Politica: oltre Mattarella e Draghi purtroppo non c’è niente. Analisi del deserto politico italiano…

Dunque, alla fine nessun ‘Draghi-2’, ma qualcosa che nella sostanza gli assomiglia un po’: un “nuovo inizio” del governo in carica dopo le settimane convulse in cui ci si era bloccati in attesa che si concludesse la corsa disordinata verso il Quirinale. In quei giorni si è avvertito un bisogno di stabilità che è alla base del secondo mandato affidato a Mattarella e al permanere di Draghi a Palazzo Chigi. Un sistema dei Partiti debole e sfilacciato ha trovato questa via d’uscita – tutt’altro che imprevedibile – per cavarsi d’impaccio e garantirsi, almeno sulla carta, un anno di relativa tranquillità prima del voto nel 2023. Tuttavia, la stabilità, è noto, non è una conquista definitiva: in un certo senso, va riconquistata ogni giorno. C’è infatti, il timore, con le fratture che si sono create in seno ai due poli di centrodestra e centrosinistra che questa miscela possa essere un serio ostacolo ad una compiuta azione di governo e all’attuazione operativa del Pnrr e alla continuazione con la dovuta appropriatezza e fermezza della campagna vaccinale. Come dire che la tenuta del governo dipende dalla sua capacità di riprendere con passo spedito un percorso virtuoso. Sotto tale aspetto la migliore garanzia, anzi l’unica, è proprio la permanenza a Palazzo Chigi di Mario Draghi. Con lo spread che si avvicina ai 200 punti, la prospettiva di un rialzo dei tassi, il Pnrr da non sprecare e un Patto di Stabilità da rivedere, senza che peraltro siano chiari i termini, nessuno come l’attuale Premier è in grado di rivolgersi alle forze politiche della maggioranza con un linguaggio di verità e di parlare all’Europa in difesa degli interessi italiani. Venuti meno il grande gioco quirinalizio e in fase di stemperamento l’angoscia da Covid, un sistema di partiti terremotato è tornato a una banale autoreferenzialità. E non è detto che il Premier basti… Ci voleva Mattarella, a mo di toppa all’ultimo momento per sollecitare il Parlamento a non equiparare le coltivazioni biologiche alla discussa biodinamica, quella, per intenderci, del letame inserito nel corno di una vacca che abbia partorito almeno una volta, prima tenuto sottoterra, poi dinamizzato con l’acqua. A far cioè recepire la scienza, con i suoi appelli a “non promuovere il pensiero magico in legge dello Stato”, che già in tempi normali è clamoroso, in tempi di pandemia segnati dal “ci faremo guidare dalla scienza”, sembra un momento di carnevale parlamentare. E ci vorrà un miracolo con i Partiti conciati come sono per arrivare a una legge seria sul “fine vita”, la cui discussione sarebbe dovuta iniziare oggi, con il voto dei primi emendamenti ma il problema è l’approvazione e sono già passati tre anni dalla sentenza della Corte sul caso Cappato, che doveva essere recepita entro un anno. Sepolta, col ddl Zan, la discussione sull’omofobia (ricordate un testo condiviso si sarebbe potuto riproporre dopo sei mesi?). E chissà se, di qui a maggio quando scade il termine, si arriverà a approvare l’ergastolo ostativo. Così, giusto per fare qualche esempio sull’agenda dell’Aula. Che sul Recovery, ovvero il piano di una ricostruzione quasi post-bellica, si è limitata a spingere i bottoni lasciando fuori le grandi questioni, dall’energia all’ambiente, in attesa della prossima denuncia di Greta. Nell’inverno del nostro scontento …prendendo spunto da “The Winter of Our Discontent” noto romanzo dello scrittore statunitense John Steinbeck (il titolo del romanzo fa riferimento al celebre primo verso del dramma shakespeariano Riccardo III: “Ormai l’inverno del nostro scontento / s’è fatto estate sfolgorante ai raggi di questo sole di York) non è questione di ritardi del Parlamento, di cui si è appena lodata l’infinita saggezza con la rielezione del capo dello Stato, ma di un deserto chiamato politica, attorno agli unici due punti di tenuta del sistema, il Capo dello Stato, appunto, e il Primo Ministro Mario Draghi, che del collasso politico è stato l’effetto, ma le cui cause sono ancora tutte lì, squadernate, tra la settimana pazza sul Quirinale e la riemergente cacofonia oltre la pandemia. In un clima di liberazione psicologica dalla cappa emergenziale, dopo mesi di discussione, fino al parossismo, tra sì vax, no vax, boh vax, si scopre un paese nudo e solo, sotto il vestito del vaccino che pure l’ha tenuto assieme o meglio della paura, vero collante collettivo più della politica. Venuti meno il Great game Quirinalizio e l’angoscia da Covid, ognuno è tornato al naturale, alla banalità di un quotidiano che si nutre di autoreferenzialità, in un sistema politico – in attesa del prossimo dato sull’astensione – che non rappresenta più il paese, perché non si colloca all’altezza della sfida. È terremotata la destra, che si sollazza tra un “non vaccinerò mia figlia” dell’una, seguita dal “non vaccinerò i miei figli” dell’altro, con tanto di dati bislacchi sui numeri dei colpi di fulmine che farebbero più vittime del Covid. È terremotato il centro, tra il rinvio a giudizio di Renzi su Open e i piccoli cabotaggi di “generalini” senza esercito alla ricerca di un’alleanza estemporanea per raccattare un collegio sicuro. È terremotato quel che resta dei Cinque stelle, sommersi dalle carte bollate su un non statuto che ha travolto un non leader bocciato anche in tribunale, dopo aver perso la causa politica. Ed è terremotato pure l’orizzonte strategico del Pd, il partito più pensoso che, nel riproporre l’Ulivo di trent’anni fa, non ha capito a chi ha dato la generosa patente di progressismo. E non può fare altro che “non fare nomi”, tattica che ha funzionato per rieleggere il presidente della Repubblica, ma assai più complicata per parlare a un paese da ricostruire. È il contrappasso immediato di una politica costretta ad aggrapparsi a Mattarella, per ragioni che il minuto successivo rende più evidenti del minuto prima. Ma se l’unica cosa che c’è è, appunto, è la delega, a Draghi e Mattarella, la sua solidità non è data per sempre, in un tornante nazionale e internazionale segnato da quell’urgenza della realtà segnalata dal rincaro delle materie prime e dall’inflazione in cui la Bce non esclude l’aumento dei tassi di interesse, stretta impegnativa per un paese ad alto debito, impegnato nella fase più delicata del Recovery. Proprio l’ultimo report di Goldman Sachs è più severo con l’Italia, per queste ragioni di contesto, il che significa che, anche lo scudo di Draghi, garanzia di affidabilità sui mercati, non è certo venuto meno, ma la possibile risalita dello spread a 175 punti base prima della riunione della Bce di marzo indica che, a certe condizioni, potrebbe non bastare da solo con una politica monetaria più restrittiva dovuta all’aumento dei tassi e alla riduzione dell’acquisto dei titoli di Stato. Servono cioè riforme e politiche, barra dritta anche col terremoto attorno che, nell’euforia collettiva, ha dato per acquisito un spendi e spandi tutt’altro che scontato. Il trionfo della banalità da un lato, la tenuta dell’asse istituzionale dell’altro sono gli estremi dell’elastico alla prova dell’anno elettorale, comizio permanete per le proprie constituency di riferimento. Non è impresa facile per Draghi che ha un’emergenza oggettiva da affrontare, il collasso politico su cui navigare e parafrasando Woody Allen, nemmeno lui si sente tanto bene nel senso che, dopo il travaglio quirinalizio, per uscire più forte tutto deve fare tranne negare le vecchie e nuove difficoltà…

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