Politica: Partito Democratico che fare? Il Pd Ora vuole andare «oltre il Pd», ma oltre il Pd cosa c’è?

Cambiare il nome, sciogliere il partito, fare un congresso straordinario. Sono tante le proposte fatte a caldo per rimediare la sconfitta alle elezioni. Ma nessuna di queste idee risponde alla domanda fondamentale: cambiare per andare in quale direzione? Adesso nel Partito democratico va molto di moda dire che bisogna «andare oltre». Siamo tornati alla Cosa di Nanni Moretti, allo psicodramma, ma più che altro, stavolta, alla rassegnazione. Alla domanda terribile: e se il Pd non servisse più? Dunque, scatta il riflesso, «andare oltre». Ma oltre che? In vista di cosa? Questo non si capisce, e non è poco. Uno della vecchia guardia come Piero Fassino, che la storia la conosce bene, ha detto che c’è bisogno di «un’Epinay italiana raccogliendo tutte le anime della sinistra», come fece François Mitterrand nel 1971 quando rifondò il partito socialista francese riunendo pezzi e pezzettini della sinistra, comunisti esclusi. Roberto Morassut, che è di un paio di generazioni successive, ha chiesto che si cambi nome, lasciando solo Democratici, senza la parola partito, per dare un’idea più movimentista, da «carovana» come avrebbe detto Achille Occhetto. Matteo Orfini vorrebbe lo scioglimento del Pd e una sua rifondazione. Poi ci sono i sindaci, come fossero tutti uguali, come se Giorgio Gori fosse simile a Matteo Ricci. Tutti fermenti interessanti, ma a parte il non trascurabile dettaglio che qui non si scorge nemmeno col cannocchiale un Mitterrand, la domanda va ripetuta: per fare che? Questo tic ‘oltrista’ che si ripresenta puntualmente dopo le batoste elettorali o svolte della Storia rischia più che altro di rappresentare uno stato d’animo, l’espressione onesta di un male oscuro, un’ansia da prestazione sottilmente nevrastenica, un’agitazione mentale sulla modellistica organizzativa o un’esercitazione dialettica per fare colpo sui giornali. E non è neanche la cosa più strana. Enrico Letta, in una lettera agli iscritti, spiega come intende rifondare il partito dal quale ha annunciato le dimissioni da Segretario. Un Segretario molto-lentamente-dimissionario che illustra ai militanti un percorso in quattro tappe per decidere niente di meno che «l’identità, il profilo programmatico, il nome, il simbolo, le alleanze, l’organizzazione». Mentre l’attuale  gruppo dirigente del Pd intanto pensa a come ri-promuoversi… fioccano le autocandidature a Segretario. Nel Pd lo scontro è aperto. Il governatore dell’Emilia Stefano Bonaccini – che nei giorni scorsi ha annunciato la propria disponibilità a candidarsi alla segreteria del partito – sui social puntualizza: “La classe dirigente va rinnovata nella sostanza, non per slogan”. E Francesco Boccia replica alle continue invettive anti Pd di Matteo Renzi con un: “La distruzione dei dem è la tua ossessione”. Dunque andare oltre, ma soprattutto con chi e a che fare? Movimenti, associazioni, comitati… Ma dove sono, di chi si parla? Andare oltre è un buon modo anche per eludere il nodo reale, che è molto semplice: politicamente cosa vuole, il Pd, qui e ora? L’impressione è che la si faccia più complicata di quel che è, alla fin fine il problema è la famosa linea politica che non è mai stata chiaramente fissata dai vari segretari che si sono succeduti e dai gruppi dirigenti che guarda caso sono sempre quelli: la linea politica di fondo – intendiamo – cioè la collocazione e la natura del Pd. Per non aver sciolto il nodo in tempo si è giunti sin qui, alla Babele di oggi, al festival delle autocandidature che sembra di essere al Carnevale di Rio. E il nodo politico di fondo – mi si perdoni l’estrema sintesi – è questo: se fare Mélenchon con una linea massimalista o fare Macron con una linea di riformismo liberale. Uno dei due, e basta, o qualcosa di più della mera rappresentanza del disagio sociale o la definizione di un concreto programma di riforme, se pretendi impossibili sintesi rischi di non essere né carne né pesce, poi hai Giuseppe Conte da una parte e Carlo Calenda dall’altra che ti rosicchiano voti e anima. Si guardi Keir Starmer leader del partito Laburista inglese che a Liverpool ha scelto per il Labour una strada di centro – che non vuol dire moderazione, la storia del miglior riformismo è piena di durezze – superando la stagione massimalista di Corbyn e risalendo nei sondaggi. Non è che Starmer sia andato oltre. Oltre che cosa? Ha  per l’appunto semplicemente scelto una strada. Ha agito innanzi tutto su di sé. Il Pd invece sembra tentato dalle solite scorciatoie in cui tutto si tiene, dall’ennesimo maquillage da Cosa 2, magari arriveranno di nuovo i dalemiani e i socialisti (sai che allegria), si chiamerà in segreteria qualche giovane di belle speranze, si darà una tinteggiatura di ‘verde’ che ci sta sempre bene e si metterà il partito in mano a un nuovo Segretario, che sia della Ditta Nazarenica, cioè una o uno del gruppo dirigente che ha portato il Pd alla sconfitta di domenica scorsa e ci vuole coraggio ad aspirare alla segreteria se sei stato, per la tua parte, anche con qualche distinguo, comunque, causa di questo disastro. Il tutto attraverso il ginepraio delle barocche regole dello Statuto che sembrano costruite più per irreggimentare il dibattito che liberarlo dalle pastoie correntizie, né stavolta le primarie sembrano poter risolvere il problema politico della definizione di una linea politica, mentre già cominciano i caminetti e le cene per vedere come vincere il congresso. Consentitemi una considerazione: nulla però è più straniante della lettera inviata da Letta a tutti i militanti, con le quattro tappe del percorso necessario alla rifondazione del partito di cui ha dichiarato di voler lasciare la guida, in cui annuncia che si dovrebbero decidere come già detto, niente di meno che «l’identità, il profilo programmatico, il nome, il simbolo, le alleanze, l’organizzazione». Cosa vuol dire? Io l’unica spiegazione logica, che a questo punto mi do, è che un Letta pensieroso intenda si dimettersi da segretario del Pd, ma per candidarsi poi alla guida del nuovo partito. Orbene, che ben arrivi finalmente un congresso, ma attenti che senza chiarezza d’intenti, il congresso rischia di essere già perso. Da tutti quanti…

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