Politica: Terzo Polo, doveva essere un matrimonio, invece è un funerale. Adesso gli servirebbe un rottamatore, ne ha ben due, così simili ma allo stesso tempo così diversi, che fanno a gara per rottamarsi reciprocamente…

ll dopo Pasqua del Terzo polo si apre così con i due leader del terzo polo, Calenda e Renzi agli “stracci”. Si tratta solo di nervi tesi, in attesa del congresso e del conseguente scioglimento delle due forze politiche che partecipano al progetto? No! non più… siamo ormai al “de profundis” con lo scambio di accuse pesanti fra gli esponenti di Italia Viva e Azione e con il coinvolgimento diretto dei due pesi massimi dell’aggregazione centrista… Dopo il «richiamo» di Carlo Calenda a Matteo Renzi, perché l’ex premier “non confonda” politica e informazione, è il capogruppo di Azione alla Camera, Matteo Richetti, a tornare sul doppio ruolo del leader di Italia Viva: «Deve decidere se fare politica o informazione», spiega. Il riferimento è all’incarico di direttore del Riformista assunto la scorsa settimana da Renzi. «Quando mi telefona, Renzi mi parla del partito o mi intervista come direttore?», si chiede Richetti. Ma a far discutere è soprattutto il ruolo destinato ai due leader. Carlo Calenda contro Matteo Renzi. L’ex premier, a onor del vero, ha detto di essere pronto a farsi da parte e, in questo senso, l’incarico di direttore del Riformista sembrava essere coerente. Tuttavia, senza accendere alcun riflettore, dal dicembre scorso, Renzi è tornato a vestire di fatto i panni del leader politico non solo “de facto”, ma anche sulla carta, assumendo la carica di Presidente di Italia Viva… che era stata fino allora di Ettore Rosato… Si alzano i toni della polemica: “Non c’è la volontà di rompere, ma c’è la richiesta di chiarezza sul partito unico – ha scritto sui social il senatore Marco Lombardo, ex assessore comunale, e ora nella segreteria nazionale del partito fondato da Calenda – Amareggia registrare attacchi seriali su un punto politico (e non personale) sollevato da Calenda. Non si può creare un partito nuovo, senza risorse e senza sciogliere i partiti di partenza”. Calenda: “Responsabilità di Renzi”. Eh sì, perché è stato proprio Calenda ad addossare la responsabilità a Renzi che “ha ripreso direttamente in mano Italia Viva  tre mesi fa e non vuole rinunciarvi. Legittimo anche se contrario alle promesse elettorali. Amen. È stato un brutto spettacolo: attacchi personali: “Calenda è pazzo, ha sbagliato pillole”. A cui non abbiamo mai risposto, e notizie false distribuite ad arte. Noi non facciamo politica così. Da domani riprenderemo con Azione. il lavoro per la costruzione di un partito liberale, popolare e riformista!” Ma non è tutto. C’è anche una denuncia sull’atteggiamento dell’ex presidente del Consiglio Renzi: “Lo stop deriva dalla scelta di Italia Viva di non votare un documento ieri che avevano dichiarato essere già letto e condiviso – si legge in una nota di Azione – Dietro tutto questo c’è solo un fatto: Renzi tornato alla guida di Italia Viva da pochi mesi non ha alcuna intenzione di liquidarla in un nuovo partito. Scelta legittima ma contrastante con le promesse fatte agli elettori. Dopo mesi di tira e molla ne abbiamo semplicemente preso atto. In un clima volutamente avvelenato da insulti personali da parte di Renzi e di quasi tutti gli esponenti di Italia Viva a Carlo Calenda”. Lo scontro al vertice riguarda anche i soldi e la Leopolda. E spunta così anche una norma anti-lobby. Mentre più di una voce dice che il leader di Italia Viva è pronto a candidarsi alle elezioni europee…  La replica di Italia Viva: “Scelta di Calenda”. Italia Viva dà la colpa a Calenda: “Interrompere il percorso verso il partito unico è una scelta unilaterale di Carlo Calenda – fa sapere l’ufficio stampa di Italia Viva – Pensiamo che sia un clamoroso autogol ma rispettiamo le decisioni di Azione. Gli argomenti utilizzati appaiono alibi. Italia Viva è pronta a sciogliersi come Azione il 30 ottobre, dopo un congresso libero e democratico. Sulle risorse Italia Viva ha trasferito fino ad oggi quasi un milione e mezzo di euro al team pubblicitario di Carlo Calenda ed è pronta a concorrere per la metà delle spese necessarie alla fase congressuale e a trasferire le risorse dal momento della nascita del partito unico. La Leopolda e Il Riformista, retroscena, veline, presunti conflitti di interesse sono solo tentativi di alimentare una polemica cui non daremo seguito. La costruzione di una proposta alternativa a populisti e sovranisti è da oggi più difficile ma più urgente. Nei prossimi mesi noi rispetteremo gli amici di Azione cercando ogni forma di collaborazione senza rispondere alle polemiche di alcuni dei loro dirigenti”, concludono nella nota stampa. A questo punto tutta l’operazione appare prigioniera di un paradosso: infatti per costruire davvero questo famoso partito unico i c.d. ‘liberaldemocratici’ avrebbero prima bisogno di una nuova leadership, ma per produrre nuove leadership avrebbero prima bisogno di un partito… Se il Terzo Polo fosse già un partito, a questo punto avrebbe bisogno di un rottamatore. Quale sia questo punto immagino lo sappiano tutti, ormai, dunque mi risparmierò e lo faro anche al lettore la tragicomica sequenza di: «lui ha detto così, ma poi ha fatto colà», «specchio riflesso» e «bacia la porta» con cui da giorni Carlo Calenda e Matteo Renzi allietano cronache e talk show, peraltro già di per sé non particolarmente ben disposti nei loro confronti. Non dico il Terzo Polo, ma se almeno Azione e Italia viva fossero partiti veri, con una propria storia, precedente e indipendente dalle vicende personali degli attuali leader, sarebbe dunque il classico momento in cui una nuova leva di dirigenti dovrebbe farsi carico del compito di accompagnare entrambi i contendenti all’uscita, perlomeno dalle posizioni di vertice dei due partiti, sfidandoli apertamente e sconfiggendoli democraticamente in un regolare congresso. Ipotesi francamente assai azzardata. Il punto è che Azione e Italia viva sono entrambi, di fatto, partiti personali, e la storia ha già abbondantemente dimostrato che i partiti personali sono sempre partiti mono-personali, legati mani e piedi al destino dei propri fondatori, indipendentemente dalla loro stessa volontà. Insomma, non si ereditano, non si acquistano e non si vendono. La loro leadership non è contendibile e non è nemmeno cedibile: è un bene inalienabile del leader-proprietario  (Berlusconi… docet).  E questo è probabilmente il motivo principale per cui non si possono neanche fondere (perché uno dei due leader dovrebbe a quel punto riconoscere, davvero, la leadership dell’altro). Non per niente, l’unico caso censito di fusione tra due partiti che sia davvero riuscita, che abbia prodotto cioè un nuovo partito capace di durare più a lungo delle formazioni precedenti, raggiungendo percentuali pari o superiori alla loro somma, è quello del Partito democratico, nato dalla fusione di due partiti veri, Ds e Margherita, ciascuno con le proprie correnti e la propria dialettica interna. Questo è il motivo per cui il Pd ha continuato a esistere anche dopo l’addio di Renzi, esattamente come ha fatto dopo l’addio di Pier Luigi Bersani, e prima ancora di Francesco Rutelli, mentre nessuno dei partiti fondati dai suddetti leader all’indomani della separazione ha lasciato alcuna traccia di sé (Italia viva è l’unico ancora ufficialmente, se non altro, in vita, ma è pure l’ultimo nato). Il modo in cui le previsioni sul futuro di Forza Italia seguono le oscillazioni dei bollettini medici di Silvio Berlusconi è solo l’ultima conferma di questa regola. Eppure, si tratta di un partito che ha ormai una storia quasi trentennale. Partiti che hanno una storia, al massimo, tri o quadriennale, nati dall’impulso di un singolo leader e con lui totalmente identificati, difficilmente possono godere di maggiore vivacità interna. In questo genere di partiti o movimenti, da che mondo è mondo, chi non è d’accordo col capo ha poco da fare: o sta zitto o se ne va. O c’è davvero qualcuno convinto che Calenda, prima di prendere posizione con un tweet su tutti i principali temi di politica nazionale e internazionale, si faccia scrupolo di riunire un qualunque organo direttivo del suo partito, o che altrettanto faccia Renzi prima di inviare la sua newsletter? Si dirà che questo vale oggi per tutti i leader di partito, e in una certa misura valeva anche prima che arrivassero internet, Twitter e la società del tempo reale (a dispetto di tanta retorica, non è che Enrico Berlinguer, prima di dichiarare al Corriere della sera di sentirsi più sicuro sotto l’ombrello della Nato, avesse riunito la direzione per discuterne, e tantomeno lo aveva fatto Achille Occhetto prima delle sue clamorose dichiarazioni alla Bolognina). Si dirà pure che oggi la personalizzazione della politica e la natura sempre più leaderistica dei partiti sono caratteristiche dell’intero sistema e del mondo in cui viviamo. Tutto vero, ma resta innegabile la distinzione tra partiti che all’occorrenza cambiano leader e leader che all’occorrenza cambiano partito. Per questo è difficile ormai immaginare un radioso futuro per il Terzo polo (vale la battuta di Gomez), imprigionato com’è in un circolo vizioso politico e in un paradosso logico: per costruire davvero questo famoso partito unico avrebbe prima bisogno di una nuova leadership, ma per produrre nuove leadership avrebbe prima bisogno di un partito…

 

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