In dieci anni il partito della Meloni è riuscito a conquistare il potere. Ma si è portato dietro tutti i suoi limiti: una classe dirigente immatura, l’obbligato ripescaggio di vecchi ministri figli dell’era berlusconiana, una gestione familistica del partito e del suo potere, ma soprattutto i rigurgiti di una Destra reazionari e di lotta con figure dal passato ingombrante e in ruoli politici rilevanti. Tutto iniziò con il governo Monti. L’esecutivo tecnocratico del professore della Bocconi, con un forte mandato europeo per riformare il paese obtorto collo nelle more della crisi economica, tramontava definitivamente il bipolarismo dell’era berlusconiana e si inaugurava una nuova fase politica. Questo è il punto di rottura fondamentale della recente storia politica italiana: la depressione economica, la delegittimazione dei partiti politici, la sensazione di fallimento e commissariamento del paese aprono lo spazio per l’ascesa di nuove forze politiche. Sono rari i momenti della storia in cui la circolazione delle élite politiche procede spedita come dopo la crisi italiana del debito sovrano. Questo ricircolo si è espresso su due fronti in termini democratici: populismo antipolitico (Movimento 5 stelle) e nazionalismo (Lega, Fratelli d’Italia). Il sistema politico è stato attraversato da due principali fratture: la palingenesi politica, nuovo contro vecchio, e l’Europa, europeisti contro euroscettici. Tensioni che hanno determinato una polarizzazione del consenso, e il suo travaso ai nuovi partiti populisti e sovranisti, con pregiudizio dell’autonoma capacità di governo dei partiti centristi ed europeisti. In questo contesto va inserita l’ascesa di Giorgia Meloni e del suo partito Fratelli d’Italia, fondato nel settembre 2012 poco prima della fine del governo Monti. La strategia di Meloni è stata fin da subito semplice ma rigorosa, fatta di coerenza, durezza e attesa. Sempre all’opposizione senza siglare, al contrario di Lega e Forza Italia, alcun compromesso né con il Movimento 5 stelle né con il Pd e scommettendo che un sistema politico indebolito avrebbe prima o poi presentato l’occasione di andare al governo con la coalizione di centrodestra. Negli ultimi due anni, con la crescita dei sondaggi e della prospettiva di governo, Meloni ha cercato di emanciparsi, al momento non riuscendoci, dall’accusa di aver un partito avvezzo a coltivare simpatie nostalgiche nei suoi interna corporis e che mostrava un approccio sovranista duro e puro. Questa strategia di “smarcamento” è dimostrata sia dal tentativo di recuperare il termine “conservatore” per fornire una nuova legittimazione al partito sia l’opposizione soft al governo di Mario Draghi con tanto di voto favorevole all’invio di armi all’Ucraina. È come se Fratelli d’Italia avesse cercato di dire all’esterno: siamo filoatlantici e accettiamo le istituzioni europee, ma senza cedere alla diluizione dell’identità e della sovranità nazionale. Su questo tentativo di camminare sul filo tra ragion politica e anti-establishment, tra pragmatismo ed euroscetticismo, si è giocato il ruolo di governo di Fratelli d’Italia sia in termini di legittimazione all’estero sia in termini programmatici. La Meloni di governo è pertanto un Giano bifronte: da un lato la destra si è “europeizzata” con una legge di bilancio prudente, la prosecuzione del Pnrr senza strappi con la commissione, una politica estera filoamericana, politiche migratorie permissive e lontane dal promesso blocco navale. Dall’altro, però, continua il sostegno ostentato e rivendicato dalla presidente del Consiglio a partiti come Vox, PiS, Fidesz, e sparate politiche, soprattutto a mezzo dei ministri, di marca protezionista, corporativa, identitaria. C’è chi può vederci una cinica strategia per raccordare vincolo esterno e consenso interno, e in parte è certamente così, ma ad essa si sovrappone anche un retaggio del passato che non si è sciolto col successo repentino. Dopo quasi un decennio passato da Fratelli d’Italia come piccolo partito di opposizione si è incuneata l’idea in quel partito che i compagni di lotta di quando si contava poco non possano essere abbandonati mai. Aver fatto insieme la trincea del postfascismo, del sovranismo e dell’euroscetticismo insieme, lontani dai fasti del potere, ha saldato un vincolo politico difficile da spezzare. Di qui i limiti maggiori di Fratelli d’Italia: classe dirigente immatura, ripescaggio di vecchi ministri figli dell’era berlusconiana, gestione familistica del partito e del potere, rigurgiti da destra di lotta e figure dal passato ingombrante in ruoli politici rilevanti. Insomma, questo decennio ci mostra una strategia elettorale vincente, una capacità adattiva elevata di Giorgia Meloni ai nuovi contesti, l’accettazione dei vincoli esterni fondamentali della finanza europea e dell’alleanza atlantica. E questi sono i punti positivi. Ma al contempo c’è l’altro lato della medaglia, quella della destra sociale e di lotta mai superata, della politica economica corporativa, dei simboli e dei gesti nostalgici, di un movimento dai caratteri personali e famigliari tutto conchiuso in se stesso. Questi sono i lati negativi per il paese e soprattutto sono i rischi maggiori per la stessa Meloni…
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