Politica: stiamo vivendo una guerra a pezzi. Il ritorno del razzismo alla base dei conflitti moderni, inutili i tentativi di negarlo…

Sarà solo un’impressione, domani potrebbe succedere il contrario. Ma l’impressione, è che da qualche giorno la nostra politica parli meno e soprattutto con toni meno forti, del consueto. Non è che si sia messa a pesare le parole, ma sicuramente le pronuncia con un briciolo di titubanza in più. Io, credo c’entri soprattutto il fatto, che parlar di guerra e addentrarsi nei meandri delle controversie che ci aspettano nelle prossime ore, giorni, settimane, mesi e forse anni, incuta dovutamente soggezione, soprattutto proprio a molte delle “gole profonde” dei nostri politici, anche a quelli solitamente che non hanno troppi freni inibitori. Sarà per questo che giornali e talk show preferiscono interpellare esperti, giornalisti, osservatori e… la ribalta per i politici è diventata meno invitante. Che si siano spaventati anche loro? Soprattutto, di loro stessi, dopo aver stimolato con forvianti slogan le paure più profonde dell’animo umano proprio rispetto al fatto che l’avversario politico era il nemico da distruggere? D’altronde la situazione è complicatissima. Abbiamo focolai bellici sparsi un po’ per tutto il mondo, ma che sembrano ormai parte di un’unica guerra globale. Ma noi li continuiamo a considerare separati, noi o per meglio dire l’Occidente intero (con gli Stati Uniti in testa), se li teniamo divisi non mettendoli in relazione tra loro possiamo tentare ancora di gestirli. Se si saldassero, lo scenario cambierebbe totalmente. È la terza guerra mondiale a pezzi… questa è l’efficace espressione con cui papa Francesco inquadra questa epoca conflittuale che stiamo vivendo. A parte la formula giornalisticamente accattivante, e il bel libro di Alessandro Rizzi, il senso della cosa è aperto a varie interpretazioni. E, l’attacco di sabato scorso di Hamas in Israele offre molto materiale per riesaminare lo scenario bellico mondiale. Guerra mondiale a pezzi significa letteralmente che i focolai bellici sparsi per il mondo sono parte di un’unica guerra globale. Detto altrimenti: siamo di fronte a una serie di conflitti che vanno intesi come guerre per procura e non come eventi indipendenti. Anche l’attacco di Hamas, e il conseguente assedio di Gaza da parte di Israele, si può leggere in questa cornice interpretativa. Sulla regia dell’Iran molto è stato scritto e altrettanto è stato smentito per vie ufficiali, ma si può ragionevolmente sostenere che senza decisivi sostegni esterni Hamas non sarebbe stata in grado di pianificare, finanziare ed eseguire un piano di attacco così elaborato. Il gruppo terroristico aveva bisogno di risorse, certo, ma anche di silenzi e coperture di altri attori interessati e coinvolti a vario titolo nella vicenda. Nel frattempo, la Russia, che ha mantenuto sempre buoni rapporti con Israele, ha mostrato il suo distacco con lunghi giorni di silenzio e senza nemmeno un comunicato di cordoglio. Quando Vladimir Putin ha parlato lo ha fatto per dare la colpa alla politica degli Stati Uniti in Medio Oriente, che non tiene conto da tempo dei palestinesi. Un po’ poco per un leader che Benjamin Netanyahu aveva definito «particolarmente amichevole» verso gli ebrei. La Cina ha mandato svogliati segnali di condanna degli attacchi che sono stati poi goffamente rafforzati dopo un intervento americano, ma comunque il regime di Xi non ha citato Hamas e più in generale non ha ricambiato nemmeno un po’ della vicinanza che Netanyahu si è sforzato di esprimere in tempi recenti. Ricomponendo i pezzi della guerra mondiale emerge dunque un disegno strategico e tre fondamentali attori del conflitto mediorientale – Iran, Russia e Cina – uniti fra loro da legami che si vanno via via solidificando, e hanno infine trovato il modo di dividersi i tre fronti di un conflitto lungo che ha proprio come nemico di sempre l’Occidente e le sue strutture democratiche e liberali, incarnate nella sua forma più compiuta dagli Stati Uniti… ma che presenta profonde divergenze interne per via delle diseguaglianze economiche e sociali sempre più marcate… tali da negare ormai l’essenza universalista della democrazia così come l’abbiamo conosciuta nel dopoguerra del secondo conflitto mondiale e per quasi tutta la metà del secolo scorso almeno fino agli anni 90. Oggi, la Russia è impegnata sul fronte ucraino, la Cina su quello di Taiwan e l’Iran su quello palestinese, che ha la caratteristica non trascurabile di essere la causa che rivitalizza ed eccita i peggiori istinti dell’intero mondo islamico. Basta guardare all’adesione alla chiamata in piazza nel primo venerdì di preghiera dopo l’aggressione in Israele per vedere la misura dell’ampio consenso di cui gode chi “sgozza senza pietà gli ebrei”. Infatti, dalla Giordania all’Egitto, sono scesi in piazza alcune decine di migliaia di mussulmani. E Abu Mazen che conta ormai come il due di picche a Briscola… ha potuto così dire con tono altero a Blinken: «La pace solo, se saranno riconosciuti i diritti dei palestinesi». Questi tre pezzi della guerra mondiale hanno di fatto disintegrato lo spirito degli Accordi di Abramo e fermato il percorso di normalizzazione a guida americana dell’area mediorientale, rovinando i piani di qualcuno (l’Arabia Saudita, probabilmente) ma contemporaneamente ha aperto altri nuovi scenari che mostrano un totale disallineamento rispetto al passato più o meno recente… Qui da noi nessuno sembra ragionare ancora di merito nell’avvenuto recente allargamento del fronte dei paesi del BRICS il raggruppamento delle economie mondiali emergenti con l’aggiunta del Sudafrica del 2010 al precedente BRIC (Brasile, Russia, India e Cina)… che è ulteriormente in via di ampliamento dal gennaio del 2024: Argentina, Egitto, Iran, Etiopia, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti entreranno a fare parte del gruppo dei Brics. Con questi nuovi ingressi, i Paesi Brics «rappresenteranno il 36% del Pil mondiale (ora è il 26%) e il 47% della popolazione dell’intero pianeta» e fanno intravedere un nuovo multilateralismo alquanto creativo. La Turchia di Erdogan che si offre ovunque come possibile mediatore tra Occidente e Oriente sembrerebbe a riguardo alquanto maestra. Inoltre, i leader Brics hanno lasciato la porta aperta a un futuro allargamento, aprendo potenzialmente la strada all’ammissione di decine di altri Paesi, spinti dal desiderio di sfidare il dominio occidentale negli affari globali. Non c’è dubbio che la guerra in Ucraina ha avuto l’effetto (non senza palesi contraddizioni) di ricompattare l’Occidente, ma ha anche definitivamente allontanato il sud del Globo. Sono sicuramente tanti quelli che scopriamo analfabeti oggi, su questa nuova situazione nella annosa guerra mediorientale o per meglio dire sulle tante guerre in corso che affliggono il Globo. I nostri politici purtroppo oltre che analfabeti, sono particolarmente talentuosi in ottusità… suonano la loro musica propagandistica su un piano che ha solo due tasti Occidente e Oriente o meglio Est e Ovest; continuando a ignorare che i punti cardinali sono quattro Est, Ovest e Nord, Sud e che su un pentagramma, ci stanno di solito 7 note e che quindi una tastiera ha più tasti da premere per suonare armonicamente, in questa guerra combattuta falsamente a pezzi. In modo analogo, l’attacco di Hamas chiama a raccolta gli amici di Israele, ma allo stesso tempo allontana una schiera di nemici storici e antipatizzanti d’occasione che appare sempre più folta. L’Occidente: con Joe Biden si è espresso senza tentennamenti su Israele, ma poi ha mandato il segretario di Stato, Antony Blinken, ad assicurarsi che le manovre di Israele non finiscano per innescare un allargamento del conflitto mediorientale… Finché la guerra mondiale è a pezzi, la superpotenza americana può affrontare e gestire le crisi. Se come accennato i pezzi si saldano fra loro, le cose si complicano e possono finire fuori controllo. Qualche altra rapida considerazione… Tutto questo cosa significa? Che il business, gli affari economici, non bastano più a garantire la Pace, in Medio Oriente (ma direi nel Mondo) e ovunque vince l’ideologia… Provo a dirla così, spero di non essere frainteso: con l’età dell’Imperialismo,  l’uomo Bianco ha dato origine al ‘meticciato diffuso’ attraverso due secoli di colonialismo. Oggi, assistiamo (non so quanto veramente consapevoli) al ritorno della Razza come elemento di divisione della politica e ben oltre ogni dichiarazione di uguaglianza e di diritti civili e sociali universali decantati dalla fine del secondo conflitto mondiale del secolo scorso… torna con forza sulla scena politica del mondo il concetto di Razza!! E lo dico senza perifrasi: sempre più spesso si tratta ancora una volta di “razza padrona!” Di contro alla convinzione radicata nella coscienza occidentale del progresso democratico e razionale che “razzismo” e “razza” siano cose del passato, destinate a svanire, Etienne Balibar noto filosofo francese oggi ottantenne, già affermava qualche anno fa, la necessità di interrogarsi sul “ritorno della razza” e sull’ “avvenire dei razzismi”. Oggi si assiste, infatti, da un lato, a una rinnovata rilevanza del “principio di razza”, sotto la forma ad esempio di un criterio di “origine” o di rappresentazioni di mentalità e di cultura, di un razzismo cioè nel senso più essenziale e descrittivo della parola, dall’altro, alla possibilità di nuove forme di razzismo. A spingere in questa direzione sono, a parere di Etienne Balibar, fenomeni globali, quali il cosiddetto “scontro di civiltà”, l’accentuarsi dei nazionalismi, che talvolta raggiungono forme di etnocidio o di genocidio, l’affermazione di un biocapitalismo, ovvero di un capitalismo fondato su una bioeconomia, e la tendenza dei sistemi politici democratici a trasformarsi in democrazie esclusive. Etienne Balibar ha, però, evidenziato un ulteriore livello in questa analisi; la relazione fra fenomeni di razzismo e neo-razzismo e tendenze della congiuntura storica è, infatti, mediata da processi simbolici, espliciti o incoscienti, che si sviluppano nel campo dell’immaginario collettivo. Il fenomeno dell’immigrazione di massa dall’Africa e dal Medioriente ne è l’esempio calzante in Italia e in Europa. È nell’indagine di questi elementi che emerge il ruolo e il compito della filosofia: analizzare cioè la genealogia e le trasformazioni della nozione di razzismo, non come concetto astratto, ma visto nella complessità e molteplicità degli aspetti epistemologici, antropologici, simbolici, giuridici e politici insiti proprio nella rappresentazione della razza. Esiste, poi, una prospettiva sociologica di riflessione, all’interno della quale la questione del razzismo perde sostanza e viene demitizzata, mettendola in connessione con l’analisi delle strutture di dominio, di sfruttamento e di genere, dei rapporti di potere e dei conflitti religiosi che si originano nella società. Alla base di questo approccio al problema del ritorno della razza Etienne Balibar pone altresì un ripensamento dell’idea stessa di umanità in connessione con quella di razzismo, perché entrambe non si definiscono in maniera teorica e astratta, ma solo procedendo per via negativa e in stretto rapporto con le tendenze all’auto-distruzione dell’umano tramite programmi politici, in risposta alle quali si costruiscono le relazioni di reciprocità fra individui e gruppi, sia nella forma del conflitto che in quella del dialogo. Visto quanto vanno complicandosi anche per noi, da questa parte del Mondo le questioni della condizione umana?! L’esempio valido è proprio che falliti i numerosi piani di pace per il conflitto israelo-palestinese (ma anche di altri conflitti), il ritornello per cui bisognava trovare una strada alternativa alla politica ha sempre indicato nell’economia l’elemento supplente che potesse “ricucire” la tragedia del conflitto armato. Ricordate il racconto della Globalizzazione neoliberale dell’ultimo 30ennio? Che avrebbe creato ricchezza e diffuso la democrazia nel mondo? Sembra proprio il famoso caso del “passo più lungo della gamba!” Infatti, l’Economia Occidentale è entrata in crisi dopo l’essersi “gonfiata” finanziariamente (e altresì virtualmente), già ben prima del fantomatico 2008, data del più grande fallimento bancario della storia quello della Lehman Brothers. Evento dalla quale l’Italia (ma si potrebbe dire l’intera Europa) non si è più rialzata completamente… e oggi, dopo la pandemia e con il conflitto russo-ucraino in corso destinato a durare ancora a lungo, difficilmente ne usciremo positivamente. Il Mondo è instabile e sempre più in bilico. Quindi, cercare il ‘benessere della popolazione’, nel caso in discussione soprattutto di quella palestinese che vive in condizioni di indigenza, per impedire che la disperazione sia l’elemento di reclutamento da parte di formazioni fondamentaliste come Hamas; sembrava funzionare, ad esempio, dopo gli accordi di Oslo del 1993. Oggi, pare pura fantascienza solo ricordarlo… ma è invece vero. Ci furono anni (purtroppo pochi) in cui gli israeliani potevano andare al mercato di Gaza a fare shopping. A beneficio delle proprie tasche e di quelle dei commercianti palestinesi. Stagione chiusa dalle fazioni estremiste di entrambi i lati e sepolta dopo , che fu il firmatario di quegli accordi, ucciso proprio da un estremista di destra, il giovane Yigal Amir… nel 1995. Un altro esempio. l’Africa ha reagito allo spaventoso attacco di Hamas contro Israele e lo ha fatto condannando l’uso della violenza estrema, ma anche rimarcando una propria posizione, sebbene differenziata da paese a paese, rispetto alla questione palestinese… Infatti, a dare subito il tono, all’indomani del raid, è stato Moussa Faki Mahamat, presidente della Commissione dell’Unione Africana. Dopo avere lanciato un appello per la «fine del conflitto, che ha causato centinaia di morti nelle due comunità», ha invitato entrambe le parti «a tornare, senza precondizioni, al tavolo dei negoziati per attuare il principio dei due stati che vivono fianco a fianco». Una ‘chimera’ di cui si è persa da tempo ogni traccia… Ma ha poi dovuto ricordare necessariamente e polemicamente «che la negazione dei diritti fondamentali del popolo palestinese, in particolare quello di uno stato indipendente e sovrano, è di fatto la causa principale della permanente tensione mediorientale». E la dichiarazione, in questione, è a nome di tutti i 55 membri dell’Unione Africana… In ultimo… evitando ogni ipocrisia… non c’è dubbio che Israele ha sempre fatto di tutto per portare a casa i propri cittadini… gli ostaggi. Ma questa volta sappiamo tutti non sarà così… E l’appello a contenere entro “limiti umani” la ferocia di una “giusta vendetta…” su un conflitto dimenticato da anni per prima proprio dall’Occidente… e che dura da ben 75 anni… con alla sua base l’incomunicabilità di due razze avverse da secoli… pare proprio un ‘pannicello caldo’ più che un reale obiettivo politico perseguibile…

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