Politica: perché l’inflazione è paradossale e legata in gran parte alla speculazione. Monetaristi e Keynesiani ancora una volta a confronto. I nove economisti che stanno cambiando il modo di vedere le cose…

L’inflazione è rimasta bassa per decenni, malgrado una domanda in crescita. Ora, paradossalmente, schizza a fronte di una domanda in calo… L’inflazione è determinata (anche se non solo) soprattutto da spinte speculative. Tento di rendere in poche righe una riflessione che dovrebbe essere molto più complessa. Dal 2001 ad oggi il consumo mondiale di materie prime è passato da quasi 55 miliardi di tonnellate a ben oltre i 100 miliardi di tonnellate. Dunque, abbiamo assistito ad una rapida accelerazione dei consumi di medio periodo. A fronte di questo fenomeno l’inflazione (l’andamento dei prezzi al consumo) nello stesso arco di tempo, a livello mondiale, è rimasta bassa. Ciò fino al luglio del 2021, non raggiungendo quasi mai le due cifre. A fronte di un raddoppio dei consumi globali, i prezzi sono rimasti dunque bassi e si sono impennati solo nel 2021. Paradossalmente quando la domanda globale e i consumi erano molto contenuti. Ciò è avvenuto, semplificando i termini, perché alcune grandi economie come la Cina ed altri Paesi emergenti hanno prodotto a bassissimo costo, raffreddando i prezzi. E perché la finanza ha, a lungo, scommesso sul ribasso, determinando i prezzi stessi, proprio facendo affidamento sulle potenzialità produttive degli emergenti, in grado di raffreddare, appunto, gli aumentati consumi. Dal 2021, in seguito alla “fine della pandemia” e poi per l’esplosione della guerra in Ucraina, la speculazione ha deciso di puntare invece al rialzo. E i prezzi, improvvisamente, si sono impennati, come se scontassero tutto insieme un ventennio di aumento dei consumi. Da questa breve considerazione emergono due fatti. Il primo consiste nella sempre più evidente incapacità dei prezzi di riflettere la realtà del mondo. E questo significa una profonda crisi dell’idea stessa di mercato e delle sue prerogative di attribuire valore, devastate dalla finanza. Il secondo fatto è identificabile nella enorme percentuale di materie prime consumate che diventano rifiuti: oltre il 90% viene sprecato. È chiaro che tra i due fatti esiste una correlazione: se i prezzi non riescono più a dare un valore reale, ma sono partoriti dalla speculazione, allora la dispersione infinita di risorse non trova più una quantificazione. E, paradossalmente e drammaticamente, tende a scomparire dai parametri di un’economia sempre più artificiale. A rendere ancora più grave questa condizione si aggiunge un altro elemento, sempre più palmare. L’impennata dei prezzi in corso dipende, in larga parte, dalla speculazione sui derivati – sulle scommesse – e sugli Etf – le scommesse sulle scommesse – che è attuata da alcuni grandi fondi, tra cui Vanguard, BlackRock, State Street, Berkshire Hathaway. L’aspetto più inquietante è costituito dal fatto che proprio questi fondi sono tra i principali azionisti dei più grandi gruppi alimentari da Kraft a Coca Cola, a Danone, a Mondelez e Nestlé. Il metodo è estremamente efficace: si fanno alzare i prezzi con la speculazione su derivati e Etf, incassando enormi rendimenti, e poi si guadagna sui dividendi delle società alimentari possedute. È chiaro da dove bisognerebbe partire per evitare di impoverire e affamare intere popolazioni, restituendo, al contempo, ai prezzi la loro funzione storica. Peraltro, non esiste ancora una norma che limiti la quantità di derivati che può gestire un unico soggetto, nonostante le tante proposte in circolazione. Viviamo così l’ulteriore paradosso secondo il quale il valore complessivo dei beni scambiati in modo “figurato”, con le scommesse senza sottostante, è infinitamente più grande degli scambi reali, ma determina prezzi che salgono o scendono in base alle previsioni del momento, dimenticando i tragici dati strutturali sopra ricordati. Per questo, per vent’anni abbiamo avuto prezzi bassi pur in presenza di forti consumi globali e ora avremo un lungo periodo di prezzi ben più alti dell’effettivo rapporto fra domanda e offerta mondiale… Orbene, ormai appare sempre più chiaro che: Per fronteggiare l’inflazione non bastano le politiche monetarie. La Federal e la Bce sembrano agire per riflesso condizionato. Ma l’inflazione non si contrasta solo con le politiche monetarie. Soprattutto se sbagliate… La Federal Reserve americana ha annunciato una riflessione che sembra possa portare a un ripensamento alla costante crescita dei tassi bancari… La Bce invece sembra ormai agire solo per un riflesso condizionato: dopo l’ulteriore recente aumento dei tassi, la presidente Lagarde ha fatto balenare l’ipotesi che si possa arrivare al 5%. Ad essere surreali sono le motivazioni utilizzate per giustificare una tale scelta. L’economia europea non sta crescendo, i salari neppure ma per battere l’inflazione bisogna alzare i tassi e aggravare così la crisi economica. In altre parole, per eliminare la malattia bisogna uccidere il malato. Sembra impossibile, ma è davvero questa la posizione espressa… Invece, occorre frenare la speculazione finanziaria e quella nella filiera “reale” di terminazione dei prezzi. Quindi forse sarebbero utili altre soluzioni. In primo luogo, occorre frenare la speculazione finanziaria che anima le oscillazioni di prezzo. Il prezzo di un megawattora di gas è passato nel giro di poco più di una settimana da 24 a 50 euro, per ridiscendere sotto i 40, con un incremento superiore al 100% e un immediato calo. Cosa giustifica questo incremento? Un cambiamento dell’offerta e della domanda reale di gas? Certamente no, solo la speculazione, compiuta con i contratti derivati – le scommesse – alla solita Borsa di Amsterdam. Ma di questo, nonostante il disastro del 2021-22, si parla poco e la narrazione dell’inflazione continua ad essere ricondotta al fatto che “le retribuzioni” dei lavoratori salgono troppo. In secondo luogo, servono strumenti più efficaci di controllo delle speculazioni poste in essere nella filiera “reale” di determinazione dei prezzi. Sono troppe, ad esempio, le differenze fra i prezzi pagati ai produttori agricoli e quelli praticati dalla grande distribuzione. È evidente che il famoso “mister prezzi”, il Garante per la sorveglianza dei prezzi, concepito nel 2007 all’atto delle celebrate “liberalizzazioni”, e ipoteticamente rafforzato nelle sue funzioni nel marzo del 2022, non riesce ad essere incisivo. Al di là di una generica attività di denuncia, infatti, l’azione del Garante risulta troppo debole rispetto a situazioni di vero e proprio monopolio all’origine della filiera, dopo le vendite all’ingrosso, e nel momento della distribuzione al dettaglio. In questo senso sarebbero opportune regole, anche di rango europeo, per spezzare simili monopoli di fatto e occorrerebbero controlli in particolare proprio nella determinazione dei prezzi della grande distribuzione. Occorre impedire impennate dei prezzi dei beni indispensabili. Gioverebbe poi reintrodurre forme di regolazione dei prezzi che impediscano impennate soprattutto per quanto riguarda i beni indispensabili che sono quelli da cui dipendono le disuguaglianze indotte dall’inflazione: chi compra solo beni indispensabili subisce effetti inflazionistici, in genere, assai più pesanti. Per i redditi bassi l’inflazione è attualmente al 12 contro il 5% dei redditi più alti. In Italia, fin dal 1944 era stato concepito il Comitato interministeriale prezzi che doveva combattere i rischi inflazionistici dell’immediato dopoguerra. Tale organo tornò in auge negli anni Settanta, proponendo e attuando misure di calmiere nei confronti delle impennate di prezzo, che trovavano un lenitivo importante nei meccanismi di scala mobile, di agganciamento dei salari all’inflazione reale. Nei decenni seguenti sia i meccanismi di indicizzazione sia le forme regolate di contenimento dei prezzi sono venuti progressivamente meno ed oggi il potere d’acquisto delle retribuzioni dei lavoratori non dispone più di alcuna forma di difesa. Queste considerazioni sono note e molti Economisti. Tra saliscendi finanziari, crisi economiche e correzioni di mercato, economia e finanza e l’inflazione sono i temi principali del dibattito mondiale. E non solo nei forum più accreditati della politica. I premi Nobel per l’economia, come Paul Krugman o Joseph Stiglizt, si sono trasformati in delle vere e proprie icone. Dalla valenza dell’euro alle vicende legate alla crisi greca i due economisti, di fama globale, non hanno lesinato colpi di scena, ammonimenti o teorie spesso contrastanti con chi si riunisce annualmente a Davos. Ma tant’è. Basti pensare al milione e mezzo di copie vendute da Thomas Piketty con il suo libro “Il capitale nel XXI secolo” per capire quanto l’economia sia entrata di diritto nell’agenda giornaliera. Sullo sfondo, però, ci sono docenti universitari che stanno cambiando il modo di vedere le cose. Loro sono meno famosi, forse meno influenti, ma hanno le idee ben chiare. A fare una sorta di elenco di questi economisti è proprio il World Economic Forum. La classifica ne prende in esame ben nove, tra questi anche un accademico italiano. 1. Ha-Joyon Chang, Università di Cambridge. Idea: I paesi sviluppati parlano molto di libero mercato, ma in realtà usano il loro potere e la forza finanziaria per generare reddito a scapito delle economie emergenti. Le idee di Chang sono controverse, e mettono al centro il ruolo che gli organismi internazionali come il FMI e la Banca mondiale giocano nell’economia. Nei suoi libri Chang ( Kicking Away the Ladder e The Myth of Free Trade, per citarne alcuni) sostiene che i governi delle economie più grandi aiutano le loro proprie aziende, mentre predicano i benefici del libero mercato ai Paesi in via di sviluppo. 2: Katharina Pistor, Columbia Law School. Idea: Il ruolo della legge deve essere sospeso per i mercati finanziari in caso di crisi, o l’intero sistema crollerà. Pistor, che ha vinto il Max Planck academic research award nel 2012, sta sviluppando una teoria giuridica della finanza per capire come le leggi influenzano la sua forma e la composizione. Ha scoperto che, in caso di crisi, le norme che costruiscono i mercati non valgono la carta su cui sono stampate: la vera forza trainante è Il potere politico. 3. Charles Calomiris, Columbia Business School. Idea: I crolli finanziari non accadono a caso e non sono inevitabili. Provengono da accordi complessi tra politici e banchieri che finiscono fuori dal controllo del governo. Questo è uno dei motivi per cui gli Stati Uniti hanno avuto 12 grandi crisi bancarie dal 1840, mentre il Canada non ne ha avuta nessuna. 4. Jon Danielsson, London School of Economics. Idea: Dando fiducia ai vostri modelli di rischio perdete denaro in una crisi. I modelli di rischio in genere tenderanno ad avere gli stessi risultati quando tutto va bene, anche se hanno differenti fondamenti matematici. Questo induce le persone a pensare che i modelli di rischio funzionino sempre. Ma quando si scatena l’inferno, i modelli vi daranno diverse valutazioni di rischio, lasciandovi barcollare nel buio. Questo è un male per le banche e i fondi speculativi, ma è anche peggio per le banche centrali, che devono prendere decisioni politiche per tutti gli altri. 5. Marianne Bertrand, University of Chicago Booth. Idea: Gli amministratori delegati sono ricompensati per la fortuna piuttosto che per le loro performance. Inoltre, i datori di lavoro giudicano i candidati più per il loro nome che per le loro qualifiche. La teoria di Bertrand è stata uno dei motivi per cui c’è stata una forte reazione degli azionisti contro gli stipendi degli amministratori delegati, dopo aver dimostrato che i loro enormi bonus si basavano sulla fortuna piuttosto che sulle capacità. In un documento del 2003, lei e Sendhil Mullainathan hanno risposto ad alcuni annunci di lavoro a Chicago e a Boston con nomi falsi. Alcuni candidati hanno utilizzato nomi come Emily e Greg, mentre altri hanno usato nomi come Lakisha e Jamal. “I risultati mostrano una discriminazione rilevante contro i nomi afro-americani”, hanno scritto gli autori. “I nomi bianchi ricevono il 50% più di feedback per le interviste.” 6. Alvin Roth, Harvard University e la Stanford University. Idea: Non c’è bisogno di soldi per rendere un mercato stabile. Roth insieme a Lloyd Shapely, ha vinto il premio Nobel nel 2012 per aver dimostrato che le persone possono realizzare un mercato basato su scambi reciprocamente vantaggiosi anziché in contanti per soddisfare un bisogno specifico. Questo è stato particolarmente utile per alleviare la penuria di donatori di rene negli Stati Uniti. Roth ha usato la teoria dei giochi per accoppiare i donatori con i pazienti che non conoscevano, rendendo più facile per le persone scambiare i loro organi e trovare compatibilità. 7. Jonathan Portes, National Institute of Economic and Social Research. Idea: Gli obbligazionisti possono spesso lavorare insieme per ottenere concessioni da un mutuatario. Portes ha stabilito le basi per le clausole di azione collettiva, in cui gli obbligazionisti sovrani usano il loro potere contrattuale per imporre condizioni su di un Paese debitore. Il lavoro è stato particolarmente importante nei casi come la Grecia o l’Argentina. 8. Charles Goodhart, London School of Economics. Idea: Goodhart ha detto che non appena governi o banche centrali trasformano una statistica, come il mercato azionario, in un obiettivo politico implicito, essa cessa di diventare una statistica affidabile. Questo perché i players nei mercati finanziari cambiano le loro strategie di investimento per anticipare la politica. Goodhart è stato uno dei membri del comitato di politica monetaria della Banca di Inghilterra nel 1997, e un veterano delle crisi finanziarie nel 1970. 9. Alberto Alesina, professore all’Università Harvard. Idea: Lungi dal danneggiare la crescita, le misure di austerità possono effettivamente aiutare la ripresa delle economie. Nel 2009, Alesina e Silvia Ardegna hanno pubblicato un articolo intitolato “Grandi cambiamenti nella politica fiscale: tasse versus spesa”. Questa è stata una parte importante del dibattito negli anni successivi, in merito al fatto se le migliori strategie per la ripresa delle economie siano l’austerità e la riduzione del debito oppure l’aumento della spesa pubblica. Andando alle conclusioni. È davvero difficile pensare di fronteggiare l’attuale inflazione solo con le politiche monetarie, peraltro sbagliate, della Bce… Ed eccoci al solito confronto tra: monetaristi & keynesiani. Dov’è la differenza? I monetaristi enfatizzano l’importanza della stabilità dei prezzi mentre i keynesiani quella del reddito. I monetaristi hanno un approccio più liberista mentre i keynesiani più interventista. Ovvero? L’economia monetarista è la critica diretta di Milton Friedman della teoria dell’economia keynesiana. In poche parole, la differenza tra queste teorie è che l’economia monetarista coinvolge il controllo del denaro nell’economia, mentre l’economia keynesiana comporta spese pubbliche. I monetaristi credono nel controllo della fornitura di denaro nell’economia e consentono al resto del mercato di risolvere sé stesso. Gli economisti keynesiani ritengono che un’economia in difficoltà continua in una spirale in discesa, a meno che non sia fatto per portare i consumatori ad acquistare più beni e servizi. Entrambe queste teorie macroeconomiche influiscono direttamente sul modo in cui i legislatori creano politiche fiscali e monetarie. Se entrambi i tipi di economisti si equivalessero agli automobilisti, i monetaristi sarebbero più interessati ad aggiungere benzina alle loro bombole, mentre i Keynesiani sarebbero più interessati a mantenere i loro motori in esecuzione… Aumentare i tassi d’interesse farà solo crescere ulteriormente le diseguaglianze sociali. Su ciò dice la sua anche Ignazio Visco. Quindi a fronte di un limitato impatto sull’economia e l’inflazione, la decisione della Bce di portare i tassi al 5% se non oltre, rischia di impoverire ulteriormente le fasce più deboli della popolazione. Per questo abbiamo bisogno di politiche di controllo dei prezzi e maggiori tutele dei lavoratori… l’esatto contrario di quanto fa (seppur in buona compagnia nel Mondo) il governo Meloni…

E’ sempre tempo di Coaching! 

Se hai domande o riflessioni da fare ti invito a lasciare un commento a questo post: riceverai una risposta oppure prendi appuntamento per una  sessione di coaching gratuita

 

0

Aggiungi un commento