Politica: ricchi sempre più ricchi e poveri sempre più poveri. I ricchi non pagano mai le crisi e così il fossato s’allarga …

Parte prima

L’allarme è stato lanciato ancora una volta dal nuovo rapporto di Oxfam “La disuguaglianza non conosce crisi”, pubblicato in occasione dell’apertura del World Economic Forum Annual Meeting, tenutosi a Davos dal 16 al 20 Gennaio di quest’anno. Recessione, sanità post-pandemia, guerra e crisi energetica sono i temi che fino al 20 gennaio sono stati discussi sulle Alpi svizzere da 2700 leader giunti da tutto il mondo tra Capi di Stato e di Governo (52), ministri (379), governatori di banche centrali (19), presidenti, amministratori delegati, direttori generali di aziende e dei principali istituti di credito. Come si sa, il mondo sta attraversando un periodo segnato da una concomitanza di crisi senza precedenti. Decine di milioni di persone in più soffrono la fame. Fenomeni come siccità, carestie, uragani, inondazioni, conseguenze del cambiamento climatico, costringono famiglie e comunità in tante regioni del mondo ad abbandonare le loro case. Milioni di persone stanno ancora subendo le pesanti ripercussioni della pandemia del Covid. La disuguaglianza fra i pochissimi ricchi e la marea dei poveri si approfondisce. Basti pensate che dal 2020, nel biennio (‘20/’21) dell’emergenza pandemica, l’1% più ricco del mondo si è accaparrato quasi il doppio dell’incremento della ricchezza netta globale rispetto alla quota andata al restante 99% della popolazione mondiale. In Italia, i super ricchi con patrimoni superiori ai 5 milioni di dollari (lo 0,134% degli italiani) erano titolari, a fine 2021, di un ammontare di ricchezza equivalente a quella posseduta dal 60% degli italiani più poveri. Più precisamente: non è un mistero che, in questi anni di crisi continue, i ricchi siano stati colpiti meno duramente di tutte le altre componenti della società. Il citato recente rapporto pubblicato da Oxfam ne è l’ultima conferma. Nel 2020-21, sostiene Oxfam, l’1% più ricco della popolazione del mondo ha incamerato il 63% della nuova ricchezza creata, distanziandosi ulteriormente dal resto della popolazione. Si tratta di un processo globale, che però corrisponde a quanto osservato localmente in molti Paesi, Italia inclusa. Da noi, stando alle stime disponibili, nel 2021 l’1% più ricco della popolazione deteneva il 23.3% della ricchezza complessiva. Nel 2019, alla vigilia della pandemia di Covid-19, era solo il 22%. Se andiamo più indietro nel tempo, fino alla crisi del debito sovrano del 2010-11, troviamo la stessa tendenza: dal 15% del 2010 al 19% del 2012. A inizio millennio, nel 2002, la quota dell’1% più ricco degli italiani era circa l’11%: meno della metà dei livelli attuali. I ricchi, dunque, in Italia come nel resto dell’Occidente, sembrano essere riusciti a costruire una notevole resilienza rispetto a crisi di vario genere: economico-finanziarie, pandemiche, e anche (aspettiamo i nuovi dati per confermarlo) quella in corso innescata dall’invasione russa dell’Ucraina. Dieci anni fa, al Forum di Davos, Oxfam aveva lanciato per la prima volta l’allarme sui livelli intollerabili raggiunti dalla disparità socioeconomica. Oggi, un decennio dopo, la situazione non è cambiata: sono sempre i più ricchi a trarre i maggiori benefici e i più poveri a soccombere. Come si legge nel rapporto, l’1% più ricco detiene oggi il 45,6% della ricchezza globale, mentre la metà più povera del mondo appena lo 0,75%; per ogni 100 dollari di incremento della ricchezza netta negli ultimi 10 anni, 54,40 dollari sono andati all’1% più ricco e solo 0,70 dollari al 50% più povero; 81 miliardari detengono più ricchezza di metà della popolazione mondiale. Secondo la Banca mondiale, nel primo anno della pandemia le perdite di reddito del 40% più povero dell’umanità sono state il doppio rispetto a quelle registrate dal 40% più ricco. «Mentre la gente comune fa fatica ad arrivare a fine mese, i super-ricchi hanno superato ogni record nei primi due anni della pandemia, inaugurando quelli che potremmo definire i ruggenti anni ’20 del nuovo millennio», ha dichiarato Gabriela Bucher, direttrice esecutiva di Oxfam International. «Crisi dopo crisi i molteplici divari si sono acuiti, rafforzando le iniquità generazionali, ampliando le disparità di genere e gli squilibri territoriali. Pur a fronte di un 2022 nero sui mercati a non restare scalfito è il destino di chi occupa posizioni sociali apicali, favoriti anche da decenni di tagli alle tasse sui più ricchi, che ne hanno consolidato le posizioni di privilegio. Un sistema fiscale più equo, a partire da un maggiore prelievo sugli individui più facoltosi, è uno degli strumenti di contrasto alle disuguaglianze. Un’imposta del 5% sui grandi patrimoni potrebbe generare per i Paesi riscossori risorse da riallocare per obiettivi di lotta alla povertà a livello globale affrancando dalla povertà fino a 2 miliardi di persone». Ricordiamoci che nel novembre 2022, gli abitanti del Globo, hanno raggiunto gli 8 miliardi di individui. Ora, non vi è nulla d’intrinsecamente sbagliato nel fronteggiare con successo le crisi; d’altra parte, al concetto di “resilienza” viene solitamente riconosciuta un’accezione positiva. Tuttavia, se allarghiamo lo sguardo sull’intero Occidente e anche ad altri sistemi politici, fino almeno alla prima metà del Novecento si riscontrava un legame inverso tra la maggiore resilienza di fronte alle crisi della società nel suo complesso, e la capacità dei più ricchi di proteggere la propria quota di ricchezza. Questo, non perché i ricchi fossero più esposti ai rischi diretti delle crisi, ma perché erano regolarmente chiamati a contribuire in proporzione maggiore degli altri a finanziare le politiche anticrisi. Il sospetto è che visto che tale legame è tutt’ora ancora valido, allora la (storicamente eccezionale) capacità dei ricchi di proteggere e anzi incrementare la propria quota di ricchezza durante le crisi recenti, significa che le crisi sono state pagata dal resto della collettività, divenuta sempre meno resiliente di quanto non avrebbe potuto essere. Il meccanismo è chiaro se si considera che oggi, in Occidente, i ricchi non sembrano disposti a contribuire di più (tramite tassazione e non con la beneficenza) durante le crisi, nemmeno più in via temporanea. Così facendo, però, i ricchi vengono meno a quella che, fin dal tardo Medioevo a oggi, è stata considerata una loro funzione sociale specifica: farsi tassare di più in tempo di crisi. Il rischio che ne consegue è quello di crescenti tensioni sociali, nel contesto di una società sempre più diseguale e socialmente immobile. L’unico modo di risolvere, o almeno moderare, il problema sarebbe ripensare i sistemi fiscali nella direzione di una maggiore progressività (che non vuole affatto dire “più tasse per tutti”). Non pare, però, che al momento vi sia la volontà politica di farlo. Anzi: al centro della discussione rimangono la flat tax (riforma indubbiamente e inevitabilmente “pro-ricchi”) e misure di sostegno ai poveri che, per quanto necessarie in tempi di crisi, assomigliano più a una forma di beneficenza di Stato che a un tentativo di risolvere il problema. È un mix di politiche che sarebbe andato benissimo in una repubblica patrizia del Seicento, ma che non corrisponde agli ideali di una “Repubblica democratica fondata sul lavoro”… Ecco perché i ricchi diventano sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri. Si chiama “Effetto San Matteo” ed è tra le cause del crescente divario tra élites di mega ricchi e poveri sempre più poveri. Nel mezzo, c’è solo terra bruciata. Lasciata a sé, senza interventi correttivi, questa è l’inevitabile deriva delle società di mercato. Il sociologo statunitense Daniel Rigney ricorda che: «A chi ha sarà dato e sarà nell’abbondanza; a chi non ha sarà tolto anche quello che ha». Fin dal 1968, il sociologo americano Robert K. Merton, padre del Nobel per l’Economia Robert C. Merton, pensò di riferirsi a questo passo del Vangelo secondo Matteo (13,12). Merton parlò di Effetto San Matteo per definire e studiare il fenomeno secondo il quale certi vantaggi iniziali tendono a accumularsi e amplificarsi, creando nel corso del tempo un divario sempre maggiore tra chi ha di meno e chi ha di più, in termini di ricchezza, ma anche in istruzione, credibilità, prestigio e risorse, in una spirale che assomiglia molto alla gabbia di ferro di Max Weber. Una spirale che è ben fotografata dall’ultimo Rapporto Oxfam, che fotografa un’ Italia dove il 5% più ricco detiene la stessa quota di ricchezza posseduta dal 90% più povero della popolazione. Con quali conseguenza sulle retoriche del “merito” è facile capirlo. Sociologo, già direttore dell’Honors Program alla St. Mary University (San Antonio, Texas), nonché autore di “Sempre più ricchi, sempre più poveri” (Etas, Milano 2011), Daniel Rigney ha studiato l’evoluzione delle spirali ascendenti e discendenti di disuguaglianza che, anche a causa della crisi iniziata nel 2008, sembrano diventate una costante anche per questo scorcio di XXI secolo. Il Professor Rigney, ci spiega che: l’“Effetto San Matteo” è tanto importante per osservare e comprendere come si va dispiegandosi in campi e ambiti tanto diversi, dalla cultura all’educazione, dalla trasmissione dei patrimoni al prestigio scientifico. Il termine come detto allude a quei passi del Vangelo secondo Matteo (ma passi consimili si trovano anche in Marco e Luca) che si riferiscono letteralmente alle disuguaglianze di ricchezza, ma metaforicamente alla comprensione spirituale. Alcuni prosperavano in “ricchezza” e comprensione spirituale “ricchezza”, mentre altri vanno in rovina. Alcuni diventano sempre più ricchi, altri sempre più poveri, secondo il detto inglese che ricorda come «the rich get richer and the poor get poorer». Nelle scienze sociali, il termine viene richiamato e si riferisce alla tendenza di generare dove una situazione sociale, economica, sanitaria di vantaggio genera ulteriore vantaggio e lo svantaggio genera ulteriore svantaggio. Gli “Effetti di Matteo”, quando operano senza un intervento correttivo, in genere producono crescente divario tra chi ha di più e chi ha meno, rispetto a una data risorsa, come il potere, la ricchezza o il prestigio. L’effetto è analogo, per molti aspetti, all’accumulo di interesse composto in matematica e al debito composto in finanza. L’Effetto San Matteo è una tendenza dove il vantaggio genera ulteriore vantaggio e lo svantaggio genera ulteriore svantaggio (effetto San Matteo: ingiusta distribuzione del successo). Nelle nostre società, senza opportuni correttivi, poiché non partiamo da condizioni paritarie, chi ha avrà sempre di più, accumulando cultura, conoscenza, ricchezza materiale e no. E gli altri saranno destinati alla miseria. Ecco perché i ricchi diventano sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri. Maggiore è il vantaggio iniziale, maggiore è il guadagno, quanto più ottieni, quanto più hai… L’allargamento delle disuguaglianze che gli effetti Matteo producono non stabiliscono la prova della superiorità morale dei vincitori o l’inferiorità morale dei perdenti, come vorrebbero farci credere certi darwinisti sociali. Al contrario, tali disparità riflettono, almeno in parte, le dinamiche intrinseche ai cicli di feedback. Questo è il processo fondamentale: le risorse iniziali, investite, comunemente portano ulteriori risorse. Questi ulteriori vantaggi a loro volta possono essere investiti per attirare ancora nuovi vantaggi e così via, creando un ciclo di auto-amplificazione che continua a funzionare, almeno fino a qualche evento esterno – non necessariamente negativo, come una crisi – interrompe e conduce a elaborarlo. Perché è importante capire le dinamiche dell’Effetto San Matteo? Perché se comprendiamo l’ “Effetto San Matteo”, siamo in grado di anticipare, e forse evitare, le conseguenze potenzialmente più distruttive di un divario crescente generato da quello che, in gergo, si chiama “vantaggio cumulativo”: non è infatti vero che tutti partiamo – dalla nascita o da un eventuale punto zero – da condizioni di parità e eguaglianza…

(continua)

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