Politica: un vasto programma, per guarire Società e Mondo malati. Ma la vaghezza del pensiero meloniano non permette di comprendere come. La Sinistra non ha ricette nuove adeguate ai tempi… anzi, non si è nemmeno accorta, che il Novecento è finito…

Alla Camera e al Senato, il nuovo Presidente del Consiglio ha omesso e solo parzialmente rinnegato, il suo passato politico. Solo il tempo ci dirà se quest’operazione trasformistica è un vero cambiamento o solo un maquillage per andare e rimanere al potere… Dopo la due giorni di presentazione del Governo alle camere, il Meloni-pensiero rimane un bicchiere mezzo pieno e allo stesso tempo mezzo vuoto. Il pieno è dato delle garanzie euro-atlantiche richieste e obbligate e dell’apprezzabile prudenza nel non accendere subito la santabarbara delle promesse elettorali: quota 41, pensioni minime a mille euro, flat tax con cui in particolare Lega e Forza Italia hanno cercato voti facili il 25 settembre, senza peraltro trovarli. Il mezzo vuoto è che manca la chiarezza sulle reali prospettive di una destra, che pare consapevole delle necessità imposte dalla guerra, dalle alleanze occidentali e dalla oggettiva dipendenza dell’Italia dagli aiuti economici delle istituzioni Ue, ma resta indecifrabile nei suoi reali cambiamenti. Così leggasi: la questione dell’innalzamento nell’uso del contante a 10.000 euro, nonché il “liberi tutti” dalla pandemia Covid, tutt’altro che definitivamente debellata. A contribuire all’equivoco, peraltro, è anche una opposizione grillina e democratica che incalza Meloni solo con un antifascismo farisaico e con un femminismo pervertito dalla neolingua woke (la neolingua dell’ideologia… creata per rendere alcune idee letteralmente impensabili) e che lei (Meloni) ha gioco facile a depistare enfatizzando la propria anagrafe di nativa democratica – è diventata maggiorenne con la svolta di Fiuggi, nel gennaio 1995, e tutti i suoi incarichi politici sono successivi, in un partito che aveva già ripudiato il fascismo come male assoluto – e componendo pantheon assortiti, bipartisan e vagamente veltroniani di donne di fortissimo riferimento. A forza di cavillare sul suo presunto fascismo e maschilismo, si fa a Meloni il favore di risparmiarle un rendiconto onesto di quel che hanno detto e fatto lei e i suoi ‘camerati’ di partito, non Benito Mussolini, Giorgio Almirante, Gabrio Lombardi o Carlo Casini, partendo proprio da quella sorta di contro-Fiuggi sovranista che dal 2012, con l’atto di fondazione di Fratelli d’Italia, ha portato la comunità politica post-fascista, che sembrava essersi avvicinata ai modelli del liberal-conservatorismo mainstream, ad approdi ben più estremi e anti-sistema, da Viktor Orbàn a Donald Trump, senza dimenticare la fascinazione per Vladimir Putin, baluardo cristiano contro il terrorismo islamico. Oggi Meloni giunge a Palazzo Chigi dovendo nei fatti omettere o rinnegare, se non vuole finire come Liz Truss, molte delle principali posizioni con cui Fratelli d’Italia ha nutrito nell’ultimo decennio la propria retorica. Il fatto che questo avvenga implicitamente, senza dar conto di cambiamenti profondi, fa apparire quest’operazione trasformistica e rende la nuova Meloni indiziata quanto quella vecchia di continuare a lavorare a un’agenda sovranista, dietro lo schermo di un atteggiamento solo formalmente più compatibile con gli impegni e i vincoli dell’Italia. Nell’ultimo decennio Fratelli d’Italia e Meloni sono stati quanto la Lega e Salvini gli artefici, non solo i beneficiari della riconfigurazione ideologica del centro-destra (ex) berlusconiano e del suo ancoraggio a un pensiero radicalmente alternativo a quello della tradizione liberal-conservatrice. Mutatis mutandis, hanno fatto della destra italiana ciò che Trump ha fatto del GOP, con un’operazione non solo di occupazione politica, ma di egemonia culturale, fondata sulla reinterpretazione cospiratoria dei principali processi storici della contemporaneità. La globalizzazione intesa come colonizzazione economica degli stati sovrani, l’immigrazione come invasione e sostituzione etnica dell’uomo bianco occidentale, il pluralismo come debilitazione e sottomissione delle identità native. Nazionalismo politico-economico, etnicismo demografico e identitario etico-religioso sono istanze reciprocamente collegate e non disgiungibili, perché derivano da un’unica matrice, cioè dall’idea che il corso della storia dell’ex primo mondo euro-americano non abbia subito ineluttabili (e non per questo catastrofiche) trasformazioni, ma sia stato deliberatamente dirottato verso un’autodistruzione dissimulata nelle forme suadenti del massimo della pace, dell’amicizia, del benessere e della libertà. Il sovranismo, in fondo, è un delirio escatologico, la sua è la lotta contro l’Anticristo camuffato nelle vesti del nuovo Messia e proprio l’Unione Europea e la sua società aperta sono state descritte come la realizzazione più concreta e pericolosa del disegno del Maligno. Giulio Tremonti e Marcello Pera, che non a caso Meloni ha riportato in Parlamento, sono tra quelli che più si sono sforzati di mettere in bella copia l’annuncio dell’Apocalisse. Che ora Giorgia Meloni voglia provare a impacchettare e neutralizzare tutto questo in un conservatorismo prezzoliniano, con ispirazioni post-risorgimentali e pre-fasciste, rischia di essere una operazione di maquillage, paradossalmente favorita da quanti continuano a chiedere a Meloni del fascismo passato (Mussolini) avendo meno titoli di lei nella lotta al fascismo presente (Putin), o della legge 194 che già a vent’anni diceva di non volere toccare, mentre i suoi censori non sono mai riusciti neppure a organizzare i reparti di IVG (Istituto Vendite Giudiziarie) in modo decente su tutto il territorio nazionale. All’estremo opposto di chi le imputa il saluto romano di qualunque nostalgico in pellegrinaggio a Predappio, c’è chi dà per compiuto, con espressioni di entusiasmo e giubilo, un cambiamento solo annunciato, anzi promesso, di cui non si comprendono ancora né i contorni, né le ragioni, né soprattutto i contenuti. D’altra parte, in Italia per diventare un’altra persona – più bella, più simpatica, più capace, più autorevole, più affidabile – non c’è niente come l’avere i gradi del potere, che ora anche l’underdog Meloni può orgogliosamente mostrare, in un paese in cui non solo le nomenclature economiche ma anche quelle intellettuali sono irresistibilmente filogovernative. Rimane però il fatto che i cambiamenti politici non sono, o meglio non dovrebbero essere, semplici cambi d’abito o d’acconciatura. Non si tratta di abiurare alcunché, né di fare autocritiche rituali, che suonano sempre come estorti atti di sottomissione, ma di dare conto dei ripensamenti e delle loro motivazioni. Gli atti di fiducia, come quelli che Meloni chiede non solo alle Camere, ma all’Italia, esigono sempre atti di verità, che Meloni deve rendere in primo luogo a sé stessa. Se ad esempio non spiegherà come è giunta, nel giro di pochi anni, dal richiedere lo scioglimento concordato e controllato dell’eurozona all’offrire un contributo partecipe e responsabile al governo dell’Ue, Meloni continuerà ad autorizzare il sospetto che il sovranismo e l’europeismo siano per lei due maschere intercambiabili, non due idee radicalmente alternative e che i suoi cambiamenti siano solo trasformistici. La politica, diceva Rino Formica, è «sangue e merda». Per raccogliere un plauso unanime basterebbe dire che in questi ultimi anni il secondo ingrediente non ce lo siamo fatti mancare. Se ne è sentito così forte l’odore che in troppi hanno smesso di andare a votare. Tuttavia, mi preme assai più parlare della mancanza di sangue, soprattutto a sinistra… Perché il 25 Settembre ci siamo accorti che la Sinistra, rimbambita di marketing e storytelling, non aveva in realtà né più prodotti da vendere né più storie vere da raccontare. Da questo punto di vista, il discorso di insediamento di Giorgia Meloni e le repliche in aula alla Camera, sono stati illuminanti. Da una parte la destra, incarnata in una leader credibile, una donna forte così poco abituata a camminare dietro agli uomini (con buona pace della Serracchiani) da essersi messa in tasca Berlusconi, the last of the famous international playboys, l’ultimo patriarca con harem al seguito. Nonché di aver posto argine a un Salvini, costantemente sull’orlo di una crisi di nervi per la mancata leadership del centrodestra di cui si sentiva naturale erede del post-berlusconismo. Dall’altra parte, invece… il nulla. O quasi. Una leader credibile di destra che dice cose di destra. Una destra senza più complessi che si è accorta con perfetto tempismo di una cosa che invece continua a sfuggire alla Sinistra: il Novecento è finito. E le sue ricette per migliorare il Mondo sono fuori tempo. Dispiace, sono il primo ad ammetterlo, data l’età, ma è finito. Da una parte la destra, dicevo. Dall’altra una sinistra affetta da una sorta di ‘narcisismo etico’, la cui preoccupazione principale non è più quella di rappresentare gli interessi legittimi e le aspirazioni di chi cerca riscatto sociale e civile, ma quella di andare a letto ogni sera con la coscienza tranquilla, al calduccio della sensazione di far parte tutt’al più degli incompresi miglioratori del mondo. Una Sinistra il cui immaginario di riferimento e la cui esperienza di lotta per la sopravvivenza nella post-modernità coincide con quella di un professore di liceo (volevo dire professoressa, ma poi …apriti cielo). Uno, insomma, il cui mondo comincia a sei anni dentro una scuola e lì finisce a sessantacinque. Nel mezzo, l’unico suo vero disagio, è una vaga sensazione di frustrazione per una società che non ne onora il ruolo, ma pazienza: ci sono comunque le lunghe ferie pagate, la tredicesima, tanto tempo libero per ribadire sui social che si sta dalla parte del giusto. Ecco, la Sinistra, oggi, è questo: nessuno si senta offeso, nessuno si senta escluso. E per questo si è occupata soprattutto di pronomi, di articoli, di linguaggio inclusivo, di carezze a mille suscettibilità. Di quelli, insomma, che qualcuno, di là dall’oceano, chiamerebbe white men’s problems. Di conseguenza, questa sinistra, che si dibatte fra la cattiva coscienza del privilegio e il senso di colpa, parla ormai soltanto a chi gode di entrambi: di privilegi e di sensi di colpa. Per quanto ne so, non esiste miscela più micidiale per condannarsi a una petulante ininfluenza. E questo post potrebbe finire qui, non fosse che io alla Sinistra un po’ ci tengo, fosse anche solo perché di una Sinistra c’è bisogno. E, sia chiaro, posso permettermi di dirlo con leggerezza, per tanti buoni motivi. Intanto perché non sono un professore di liceo e quindi sono dispensato dal saperla lunga. Ma soprattutto perché, provenendo da una famiglia uscita nella seconda parte del secolo scorso dalla servitù della gleba (mia nonna analfabeta, da ragazza era stata una mondina con un solo un paio di scarpe, che metteva di domenica), non mi sento in colpa per essere un maschio bianco etero in età avanzata che dopo 48anni di lavoro, vissuti anche con un costante impegno sociale e civile, in difesa dei valori Repubblicani e democratici di questo Paese, oggi, mette insieme pranzo e cena con una pensione sempre meno decente e sufficiente… Comunque sia, proprio in questa mia totale assenza di senso di colpa, sono rimasto impressionato, affascinato persino, dal discorso alla Camera di Aboubakar Soumahoro, che alle ultime elezioni è stato eletto deputato, perché era un discorso pieno di quel sangue e di quella verità che mancano oggi alla Sinistra. C’era, nelle sue parole, il sangue di una storia che nasce nella realtà del mondo e non nelle delicate proiezioni di come vorremmo fossero gli altri per adeguarli al narcisismo etico del nostro ceto medio riflessivo. «Italiani si nasce, ma si diventa anche e, non per questo si è meno italiani»: in una frase Soumahoro (coi suoi simbolici stivali sporchi di fango) ha rovesciato la retorica sovranista della Meloni, riallacciandosi idealmente ai discorsi altissimi dei Padri della Repubblica sul patriottismo della Resistenza e della Liberazione, declinati nei termini di una lotta che non riguarda soltanto i nuovi arrivati, ma tutti coloro che aspiravano e aspirano a una piena cittadinanza. Allora ho pensato che, con storie così, raccontate così, alla fine la Sinistra potrebbe persino farcela a riprendersi. Certo, Soumahoro dovrebbe guardarsi da parecchi, forse troppi compagni di strada che sono l’esatto opposto di quello che lui rappresenta. Certo, dovrebbe stare attento anche del vampirismo dei manovratori vecchi e nuovi della sua parte che, in ogni caso, sono già al lavoro dietro le spalle di chiunque ci metta la faccia e continuano a ragionare di liste e alleanze col bilancino, pur di tentare di salvarsi un’ennesima volta anche dentro questo annunciato congresso “costituente” del Pd. Ma comunque, in definitiva, fosse lui, un altro, o un’altra (e Dio lo volesse, purché non sia un’anti-Meloni studiato/a solo a tavolino da un’agenzia di marketing). L’ho sicuramente fatta troppo lunga, in fondo quello che mi premeva dire è semplicemente questo: stai a vedere che è tornata la Politica. Nonostante tutto, per chi ama la democrazia, è una buona notizia… e la Sinistra deve proprio ricominciare dalla politica…

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