier e il Capo dello Stato è durato due ore, sintomo che più di qualcosa va chiarito. D’altronde il Governo prende uno scivolone dopo l’altro e sul Pnrr il ministro Raffaele Fitto ha riconosciuto di non sapere esattamente dove mettere le mani… Ci hanno tenuto a specificare che il pranzo al Colle era programmato (e che non era nemmeno il primo); che tra il Colle e Palazzo Chigi funziona un “telefono rosso” pressoché giornaliero, tutto all’insegna dei buoni rapporti (anzi degl’ottimi rapporti personali tra Mattarella e Meloni) …si va beh, ma chi può giurarlo? Lei infatti ha improvvisamente annullato la visita a Udine per la campagna elettorale «per il protrarsi» del pranzo. Comunque sia, se il capo dello Stato ti tiene a conversare per due ore è chiaro che qualcosa d’importante va chiarito: non appare esattamente come una passeggiata, per la premier. La materia d’altronde non manca, e i due al di la delle ultime notizie stampa di condivisione all’incontro, non sembra abbiano avuto una consuetudine particolare così come oggi viene indicata. Dunque, i dossier si erano accumulati e con essi le incomprensioni (forse anche su Cutro, quando Meloni non fu entusiasta della visita solitaria di Sergio Mattarella mentre lei partiva per New Dehli). Poi le preoccupazioni per le traversie sul Pnrr hanno in un certo senso obbligato il Capo dello Stato, sempre vigile su questioni che s’intrecciano con la politica europea, a chiedere lumi alla presidente del Consiglio. Palazzo Chigi dice che è andato tutto benissimo, il Colle non ha commentato. Di certo, il pranzo di venerdì inevitabilmente suggerisce che il momento politico è molto particolare, difficile, con il governo in affanno su immigrazione e Pnrr e la squadra di Fratelli d’Italia che ogni giorno ne inventa una a costo di spaccare il Parlamento e il Paese, come è successo con il nuovo caso La Russa (non è improbabile, anche se non ci sono conferme, che Mattarella abbia esercitato una moral suasion su Meloni affinché cessino queste folli polemiche sull’antifascismo, a poche settimane dal 25 aprile). Si leggano quotidianamente titoli sulle inqualificabili dichiarazioni di esponenti di FdI. Qualche esempio: In primis, la Premier sulle Fosse Ardiatine”: “335 innocenti massacrati solo perché italiani”. È polemica. Le opposizioni: “Uccisi perché antifascisti”. Poi Ignazio La Russa, intervistato da Pietro Senaldi direttore di Libero, l’ha fatta grossa un’altra volta davvero denigrando “Via Rasella docet. Ai titoli seguono altrettanti ‘occhielli’ giornalistici, tutti tesi a sminuirne l’entità politica e la virulenza ideologica: “…a La Russa & Co. non bisogna replicare”. “Loro ci tendono una trappola. La trappola delle mezze verità”. “La Russa, Rampelli e la questione fascista. Non c’è una raffinata strategia politica, è solo istinto identitario”. Ma vi pare veramente possibile continuare così? Come si può non dire che Ignazio La Russa, intervistato da Pietro Senaldi direttore di Libero, l’ha fatta grossa un’altra volta davvero denigrando l’azione partigiana di via Rasella e possiamo solo immaginare cosa sia passato per la mente di Sergio Mattarella nel vedere il presidente del Senato (carica ormai messa in discussione anche da mezza assemblea di palazzo Madama, che potrebbe uscire dall’aula quando vi facesse ingresso il “presidente”: è un proposta che nella chat dei senatori del Partito democratico è tornata molte volte) giudicare come vigliacca l’azione dei gappisti romani che attaccarono «una banda musicale di pensionati». Qui siamo oltre il revisionismo storico. Siamo all’uso distorsivo dei fatti, per perpetrare l’apologia del ventennio e sminuire la resistenza che sconfisse il nazifascismo con gli alleati sbarcati in Europa e in Italia. Le parole di La Russa su Via Rasella non sono un caso. La tattica è consolidata: aprire ogni volta una crepa nel senso comune per delegittimare l’antifascismo come valore fondante del Paese. A nulla servono le tardive scuse. Il problema è che Ignazio La Russa è una specie di super presidente di Fratelli d’Italia, il suo legame col partito non si è mai nemmeno formalmente allentato, anzi, Ignazio si picca di essere un gran consigliere di Giorgia. È difficile non pensare che le uscite su via Rasella prima di Meloni, poi supportate da Fabio Rampelli e soprattutto dello stesso La Russa (come non bastassero, c’è stato anche un pregevole «ma che ci frega del fascismo» di Italo Bocchino, redivivo manganellatore televisivo) siano meri incidenti né tantomeno discussioni storiche ma configurino una velleità revisionista che ben si sposa con gli attacchi ai diritti civili, con il mito rimasticato dell’“italianità” e con l’autoreferenzialità che esclude ogni confronto (la passerella di Meloni al congresso della Cgil è stata appunto una passerella, offerta da Landini a titolo gratuito e forse lo stesso Segretario CIGL si è reso conto non è stata una buona idea), il tutto nel quadro del tentativo scoperto di Fratelli d’Italia di prendersi la Rai e il Paese ben oltre i ruoli istituzionali garantiti dalla Costituzione. Se questo è il contesto generale, la conseguenza non può che essere quella di un baratro sempre più ampio tra la destra al governo e le opposizioni. La cosa non è certo il massimo per un Paese già parecchio diviso, ma ormai ci sono pochi dubbi sul fatto che la responsabilità della ulteriore spaccatura del Paese vada ascritta al partito della Premier, tanto è vero che una Meloni in evidente difficoltà su una cosa enorme come l’attuazione del Pnrr, tutto dice tranne l’unica cosa che andrebbe detta: siamo in una situazione molto seria, apriamo un confronto in Parlamento, creiamo un clima costruttivo tra maggioranza e opposizione. Macché. A Palazzo Chigi si giudica la richiesta di un dibattito parlamentare avanzata dal Partito democratico come «una follia», come se i problemi squadernati dalla Corte dei conti sulle difficoltà, e anche gli errori, che l’attuazione del Pnrr incontra, siano polemiche giornalistiche e non tali, invece, da configurare un’emergenza nazionale che sta tutta sulle spalle del governo. Credo che di questo il Presidente della Repubblica sia veramente preoccupato, insieme al fatto che il comportamento seguito da Meloni in Europa non è esattamente quello che sembra essere il più idoneo a trovare le alleanze giuste, tanto che l’Italia esce ogni volta da Bruxelles o ignorata o battuta, e gli stessi ultimi attacchi a Mario Draghi al Quirinale non devono essere piaciuti, essendo l’ex premier l’unico che in Europa riusciva ad essere ascoltato. Stando così le cose, che cosa dovrebbe fare Elly Schlein e il Pd, se non protestare praticamente su tutto, dai diritti negati alle nuove regole sugli appalti, dalle non-politiche sull’immigrazione al revisionismo sul fascismo appunto alla cattiva gestione del Pnrr? Anche il Terzo Polo (sempre più politicamente indefinibile e a questo punto lui veramente privo di ogni precisa identità) dovrebbe un po’ rifare i conti e prendere atto che con questa destra meloniana, c’è poco da discutere e trattare. Poi è ovvio che quando il governo ne imbrocca una gli va riconosciuto: ma questo, come ben vediamo, non sta accadendo proprio su nulla. E dunque forse anche al Terzo Polo occorrerebbe giocare di più “da questa parte”, quella del centro-sinistra o come lo si vuole chiamare, superando un’equidistanza che ormai loro per primi fanno fatica a spiegare. Spuntano anche a sorpresa le avances di Giuseppe Conte. Il più estremista, il più demagogo, il più agitato degli oppositori all’attuale Governo, che alla fine ha offerto sul Pnrr una «mano tesa» allo stesso. Lo fa probabilmente per tre ragioni. La prima è che per il capo del Movimento 5 stelle il Pnrr è un nervo scoperto per la ragione che ha detto con semplicità Carlo Bonomi Presidente di Confindustria rievocando il grottesco incontro di Villa Pamphili (gli Stati generali) organizzato dall’allora avvocato-premier: «Noi immaginavamo un Piano che si concentrasse a rafforzare il potenziale di crescita del Paese. Ci siamo invece trovati di fronte a una serie di interventi a pioggia», per cui oggi Conte fa il paladino di questa «occasione da non sprecare». Ridicolo. Poi c’è il fatto che lo stratega del populismo nostrano vuole continuare a differenziarsi dal Partito democratico su tutto e quindi anche su questo: mentre Schlein non parla con il governo …ecco che lui gli offre la mano. Terzo, forse c’è sotto una specie di inciucio tra il nuovo Robespierre, l’Incorruttibile di Volturara Appula, e la stessa Meloni: qualcosa in questo senso si muove in Rai, (Vigilanza Rai: la Senatrice Barbara Floridia del M5s, va verso la presidenza, mentre il Terzo Polo spinge ancora per la Boschi) chissà se nella poderosa partita delle nomine previste per le prossime settimane qualcosina non arrivi anche all’avvocato degli italiani. Ce n’è sicuramente abbastanza perché Sergio Mattarella osservi questo panorama alquanto dissestato con più di qualche legittima preoccupazione, per noi tutti…
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