L’anno si chiude mentre infuria la guerra nella Striscia di Gaza. Una guerra non prevista fino all’inizio dell’autunno con caratteristiche inabituali. Generalmente due paesi combattono con i relativi eserciti al fronte. Alla fine, vi è un paese vincitore e in qualche caso una mediazione. Il caso di Gaza si presenta per molti versi unico. Non vi sono due eserciti che si combattono, ma uno dei due contendenti che avanza senza incontrare sostanziali ostacoli. Nell’avanzata distrugge non solo il potenziale bellico dell’avversario, ma tutto ciò che incontra. La distruzione della città di Gaza non è l’unico caso nella storia delle guerre. Ma la caratteristica è che non c’era un nemico armato ma una popolazione disarmata, senza altra possibilità che abbandonare l’abitazione che rischiava la distruzione o che era già distrutta. Un numero non precisamente definito ma che supera un milione di persone ha dovuto scegliere d’incamminarsi verso il sud della Striscia senza sapere esattamente con quale destinazione. I numeri di per sé possono essere ingannevoli, ma si tratta di oltre la metà della popolazione di Gaza. La guerra è combattuta da un paese che ha le caratteristiche di una potenza nel quadro del Medio Oriente, in grado di sfidare, come del resto è avvenuto in passato, paesi apparentemente più forti, come nella guerra contro Siria e Egitto, vincendo nel breve giro di una settimana. Il ruolo di Hamas nel conflitto israelo-palestinese. Una parte dei commentatori afferma che all’origine vi è stato l’attacco di Hamas contro Israele che cha causato oltre 1200 morti e oltre 200 prigionieri. Si possono dare giudizi contrastanti sull’attacco di Hamas dopo una lunga storia di sottomissione della popolazione palestinese. La risposta finora è di un numero di palestinesi morti che è più di 15 volte superiore; i due terzi dei palestinesi del territorio di Gaza che hanno perso la casa, e vagano nei campi di tende allestiti sulle rive del Mediterraneo da organizzazioni umanitarie internazionali. Le circostanze sono così insolite che negli Stati Uniti, senza per questo ridurre la fornitura di mezzi finanziari e armi a Israele, hanno messo in difficoltà lo stesso Biden. Anche prima di assumere la presidenza, Biden si è sempre distinto per il suo sostegno assoluto a Israele. Adesso ha capito che non si tratta di una guerra tra contendenti più o meno dotati di armi, ma tra un Paese disarmato contro uno dotato di uno dei maggiori armamenti – anche nucleare – del mondo occidentale. Il Financial Times dà un senso alla disparità descrivendo la devastazione di intere famiglie al di là dei loro stessi timori. “Iman Awad era una madre protettiva… Ora la famiglia ha dovuto affrontare una devastazione che va oltre le loro peggiori paure. Iman, suo marito, la loro figlia maggiore e il loro bambino sono stati tutti uccisi in un attacco aereo israeliano il mese scorso. La figlia più giovane di Iman, di nove anni, è sopravvissuta… paralizzata da una lesione cerebrale causata dai bombardamenti”. Alla fine della scorsa settimana i morti erano oltre 19.000, con più di settemila bambini, mentre molti altri sopravvissuti hanno perso uno o entrambi i genitori. Si potrebbe pensare che la vendetta di Israele sia stata consumata e che è il tempo di negoziare la pace. Ma la posizione di Netanyahu non lascia ombra di dubbio: l’attacco deve continuare per un tempo ancora indefinito fino all’eliminazione di Hamas. Una posizione priva di senso dal momento che Hamas rappresenta ormai la parte combattente non solo nel territorio di Gaza ma in tutta la Palestina. L’Unione europea è politicamente favorevole a una soluzione che dovrebbe equivalere alla liquidazione di Hamas. Cioè nessuna soluzione, visto che Hamas è parte determinante del conflitto. Un conflitto non fatale. C’era un accordo consacrato da Bill Clinton, allora presidente degli Stati Uniti, che compare al centro di una celebre foto con a fianco Rabin (allora leader israeliano) e Arafat (presidente dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina. Israele e Palestina avrebbero dovuto convivere dividendo il territorio. Ma fu un accordo senza seguito. Alcuni mesi dopo Rabin fu assassinato da un giovane estremista israeliano. L’attuale primo ministro Netanyahu, leader della destra israeliana, ha ormai maturato il più lungo periodo alla testa del governo israeliano nel corso di 75 anni. Israele può impadronirsi della Striscia di Gaza indifesa. Ma questo ha messo in difficoltà alcuni pasi del Medio Oriente e, in particolare, l’Arabia saudita che contava su un possibile accordo con Israele. Non può nemmeno farlo senza sacrificare l’accordo con l’Iran stipulato, dopo anni di tensioni, con la mediazione del presidente della Cina Xi Jinping. L’Iran ha, a sua vota, accodi con l’Iraq, la Siria e il Libano, paesi che non possono accettare li sostegno a Israele nel conflitto con Hamas. La questione palestinese ha assunto un significato generale. Non a caso, il governo degli Stati Uniti intende difendere Israele, ma chiede a Netanyahu di limitare la guerra, avendo difficoltà con una parte della popolazione americana e con una parte del Partito democratico e dell’opposizione repubblicana, convinte che i palestinesi hanno diritto a una loro terra. Col passare del tempo, Israele sotto il governo di Netanyahu, prima come membro del governo poi come Primo ministro, allontanò ogni speranza di soluzione. Ma c’è sotto il cielo qualcosa di nuovo. Una grande parte della popolazione è a livello mondiale schierata a favore di uno stato palestinese distinto da Israele…
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